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Se Karzai smette di giocare di rimessa, tra Pakistan e India

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La ricorrenza del 7 ottobre, a dieci anni dall’intervento che scacciava da Kabul i talebani di mullah Omar e le truppe di al Qaeda, è stata scelta dal presidente afgano Hamid Karzai per formulare una nuova strategia per il suo paese. O, quantomeno, un’inversione tattica non priva di rischi ma probabilmente a lungo meditata.

Anzitutto, i rapporti con il Pakistan: alla vigilia del suo secondo viaggio dell’anno in India e a un paio di settimane dall’uccisione del suo capo negoziatore (Buranuddin Rabbani, a capo dell’Alto consiglio di pace del governo), Karzai ha dichiarato di non voler più aver a che fare con quelli che una volta aveva chiamato “fratelli” talebani e di voler invece trattare direttamente col Pakistan. Accusati di aver ucciso Rabbani (anche se non è chiaro quale fazione talebana sia responsabile), i talebani non sarebbero dunque più l’unico giocatore utile a raggiungere la pace: visto che sono eterodiretti da Islamabad – questo il ragionamento del presidente afgano – una trattativa diretta con loro non è la soluzione.

L’aspetto contraddittorio di questo approccio è che Karzai sta, al contempo, facendo un’apertura di credito al Pakistan ma anche indicandolo (almeno di fatto) come il vero referente e mandante per alcune azioni dei talebani.

A giudicare dagli ultimi eventi, la seconda ipotesi sembra la più credibile. Karzai si è infatti recato a Delhi, dove è stato accolto con tutti gli onori e, soprattutto, ha siglato una serie di accordi bilaterali (ovviamente preparati da tempo). Uno degli accordi tratta di “partnership strategica”, una definizione ampia che si traduce anche in collaborazione militare, poiché l’accordo prevederebbe l’addestramento delle forze di sicurezza afgane da parte dell’India.

Come’era prevedibile, il Pakistan ha reagito con durezza alla mossa di Karzai, ma il presidente afgano ha subito confermato di muoversi su un doppio binario: al ritorno dalla visita a Delhi ha spiegato che, se gli indiani sono “amici”, i pachistani sono “fratelli”, anzi “gemelli”. È una scelta retorica più che comprensibile alla luce dal fatto che il presidente è anche un’esponente della comunità pashtun (che vive in entrambi i paesi ed è molto sensibile ai legami di parentela). In senso più ampio, è chiaro il tentativo di dare vita a una linea diplomatica equilibrata e di massimizzare le opportunità geopolitiche del paese, che è legata alle nuove circostanze internazionali:

Karzai teme di essere tagliato fuori dal processo negoziale che, più o meno sotto traccia, altri stanno conducendo con la guerriglia. Nonostante i distinguo e le residue incertezze sulla precisa tempistica del processo di “transizione” da ISAF/NATO (cioè soprattutto USA) al governo afgano, tra oggi e il 2014 il ruolo della comunità internazionale cambierà radicalmente; e i nuovi equilibri sono in corso di definizione. Alcuni paesi del Golfo e in particolare i sauditi stanno facilitando i contatti tra gli americani e i talebani: è una trattativa che per ora non sembra aver portato a grandi risultati ma che le parti hanno interesse a coltivare. Mullah Omar non ha mai fatto mistero di preferire un negoziato diretto col nemico (gli stranieri) che non con i suoi “lacchè” (Karzai). Washington, intanto, sta facendo pressioni sul Pakistan perché estrometta dalla trattativa la Rete Haqqani (la più crudele e qaedista delle fazioni talebane) e semmai favorisca il negoziato con gli uomini di Gulbuddin Hekmatyar (il terzo fronte della guerriglia), alleato a modo suo sia con gli Haqqani sia con la shura di Quetta che fa capo a Omar. In questo complicato gioco di contatti non ufficiali, Karzai non vuole certo restare emarginato, e Washington ha formalmente avallato la visita indiana; ma ci sono molti limiti alle sue capacità di azione. In particolare, l’avvicinamento all’India rischia di inasprire i rapporti con il Pakistan, anche perché la maggioranza degli afgani accusa da sempre il Pakistan di doppiogiochismo e non ama affatto i “gemelli” oltreconfine.

Resta il fatto che il momento è propizio per qualche iniziativa più autonoma da parte del governo afgano: i 49 paesi che sostengono ISAF hanno chiarito che il sostegno al paese andrà comunque oltre il 2014, alla vigilia del summit che a novembre si terrà a Istanbul con i paesi dell’intera regione e gli inviati speciali di Stati Uniti ed Europa. Ci sarà poi l’appuntamento di Bonn a dicembre: a dieci anni dalla conferenza tenutasi nella stessa città, “Bonn 2” rischia di essere un fiasco politico se i talebani non siederanno al tavolo che dovrebbe dare il via definitivo alla transizione. Chissà che non sia proprio Karzai a portare a quel tavolo almeno una mezza vittoria, consolidando un suo ruolo diplomatico e inserendosi parzialmente nelle trattative in corso.