Dopo un anno dalla rivolta popolare che ha destituito il regime di Zine el-Abidine Ben Alì, lo scorso 23 ottobre la Tunisia ha affrontato le sue prime elezioni libere che hanno visto l’affermazione del partito di ispirazione islamica an-Nahda. Sebbene il quadro socio-politico continui a mostrare ancora alcuni segnali di continuità con il passato, Tunisi sta cercando di garantire un percorso di pacificazione e di democratizzazione utile anche alla ripresa economica.
Dalla fine di gennaio 2011 le perdite per l’economia nazionale vengono stimate tra i 5 e gli 8 miliardi di dollari e, secondo i recenti dati forniti dal Ministero degli Affari Sociali, anche i singoli dati macroeconomici non sono molto positivi: il tasso di crescita del PIL non ha superato lo 0,2% nel 2011 rispetto ai 4,5% del 2010; il tasso di disoccupazione supera il 18% (con quella giovanile che ha sfondato il 30%); l’inflazione ha raggiunto il 5%; e circa un quarto della popolazione vive con meno di due dollari al giorno.
Ad oggi gli asset ritenuti strategici dal governo tunisino sono in seria difficoltà: i servizi (che rappresentavano il 54 % del PIL), l’agricoltura e la pesca (che assorbivano il 22% della forza lavoro), e il settore turistico, il quale contribuiva per il 7% al PIL e impiegava circa 450.000 persone. Il calo di questi settori ha avuto effetti ovviamente negativi sul gettito fiscale e sul mercato del lavoro. In quest’ultimo settore, Habib Ammar, Direttore Generale dell’Office National du Tourism Tunisien, ha diramato dei dati a dir poco preoccupanti: nei primi dieci mesi del 2011 le visite nel Paese sono diminuite di oltre 2 milioni di turisti rispetto all’anno precedente (-33,3%), con perdite accertate intorno al miliardo di dollari.
In generale, tutte le attività economiche dopo la caduta del regime benalista hanno risentito profondamente delle proteste e del clima d’instabilità. Secondo i dati del FMI, nel 2011 gli investimenti diretti esteri hanno subito un tracollo, passando dai 2 miliardi e 147 milioni del 2010 al miliardo e 711 milioni dello scorso anno (-29,2%). Questo calo di investimenti esteri ha costretto circa 150 imprese straniere a chiudere e a lasciare il Paese. Le riserve di valuta estera sono dapprima scese di 2 miliardi di dollari nello stesso periodo, salvo poi ricevere un’iniezione di 8,6 miliardi di dollari tramite aiuti provenienti dai Paesi arabi. Ci sono poi fattori strutturali che rendono l’economia tunisina particolarmente vulnerabile: la forte disparità tra le aree regionali della costa (più ricche) e quelle interne (più disagiate), la corruzione dilagante a tutti i livelli di potere (confermate ad esempio dagli studi di Transparency International), e la scarsa elasticità del mercato del lavoro.
Anche se il quadro generale è molto negativo, il governo sta approntando alcune misure economiche atte a riattivare l’economia nazionale attraverso l’uso di correttivi e di soluzioni urgenti a favore della disoccupazione e dell’attrazione di capitali stranieri per poter meglio garantire la transizione politica. In particolare, l’introduzione di un sussidio di disoccupazione per i giovani diplomati, un forte piano di investimenti nel settore pubblico e una strategia volta a creare nuovi posti di lavoro, hanno permesso al nuovo governo di prevedere una possibile ripresa del PIL per il prossimo anno intorno al 4,5%. Naturalmente, interventi del genere potrebbero essere in parte sostenuti dagli aiuti internazionali.
In tal senso, lo scorso maggio, durante l’ultima riunione dei Paesi G8 a Deauville, è stato deciso di stanziare in favore di Tunisia ed Egitto, per il biennio 2011-2013, circa 40 miliardi di dollari: di questi, 10 saranno stanziati dai Paesi membri del G8, altri 20 da istituzioni multilaterali come la Banca Mondiale, la Banca Europea degli Investimenti, la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, la Banca Islamica di Sviluppo e la Banca Africana. Altri 10 miliardi, inoltre, saranno stanziati dai Paesi del Golfo, mentre l’Unione Europea provvederà con circa 400 milioni di euro in aiuti finanziari per sostenere la transizione. Infine, altri governo contribuiscono individualmente con prestiti a lungo termine: la Turchia aprirà una linea di credito a favore del Paese nordafricano di 500 milioni di dollari e gli USA investiranno circa un centinaio di milioni.
Su queste basi, il FMI ritiene che le prospettive di ripresa economica per la Tunisia siano potenzialmente migliori di quelle dell’Egitto. La crescita del PIL, infatti, potrebbe toccare il 7% entro il 2016 – a condizione però che i finanziamenti vengano utilizzati senza sprechi e al fine di favorire “governance, trasparenza, investimenti esteri, potenziamento delle infrastrutture, ristrutturazione del sistema bancario, riforma del mercato del lavoro e un adeguato sistema dell’istruzione”. Come emerge da tale elenco di priorità, il futuro del paese dipende in larga misura dall’intreccio di scelte politiche, disponibilità di finanziamenti ad hoc, e contesto internazionale. In ogni caso, la transizione politica e istituzionale dovrà accompagnarsi a molte riforme economiche.
Qualora Tunisi non dovesse accogliere tali proposte di intervento di politica economia e di welfare, il suo PIL decrescerà rispetto alle aspettative con il rischio di veder riaffiorare le tensioni sociali. Nondimeno, un ulteriore aggravamento della situazione socio-economica – accentuata dall’incremento della disoccupazione giovanile – e la mancanza di volontà politica di garantire al popolo tunisino una nuova legge elettorale potrebbero compromettere la transizione del Paese verso la democrazia.