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Qualcosa di nuovo da Parigi e Berlino?

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Gli irlandesi hanno dunque votato una seconda volta. Sia detto per inciso, il fatto che a distanza di poco tempo gli stessi elettori possano esprimersi in modo massiccio ma in senso esattamente opposto sul medesimo tema, dovrebbe far riflettere coloro che pensano che lo strumento referendario sia la risposta appropriata al “deficit democratico” dell’Unione europea. Salvo sorprese da parte del presidente Klaus (Repubblica Ceca) o del “gemello polacco” (il Presidente Kaczynski), il trattato di Lisbona entrerà dunque in vigore. Gi europeisti tirano un sospiro di sollievo, ma sanno che le innovazioni introdotte entreranno in vigore solo gradualmente; inoltre, mentre il trattato costituisce certamente un progresso per la struttura dell’Unione in materia di relazioni internazionali, non cambia di molto la situazione per quanto riguarda la sua capacità di far fronte alla crisi economica. Come ha osservato Marta Dassù su questo stesso sito, tutto dipenderà dalla volontà politica dei paesi membri in un’Unione che attualmente privilegia l’assetto intergovernativo su quello “comunitario”; i governi all’unanimità hanno voluto una Commissione debole, salvo dolersene quando si rivela insufficiente. Interpretare questa “volontà politica” non è semplice; come sempre, è utile cominciare dalle due capitali senza le quali nulla è possibile – Parigi e Berlino. Già prima del nuovo referendum irlandese agli osservatori attenti veniva suggerito che Francia e Germania stanno preparando una “grande iniziativa” per rilanciare il progetto europeo. Si diceva che tale iniziativa sarebbe stata accelerata in caso di voto negativo, e che avrebbe preso più tempo nel caso il trattato fosse entrato in vigore. Vista la precarietà e la diffidenza che ha caratterizzato il rapporto negli ultimi tempi la notizia deve rallegrarci, ma può anche suscitare giustificate perplessità.

Merkel e Sarkozy sono saldi al potere per un lungo periodo, ma hanno motivo di essere preoccupati. Hanno quindi entrambi buone ragioni per cercare un’intesa. Sarkozy deve avere imparato, soprattutto nelle riunioni internazionali, che il suo protagonismo mediatico non riesce più a mascherare il ruolo marginale della Francia sul piano mondiale; inoltre la gestione dell’ancora precaria ripresa economica non può prescindere da un migliore coordinamento europeo e soprattutto da accordo con la maggiore economia del continente. Vedere una Germania poco attenta all’Europa desta sempre a Parigi grandi preoccupazioni, anche se spesso i tedeschi non fanno che imitare i cugini d’oltre Reno.
Angela Merkel deve essere cosciente che la Germania ha sbagliato molte analisi all’inizio della crisi e che le persistenti manifestazioni di nazionalismo economico (Opel) possono avere ripercussioni sul funzionamento del mercato europeo che sarebbero contrarie agli interessi tedeschi. Aver stabilito un buon rapporto bilaterale con la Russia è cosa utile, ma rischia di diventare scomodo e imbarazzante in assenza di un quadro europeo. Infine, la speranza tedesca di accedere al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite deve ritenersi tramontata, anche ma non solo a causa dell’opposizione italiana. Merkel deve ora fronteggiare un’attiva minoranza euroscettica in qualche modo incoraggiata dalla recente sentenza della Corte federale sul trattato di Lisbona; è suo interesse quindi dimostrare che l’Unione può produrre decisioni utili.

Tanto la Cancelliera tedesca quanto il Preidente francese devono aver capito che si può sperare molto da Obama, ma non che metta ordine in Europa. Il panorama europeo del resto non è incoraggiante. I paesi dell’est dimostrano di essere partner più difficili del previsto. La Spagna sarà a lungo assorbita dai suoi problemi economici interni. L’attuale governo italiano è considerato inaffidabile. Soprattutto, pare ormai certo che fra meno di un anno la Gran Bretagna avrà un governo dichiaratamente euroscettico; se i conservatori troveranno un’Unione paralizzata da un persistente disaccordo franco-tedesco avranno buon gioco nell’imporre le loro condizioni. Di qui l’interesse a non lasciare l’iniziativa nelle loro mani.

Questo non ci dice ancora nulla sulla natura dell’iniziativa che si starebbe preparando. Si è parlato della decisione di nominare due ministri che risiederebbero stabilmente nella capitale del partner dove parteciperebbero alle riunioni del governo. Idea interessante e di sicuro effetto mediatico; certamente anche utile, viste le recenti difficoltà a stabilire un dialogo costruttivo. Tuttavia non sarebbe ancora una politica: tutto ciò per fare cosa? La storia delle convergenze franco-tedesche ci fornisce lezioni contrastanti. Giscard e Schmidt ci diedero il sistema monetario; Kohl e Mittterrand l’euro. In entrambi i casi si trattò di iniziative che si rivolgevano all’insieme dei paesi membri, che erano giustificate da un interesse collettivo e che si sono tradotte in importanti decisioni adottate secondo il metodo comunitario; in entrambi i casi un ruolo attivo di proposta e di mediazione fu svolto dai presidenti della Commissione dell’epoca: Roy Jenkins e Jaques Delors. Chirac e Schroeder invece hanno raggiunto solide intese solo per proteggere le rispettive debolezze; non hanno proposto nulla per l’Europa, sono stati considerati arroganti e in definitiva hanno diviso invece di unire.

Se iniziativa franco-tedesca ci sarà, bisogna sperare che appartenga alla prima e non alla seconda categoria; in questo caso non si vede come possa limitarsi ad avere caratteristiche intergovernative. I temi possibili sono molti. Su alcuni, come il cambiamento climatico, l’Europa si è già espressa con precisione; il problema riguarda l’interazione con gli altri partners mondiali e non si vede quale potrebbe essere il valore aggiunto di una proposta franco-tedesca. Su altri temi invece l’Europa è al momento carente: la politica estera soprattutto verso la Russia, l’energia, la strategia di uscita dalla crisi. Ognuno di questi terreni pone problemi seri alla convergenza politica dei due paesi. Permane l’idiosincrasia francese a rinunciare al suo ruolo speciale nelle relazioni internazionali; è soprattutto necessario che Parigi risolva il costante dilemma secondo cui Londra è un partner allo stesso tempo indispensabile e impossibile. La Germania resta riluttante ad impegnarsi in un serio coordinamento delle politiche economiche e della politica energetica. Se i due paesi potessero risolvere le loro contraddizioni su uno qualsiasi di questi temi darebbero un grande contributo al progresso dell’integrazione.

Per il momento speculare su che coniglio uscirà dal cappello di Mekel e Sarkozy può sembrare ozioso, ma disinteressarsene potrebbe riservare sorprese sgradite. E’ comunque più interessante che speculare sulla probabilità della candidatura di Tony Blair alla testa del Consiglio europeo o di Mario Draghi a quella della Banca centrale.