international analysis and commentary

Prospettive dall’Egitto: intervista a Mohammed Azab

277

“Lo stato egiziano rispetta al Azhar come una istituzione pilastro non solo del paese, ma dell’intera regione” dice Mohammed Azab, consigliere del grande imam di al Azhar per il dialogo interreligioso, da anni impegnato nel cercare un punto di incontro tra i diversi gruppi religiosi presenti nel paese. La più prestigiosa università islamica del paese è anche un punto di riferimento per tutto l’Islam sunnita.

A inizio 2012 verrà redatta una nuova costituzione. Questa potrebbe influenzare positivamente la questione dei rapporti tra le confessioni in Egitto?

La legge egiziana si basa sul codice di Bonaparte: è a tutti gli effetti una costituzione civile. La legge musulmana non ha mai influenzato la legislazione, tranne in alcune questioni particolari: il diritto familiare, le questioni relative all’istruzione, il divorzio e l’eredità. I cristiani si servono del loro codice religioso per regolare tali questioni. In tutte le altre materie si applica una legge civile, che non fa distinzioni tra copti e musulmani. L’articolo 2 della Costituzione dice che la religione di Stato è quella musulmana, quella della maggioranza, e la shari’a è la fonte di ispirazione di tutta la legislazione.  Questo articolo non sarà modificato, ma deve essere contestualizzato. Diversamente da quanto avviene nei vostri paesi, i popoli arabi sono molto religiosi e la fede fa parte della vita sociale. Questo vale tanto per i cristiani che per i musulmani.

Se la maggioranza dei musulmani è pronta a vivere al fianco della minoranza cristiana, dove nascono allora i problemi?

Storicamente in Egitto non ci sono state guerre di religione, cosa che è invece avvenuta in Europa. Il termine “minoranza” in sé non è esatto per descrivere i cristiani. Sono numericamente meno dei musulmani, ma hanno una storia più antica della nostra sul territorio. Hanno partecipato a tutti gli eventi della nostra storia da protagonisti. Il problema settario è qualcosa di estremamente recente e rimanda soprattutto a questioni pratiche, come per esempio la costruzione dei luogo di culto. Già prima dello scoppio della rivoluzione del 2011 si era cercato di regolamentare appositamente sia la costruzione di chiese che quella di moschee perché le norme attuali devono essere riformate. Tuttavia le proposte fino a ora elaborate non sono state accettate né dai copti né dai musulmani, e si sta ancora lavorando su questo tema. Si devono trovare delle nuove condizioni che garantiscono la libertà di culto e la pace sociale tra le parti, ma per questo bisogna pazientare.

Eppure da anni si registrano atti di estremismo contro i cristiani.

Purtroppo esistono, ma sono molto limitati e riguardano una piccola frangia della popolazione. Voi in Europa parlate solo di estremismo islamico, come se fosse l’unico presente, ma questa visione è viziata sul nascere. Perché non parlare dell’estremismo del laicismo occidentale, e delle sue conseguenze sulla società? Vi dimenticate poi l’estremismo della destra israeliana. Questa è l’epoca degli estremismi. Bisognerebbe trattarli tutti utilizzando gli stessi criteri. La prima questione che motiva la violenza nella nostra regione è quella palestinese: l’estremismo è una risposta all’arroganza della politica israeliana nella regione.

Dopo la caduta di Mubarak ci sono più opportunità per il dialogo interreligioso?

Non dovremmo ragionare solo in termini di dialogo interreligioso: la questione del dialogo è universale e include tanto la religione quanto altre questioni. Non si possono poi discutere le credenze e i dogmi di ogni religione, e ci si deve piuttosto concentrare sui valori che possono essere condivisi da tutti universalmente. Il dialogo avviato da al Azhar era partito prima degli eventi del 25 gennaio, ma ovviamente ora viviamo un momento di maggior libertà, in cui parlare apertamente è più semplice e più fruttuoso. Ogni due settimane qui invitiamo salafiti, laici, musulmani e copti, e tutti ora parlano più liberamente, confrontandosi su temi di ampio respiro.

Nei prossimi mesi gli egiziani saranno chiamati a votare per il parlamento e il presidente: come si comporterà al Azhar al riguardo?

La questione della transizione è molto delicata e al Azhar, come istituzione, non cercherà di influenzare gli elettori. Certo, li spinge a partecipare a queste elezioni perché questo è un dovere che tocca a tutti gli egiziani. Non darà però indicazioni di voto, lasciando a tutti i cittadini libera scelta. L’imam quindi non renderà pubblica la sua visione personale, per evitare di influenzare la società. È una grande personalità e molti seguirebbero le sue indicazioni. Questa fase attuale è difficile, ma sono difficoltà necessarie per la democrazia, perché serve ai diversi soggetti per organizzarsi. Nonostante l’esistenza di tante voci differenti sono ottimista perché conosco il nostro popolo e le nostre origini. Dall’era faraonica abbiamo uno stato compatto, e il potere si concentra nelle mani di istituzioni centrali che tengono unite le diverse componenti. Non siamo una società tribale, e riusciremo a restare insieme.  

Gli Stati Uniti hanno dichiarato di voler tenere aperto un canale di comunicazione con i Fratelli musulmani: si tratta di sano realismo politico?

Gli Stati Uniti hanno una politica ambigua nella regione, motivata solo dai loro interessi politici. Vogliono avvicinarsi alla Fratellanza perché vedono in loro il nuovo protagonista del contesto politico egiziano. Vogliono stabilire una buona relazione per controllare gli avvenimenti locali ed evitare che si crei disordine. Gli Stati Uniti hanno interessi ad avere una relazione con l’Egitto, ma gli egiziani hanno il diritto di opporsi all’interferenza straniera, se questa non è nei loro interessi.