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Perché Obama non è europeo

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Una famosa copertina dell’ormai defunto settimanale americano Newsweek strillava “We are all socialists now”. Era il 16 febbraio 2009, nemmeno un mese dopo l’insediamento di Barack Obama come 44° presidente degli Stati Uniti. Ma c’è qualcosa di vero nelle critiche dei Repubblicani che vedono Obama come filosoficamente “europeo”, o come la mettono loro “socialista”? Sì e no. Potremmo rispondere “sì” se guardassimo ai tentativi del presidente di far avanzare alcune proposte di buon senso, come una maggiore attenzione al riscaldamento globale, una legislazione sulle armi che impedisca ai bambini dell’asilo di possedere fucili veri (e usarli, come in un episodio recente, per uccidere le sorelline), investimenti nelle energie alternative e nelle infrastrutture. Dobbiamo rispondere “no” se guardiamo alla riforma sanitaria, che rimane interamente basata su un sistema (sia pure razionalizzato)  di assicurazioni private, o al funzionamento del Congresso (dove una minoranza è sufficiente per bloccare le iniziative dell’esecutivo. Ancora “no” se guardiamo alla politica monetaria espansiva della FED, che Obama sostiene.

L’argomentazione di Newsweek era che, nel 2000, il governo federale degli Stati Uniti rappresentava il 34,3% del Pil, contro il 48,2% dei governi della zona euro. Nel 2009, mentre l’Europa “socialista” aveva leggermente ridotto la spesa pubblica (47% del Pil) gli Stati Uniti l’avevano invece rapidamente aumentata fino al 40% del Pil, un livello storicamente superato solo durante la seconda guerra mondiale. Quindi anche gli USA avevano preso la via di un governo che assicura servizi “dalla culla alla tomba”, come l’Europa.

Se è vero che all’inizio del 1900 la spesa pubblica americana era di appena il 7% del Pil e che, ancora alla fine degli anni Quaranta era appena il 22%, la tesi di fondo era completamente errata: i picchi della spesa pubblica negli Stati Uniti non sono mai stati dovuti a un welfare generoso o a un governo che nazionalizza importanti settori dell’economia, bensì alle sole spese militari. La prima guerra mondiale portò infatti la percentuale sopra il 30% del Pil, la seconda sopra il 50%. E, negli anni 2000, sono state le operazioni in  Iraq e in Afghanistan a far esplodere la spesa federale: il premio Nobel Joseph Stiglitz ha definito la prima “The Three Trillion Dollar War”.

Gli Stati Uniti, dunque, spendono essenzialmente per ragioni di politica estera, non di politica interna, ed è puramente propagandistico comparare i livelli aggregati di spesa pubblica per concluderne, come fanno i Repubblicani, che USA ed Europa si muovano nella stessa direzione.

Lo stesso si potrebbe dire per quanto riguarda la sanità, un settore dove l’amministrazione Obama ha speso buona parte del capitale politico che aveva nel primo mandato ottenendo risultati, dal punto di vista europeo, piuttosto modesti. Scartata fin dall’inizio l’idea anche di una semplice “opzione pubblica” nella scelta delle assicurazioni, i Democratici hanno approvato una legge farraginosa che, certo, nel tempo allargherà la copertura sanitaria della popolazione ma rimane interamente basata su un sistema privatistico che non ha nulla in comune con i sistemi europei o con quello canadese. È ben noto, fra l’altro, che la sanità rappresenta circa il 16% del Pil negli Stati Uniti (con tendenza all’aumento) mentre i sistemi pubblici europei costano circa la metà in relazione al Pil.

Un’altra differenza “filosofica” tra l’amministrazione Obama e l’Unione Europea è il fatto che quest’ultima sembra aver sposato completamente la logica dell’austerità ad ogni costo, una linea che ha prodotto risultati devastanti (a causa della camicia di forza monetaria dell’euro) nelle economie dei paesi più indebitati come Grecia, Spagna, Portogallo e Italia.

Al contrario, la FED e il governo federale americani si sono mossi in sintonia dal 2009 in poi iniettando liquidità nel sistema economico per stimolare l’economia. Ben Bernanke e Barack Obama sono contrari alla linea deflazionista del cancelliere Angela Merkel e della Commissione europea, mentre la BCE guidata da Mario Draghi si muove ambiguamente, tenendo bassi i tassi di interesse ma senza ripudiare la linea di politica economica imposta dal governo tedesco. Da questo punto di vista i veri “europei” sono i Repubblicani della Camera, che hanno preferito la riduzione automatica della spesa federale a un accordo che aumentasse l’imposizione fiscale sullo 0,1% dei contribuenti. Obama, nonostante le critiche quotidiane di economisti come Paul Krugman e Joseph Stiglitz, ha accettato di negoziare sulla riduzione della spesa pubblica nel tentativo – finora vano – di trovare un accordo con John Boehner e Paul Ryan.

Per concludere: l’amministrazione Obama aveva suscitato grandi speranze di cambiamento (e altrettante paure o paranoie) nel 2009. Dopo quattro anni e quattro mesi dall’insediamento si può dire che il presidente è stato prudente, centrista e timido, ma comunque molto “americano” nel suo stile, nella sua politica estera, nei suoi rapporti con il Congresso. Non ha comunque senso definire “europea” la sua politica.. In attesa di avere un leader simile a quelli della socialdemocrazia scandinava, gli americani dovranno accontentarsi di rileggere il libro di Thomas Geoghegan del 2010, Were You Born On The Wrong Continent?