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Perché l’euro è importante anche per la Cina

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Vista da Pechino, la crisi che da mesi attanaglia l’Europa sembra veramente molto lontana. Quella cinese è un’economia che cresce al poderoso ritmo del 9,6% all’anno, rispetto all‘1,7% dell’area euro. Se c’è un problema è semmai quello di raffreddare la crescita, per evitare l’innescarsi di incontrollabili pressioni inflazionistiche, e, sul medio periodo, incrementare la domanda per consumi. Insomma, l’opposto dell’Europa.

Le autorità cinesi, tuttavia, guardano con timore alla crisi europea. Innanzitutto una caduta della domanda in Europa avrebbe un impatto negativo sulle esportazioni, per le quali il mercato del vecchio continente rappresenta il 20% del totale. C’è inoltre un considerevole rischio per il valore degli investimenti cinesi nell’area euro: negli ultimi anni questi sono cresciuti in maniera considerevole nell’intento di creare maggiore diversificazione nelle riserve valutarie. Per quanto si sa le attività finanziarie in euro sono circa un quarto delle riserve cinesi, con il resto investito in dollari. Infine, l’implosione dell’euro – uno scenario a bassa, ma non zero probabilità – porrebbe fine al piano cinese di sviluppare il futuro sistema monetario internazionale intorno al triangolo dollaro-euro-yuan. Venendo meno l’euro, lo yuan si troverebbe testa a testa con il dollaro, replicando quindi sul piano monetario e valutario le stesse dinamiche geopolitiche che regolano le relazioni tra Cina e Stati Uniti.

In termini più generali, l’intera strategia cinese per riformare il sistema monetario internazionale trae vantaggio da un euro solido che possa offrire un’alternativa al dollaro già nel breve periodo.

L’asse portante della strategia cinese è l’internazionalizzazione dello yuan, vale a dire la trasformazione di una valuta scarsamente utilizzata nel regolamento degli scambi internazionali e negli investimenti in una che possa essere utilizzata nel commercio internazionale e che gli investitori stranieri siano disposti a tenere nei propri portafogli. Secondo le intenzioni delle autorità cinesi, questo processo di internazionalizzazione dovrebbe precedere la piena convertibilità dello yuan e la liberalizzazione dei flussi di capitale.

Tale approccio non ha precedenti storici né riscontro nella teoria economica. Non ci sono infatti esempi di valute che abbiano avuto diffusione internazionale prima di essere pienamente convertibili – semmai è vero il contrario. Una componente essenziale della strategia cinese è lo sviluppo di Hong Kong come un mercato offshore per le attività finanziarie in yuan. La recente visita a Hong Kong del vice-premier Li Kechiang, che molti indicano come futuro premier, è coincisa con il varo di nuove misure per rafforzare questo ruolo dell’ex colonia britannica.

Hong Kong offre l’indubbio vantaggio di essere parte della Cina, ma, allo stesso tempo, di avere un’amministrazione separata e indipendente, con il suo primo ministro elettivo – qui chiamato “chief executive” -, parlamento e banca centrale. L’espressione “one country, two systems” esprime con efficacia come Hong Kong, con il beneplacito di Pechino, sia riuscita a mantenere il proprio sistema istituzionale, di impianto e ispirazione britannica, e così preservare la propria autonomia.

Partecipare alla strategia monetaria che Pechino sta sviluppando è sicuramente un’importante opportunità per Hong Kong che, pur essendo uno dei principali centri finanziari internazionali, comincia ad accusare i colpi dell’aggressiva concorrenza di Singapore e dell’emergere di nuovi centri quali Shenzhen e Shanghai. Con il settore bancario e finanziario che rappresenta il 15% del Pil, è essenziale per Hong Kong mantenersi competitiva in questo settore.

Pechino, a sua volta, ha bisogno della credibilità di Hong Kong come centro finanziario internazionale per persuadere gli investitori internazionali ad investire nello yuan nonostante i limiti alla sua convertibilità. Il mercato offshore, inoltre, consente alle autorità monetarie cinesi di controllare i flussi di capitali, offrendo, allo stesso tempo, agli operatori commerciali la possibilità di operare liberamente nel mercato offshore.

A due anni di distanza dalle prime misure varate per incentivare l’uso dello yuan negli scambi regionali, anche i tempi della strategia monetaria e finanziaria cinese sono ormai piuttosto definiti. Lo yuan continuerà il suo processo di internazionalizzazione fino alla piena convertibilità nel 2020. Questo processo coinciderà con lo sviluppo di Shanghai come centro finanziario internazionale, per il quale la convertibilità dello yuan è un ingrediente essenziale. L’ambizione di Pechino è di trasformare lo yuan, attualmente sottodimensionato rispetto alle dimensioni dell’economia cinese, in una valuta di peso internazionale al pari del dollaro e dell’euro. Ma tale ambizione non si spinge fino a soppiantare il dollaro. Considerate le recenti vicissitudini della valuta statunitense, le autorità cinesi sono ben consapevoli dei doveri oltre che dei privilegi del paese che emette la principale moneta di riserva. Meglio dunque un sistema “a tre” dove il costo degli aggiustamenti macroeconomici e l’impatto sulle politiche interne viene, in teoria, equamente ripartito. Ecco perché, visto da Pechino, l’euro non può permettersi di fallire.