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Perché la Florida può essere decisiva

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La Florida non è solo lo Stato in bilico che assegna il maggior numero di voti del Collegio Elettorale (29) o lo Stato senza il quale nessun candidato repubblicano è diventato presidente da Calvin Coolidge nel 1924. La Florida è anche il palcoscenico di uno scontro che rispecchia quello tra le strategie nazionali della campagna di Barack Obama e di Mitt Romney. Il motivo è la composizione demografica di questo Stato, che affianca il 58% di bianchi al 22,5% di ispanici ed al 16% di afroamericani in una delle più chiare fotografie dell’aumento di importanza elettorale delle minoranze a livello nazionale.

La strategia democratica è stata evidenziata dalla Convention di Charlotte. Il keynote speech affidato al sindaco di San Antonio Julian Castro, la numerosa presenza di oratori ispanici e il parterre di delegati più multietnico mai visto in un’assise presidenziale: tutto ha testimoniato la scelta di Barack Obama di affidare al proprio partito il compito di rappresentare un’America nella quale la somma delle minoranze è destinata ad essere più numerosa dei bianchi, soprattutto grazie all’apporto crescente degli ispanici. Nel 2008, secondo uno studio del Pew Research Center, Obama ottenne il 67% del voto ispanico e il 95% di quello afroamericano ma quest’anno la campagna guidata da David Plouffe e Jim Messina vuole riuscire a fare di meglio, puntando a raggiungere l’80% degli ispanici e la pressoché totalità degli aventi diritto fra gli afroamericani. Il motivo è che, rispetto a quattro anni fa, nel corpo elettorale nazionale – stimato in circa 140 milioni di persone – vi sono 4,5 milioni di ispanici in più, a causa di aumento delle nascite, naturalizzazioni e immigrazione. Si tratta del gruppo elettorale cresciuto più rapidamente in America, al punto da essersi diffuso in maniera significativa anche in Stati, come la Virginia e l’Iowa, il North Carolina e il Colorado, dove era in genere poco rappresentato. Riuscire a fare il pieno di voti ispanici comporta per la campagna “Obama for America” non solo una maggiore probabilità di conservare la Florida ma anche di respingere l’assalto dei Repubblicani in altri Stati in bilico. Da qui l’attenzione sull’early voting, la possibilità di votare in anticipo iniziata in Florida sabato 27 ottobre, che consente alla macchina elettorale democratica di incoraggiare l’esercizio effettivo del diritto di voto. In questa chiave, tra i maggiori punti di forza di “Obama for America” sono proprio gli elenchi con tutti i nomi dei potenziali elettori democratici – uniti a indirizzi, telefoni e spesso anche email – che vengono contattati da volontari e quindi spinti a votare in anticipo rispetto all’Election Day del 6 novembre. In Florida sono 103 gli uffici di “Obama for America” che, contea per contea, puntano a favorire un’affluenza record di ispanici e afroamericani soprattutto nelle roccaforti democratiche rivelatisi decisive quattro anni fa: da Miami nel Sud a Jacksonville nel Nord. L’early voting è per tradizione un’arma dei Democratici, in quanto l’elettorato repubblicano preferisce andare a votare nel giorno delle elezioni, ma mai come in questa occasione il fenomeno è stato sfruttato in modo così sistematico. Jim Messina, direttore a Chicago del quartier generale di “Obama for America”, ha dichiarato che l’early voting può garantire al presidente uscente addirittura un margine di vantaggio “fra il 15 e il 35%” in diversi Stati.

Sul fronte opposto, gli strateghi repubblicani Stuart Stevens e Rich Beeson giocano una partita assai differente. Per accorgersene basta guardare gli spot tv in spagnolo trasmessi da Romney in Florida: a parte la lingua, sono uguali in tutto a quelli destinati al resto della popolazione. Ovvero, mentre i Democratici puntano a mobilitare gli ispanici facendo leva sul tema dell’immigrazione, i Repubblicani fanno appello all’economia, proprio come avviene con tutti gli altri potenziali elettori. La campagna di Romney non ha dunque una strategia di comunicazione ad hoc verso gli ispanici, come invece le aveva suggerito di fare Jeb Bush, l’ex governatore della Florida convinto della necessità che i Repubblicani “strappino ai Democratici il tema della riforma dell’immigrazione”. Romney è convinto che ai seggi gli immigrati ispanici “voteranno per una svolta sull’economia come tutti gli altri americani perché in palio c’è l’American Dream. Tale posizione lo trasforma in interlocutore per quegli ispanici che sono già riusciti ad integrarsi nel sistema produttivo, ma lo priva dei favori di chi ha più a cuore la sorte di amici, parenti e conoscenti alle prese con un’immigrazione difficile, spesso alle soglie dell’illegalità. Dietro tale posizione repubblicana c’è un tipo di campagna opposto rispetto a Obama: l’intenzione non è di competere nel diventare il partito delle minoranze, bensì di riuscire nell’impresa di sommare il voto della maggioranza degli uomini bianchi con quello della maggioranza delle donne bianche. Se è vero che negli ultimi venti anni gli uomini bianchi hanno in media favorito i Repubblicani e le donne bianche i Democratici, Romney vuole scardinare questo equilibrio facendo leva sui timori di madri e mogli per la disoccupazione di figli e mariti, per il caro benzina, il rincaro dei prezzi del cibo e l’aumento della povertà. Non è un caso che durante il dibattito all’Hofstra University (il secondo della serie), Romney ha rimproverato a Obama “i 4,5 milioni di donne povere in più” registrati dal 2008. Gli ultimi sondaggi Associated Press suggeriscono che Romney sia riuscito a riequilibrare i favori delle donne fra i due partiti: se ciò dovesse confermarsi nell’Election Day, potrebbe essere un dato decisivo.  La Florida è una cartina tornasole di tale processo perché sono le donne residenti nei sobborghi suburbani bianchi delle popolose contee di West Palm Beach e Broward che probabilmente faranno la differenza nell’assegnazione di uno Stato combattuto all’ultimo voto.

Più in generale, a una settimana dal voto, è possibile affermare che in Florida entrambe le campagne sembrano centrare i propri obiettivi perché l’early voting vede affluire ai seggi un numero di ispanici e afroamericani superiore a quello del 2008 e perché i Repubblicani possono vantare una maggiore credibilità fra le elettrici bianche. Sarà naturalmente lo spoglio a svelare quale dei due processi avrà, alla fine, maggiore forza numerica. Ma l’importanza dello scontro non può sfuggire: se gli ispanici confermeranno la Florida a Barack si tratterà di una prova di forza destinata ad accelerare la trasformazione multietnica dei Democratici, mentre se la “coalizione bianca” premierà i Repubblicani Barack Obama potrebbe perdere la Casa Bianca.

 

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