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Parigi: il cambio di passo dei terroristi

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Sei atti terroristi hanno colpito contemporaneamente Parigi, nella serata di venerdì 13 novembre. Sette degli otto attentatori si sono fatti esplodere, cosa che complica il riconoscimento degli esecutori. Solo uno è stato identificato: è un trentenne di nazionalità francese. Per quanto riguarda i mandanti, a conferma dell’immediato sospetto, il comunicato ufficiale di rivendicazione è stato diffuso nella mattinata di sabato. Lo Stato Islamico (IS, o Daesh nella dizione araba) si attribuisce la responsabilità politico-militare per i 129 morti di Parigi: l’attacco alla “capitale delle abominazioni e della perversione, che in Europa porta la bandiera della croce”, è la risposta “alla lotta della Francia contro l’Islam e agli attacchi aerei contro le terre del Califfato”, cioè la Siria. Bersagli dei terroristi sono stati la zona dello stadio e poi bar, terrazze, ristoranti, locali: con l’obiettivo dunque di seminare quanta più paura, fare quanti più morti, ricevere quanta più copertura mediatica possibile.

A differenza che nel caso di Charlie Hebdo infatti (dello scorso gennaio), ed è il primo grande dato da tenere presente, stavolta è stata presa di mira tutta la città di Parigi, la vita della capitale nel suo insieme: nessun obiettivo specifico. Una logica puramente e pienamente terroristica, proprio perché ogni singolo individuo, senza distinzione, è considerato un bersaglio.

L’antiterrorismo francese si aspettava, per sua ammissione, un attacco in grande stile. Riteneva però impossibile prevederlo con precisione, benché, come successo in passato, probabilmente conoscesse già l’identità degli attentatori. Ma per comprendere meglio le circostanze cui ci troviamo davanti dobbiamo considerare tre elementi fondamentali.

Per prima cosa, quelle del 13 novembre sono le ultime di una lunga catena di azioni condotte e progettate contro la Francia o sul territorio francese. In gennaio, la strage di Charlie Hebdo e quella del supermercato ebraico Hyper Kasher: rispettivamente 12 e 4 morti. In aprile, l’arresto dello studente parigino Sid Ahmed Ghlam, trovato in possesso di un arsenale e accusato di voler assaltare chiese a Villejuif, sobborgo della capitale. In agosto, il tentativo di Ayoub al-Qhazzani, marocchino trasferitosi prima in Siria e poi in Francia, che apre il fuoco sul treno Amsterdam-Parigi, bloccato da un gruppo di marines che viaggiavano per caso sullo stesso vagone.

Ma – secondo elemento essenziale – nessuno di questi attacchi, nemmeno le uccisioni perpetrate nel 2012 nella zona di Tolosa da Mohammed Merah, è paragonabile all’ultimo per ampiezza e organizzazione. Gli attentati del 13 novembre non sono un “progresso” rispetto ai precedenti registrati in Francia, ma costituiscono un vero e proprio cambiamento di registro. Secondo due modelli: la strage del 2013 a Nairobi, quando un commando armato fino ai denti si trincerò per quattro giorni nel centro commerciale Westgate facendo 68 morti; e quella a Mumbai nel 2008, quando dieci attentatori colpirono allo stesso tempo cinque luoghi diversi della città, facendo 173 morti. Simultaneità, coordinamento, mediaticità, violenza indiscriminata: in questo consiste il salto di qualità nell’organizzazione degli attacchi sul territorio francese. Ciò è dovuto, lo confermano i servizi di sicurezza, all’afflusso continuo in Europa di guerriglieri veterani che hanno combattuto con Daesh in Iraq e in Siria. Questi rinforzi hanno migliori contatti con il traffico internazionale di armi e sono capaci di trasmettere la loro esperienza – grazie alla formazione tecnico-militare ricevuta in Medio Oriente – alle cellule terroriste meno efficienti.

Infine, il massacro di Parigi si lega anche agli attentati “urbani” che hanno colpito l’Europa una decina di anni fa: 191 morti sui treni dei pendolari diretti alla stazione madrilena di Atocha nel 2004, 56 morti nei vagoni della metropolitana di Londra nel 2005. Le stragi, rivendicate da Al-Qaeda, colpivano i due paesi europei che avevano collaborato di più con gli Stati Uniti nell’occupazione dell’Iraq.

Nella rivendicazione dell’IS è centrale il riferimento al conflitto in Siria, a cui la Francia partecipa direttamente (con raid aerei) a fianco degli USA da due mesi: movente, questo, coerente anche con l’abbattimento dell’aereo di linea russo sul Sinai due settimane fa, anch’esso rivendicato dall’IS. La Russia, che però finora ha respinto una tale interpretazione, partecipa ai bombardamenti sulla Siria da un mese e mezzo. Non bisogna poi dimenticare – e questo spiegherebbe il particolare accanimento dei terroristi contro il paese, e anche la proliferazione di cellule sul territorio nazionale – il protagonismo della Francia in diversi conflitti in cui i jihadisti sono sul fronte opposto, sono insomma nemici: in Libia, in Mali, in Iraq. Non per caso François Hollande ha definito gli attentati “un atto di guerra commesso dall’esercito terrorista Daesh”.

Il presidente francese ha aggiunto che questi atti di “barbarie” sono stati pensati e preparati dall’estero, e commessi in Francia grazie a decisive complicità internazionali. Dall’opposizione, Nicolas Sarkozy non ha fatto mancare il suo sostegno. Marine Le Pen, da parte sua, ha preferito sottolineare l’insicurezza in cui ormai vivrebbero i francesi, la necessità di recuperare controllo sulle frontiere e l’obbligo di troncare ogni legame con quei paesi che sostengono i jihadisti – riferendosi agli emirati del Golfo.

Nel paese sono stati dichiarati tre giorni di lutto e lo “stato di urgenza”, cosa che non avveniva dai tempi della guerra d’Algeria. All’epoca la Francia affrontava terrorismo e tentativi di golpe, ma non aveva mai subito un singolo attentato così grave. Lo stato d’urgenza, introdotto nel 1955 e reso più stringente nel marzo di quest’anno, dovrebbe durare dodici giorni, ma può essere prolungato per decreto: per facilitare il lavoro della polizia prevede la sospensione delle libertà di circolazione, domicilio, riunione, stampa. Inoltre, ogni manifestazione nella regione di Parigi, anche quelle di solidarietà, è vietata per non distrarre personale della polizia dai compiti di controllo; la frontiera (in uscita) è ora sottoposta a controlli molto rigidi.

“La Francia non avrà pietà per i barbari”, ha concluso Hollande. Maggiori particolari sulla risposta che il paese intende dare all’atto terrorista saranno rivelati nei prossimi giorni, ma sembra che un atteggiamento di grande fermezza sia già definito.