international analysis and commentary

Papa Francesco visto dalla Cina

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Conversazione con Anthony Lam, Holy Spirit Study Centre, Hong Kong

“Ai cinesi piace molto papa Francesco, perché avendo passato anni a seguire i poveri, sono certi che si preoccuperà soprattutto delle persone che soffrono, anche in Cina. Ma, affinché questo avvenga davvero, ci vorrebbe un cambiamento da parte di Pechino, che in genere non ama chi difende i diritti umani e le libertà”. Sul miglioramento dei rapporti tra Cina e Vaticano Anthony Lam, direttore del Holy Spirit Study Centre di Hong Kong e della rivista Tripod, grande esperto della Chiesa cattolica cinese, non nasconde il suo scetticismo ma “dobbiamo vedere che cosa succederà nei prossimi mesi”, vista la fase di grandi cambiamenti potenziali in corso: Xi Jinping, segretario generale del Partito comunista, è stato nominato presidente della Repubblica popolare cinese il 14 marzo; papa Francesco viene eletto guida della Chiesa cattolica solo nove giorni dopo. Per questo “non è facile predire che cosa succederà”.

Il popolo cinese “ha accolto bene l’elezione di papa Francesco e i cattolici hanno già espresso il desiderio che possa visitare la Cina”, cosa che a Benedetto XVI non è stato permesso di fare. Ma “al governo cinese non importa se Bergoglio viene dall’Argentina, un paese non occidentale in senso classico, piuttosto che ad esempio dall’Italia: per Pechino la Chiesa è sempre la stessa, il Vaticano non cambia perché cambia il papa. Negli ultimi due mesi, in effetti, non c’è stato nessun cambiamento nei rapporti tesi tra Cina e Santa Sede”, anche se è certamente presto per dare valutazioni generali.

In occasione della messa d’insediamento di papa Francesco, Pechino non ha inviato nessun rappresentante e si è limitato a dichiarare, con la portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying: “Speriamo che con la leadership del nuovo papa, il Vaticano adotti un atteggiamento pratico e flessibile, che possa creare le condizioni per migliorare i rapporti fra Cina e Vaticano”. In questo senso, Pechino non ha apprezzato che papa Bergoglio abbia ricevuto, tra gli altri capi di Stato, anche quello di Taiwan, Ma Ying-jeou. Il Vaticano è l’unico Stato europeo (uno dei 23 nel mondo) ad avere relazioni diplomatiche con Taiwan, che la Cina non ha mai riconosciuto come Stato indipendente, e Pechino ha più volte invitato la Santa Sede a tagliare i rapporti diplomatici con Taiwan.

Secondo Lam, “sia il Vaticano, con il nuovo papa, sia il governo cinese, vogliono stringere un rapporto diplomatico normale, ma non so come potrebbero ottenere questo risultato. Ogni volta che il Vaticano fa un passo in avanti per venire incontro alla Cina, Pechino risponde che non è il momento giusto per trattare. Ci vuole molto tempo per costruire un rapporto migliore e ora, con tutte le novità appena intercorse, non è il momento giusto per nessuno dei due”.

Intanto, dall’elezione di papa Francesco e Xi Jinping non ci sono stati miglioramenti nella situazione delle minoranze religiose, che continuano ad essere perseguitate in Cina. “Il primo obiettivo di Pechino è mantenere la stabilità interna e conservare il potere nelle mani del Partito – continua Lam – Perché questo possa avvenire tutto deve essere controllato, chiese e minoranze religiose incluse. Nonostante negli ultimi anni si respiri un maggior clima di apertura, il Partito comunista guida ancora saldamente il paese e nessuno è in grado di insidiarlo”. Secondo l’esperto, solo nel 2012 sono stati riscontrati 132 casi di persecuzione in Cina, cioè il 41,9% in più del 2011. 4.919 cristiani sono stati perseguitati, di cui 442 sacerdoti o pastori, cioè il 13,8% in più del 2011; 1.441 persone sono state imprigionate, di cui 236 sacerdoti o pastori, cioè l’11,8% in più rispetto all’anno precedente; nove persone sono state giustiziate, cioè il 125% in più del 2011. Inoltre, 28 persone hanno subito pestaggi o torture, il 16,7% in più rispetto all’anno precedente. Particolarmente dura è stata la persecuzione dei tibetani e dei membri del Falun Gong. Analisi confermata anche dall’ultimo rapporto sulla libertà religiosa in Cina redatto dal governo degli Stati Uniti, che parla di una situazione in continuo peggioramento.

I cinesi però, spiega Lam, sperano che papa Francesco “prosegua sulla strada intrapresa da Benedetto XVI”, che con una lettera inviata il 27 maggio 2007 ai vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese ha invitato la Chiesa a riconciliarsi senza più distinguere tra “patriottici” e “sotterranei”. L’unità della Chiesa in Cina, infatti, è stata minata fin dal 1957 da Mao Zedong con l’istituzione della “Associazione patriottica”, ente legato al Partito comunista che offre un surrogato della Chiesa cattolica. La cosiddetta Chiesa ufficiale organizza messe, catechismo, ordinazioni episcopali come se fosse la Santa Sede e pretende di essere indipendente da Roma e dal papa, considerato “un capo di Stato straniero ostile”. L’Associazione patriottica e la Conferenza dei vescovi cinesi, che nel Diritto canonico modificato da Pechino sostituisce l’autorità del papa, non sono riconosciuti dal Vaticano. Benedetto XVI nel 2007 ha chiesto alla Chiesa di riunirsi, dichiarando però inaccettabile l‘Associazione Patriottica, che con i suoi tentativi di “indipendenza”,  o “autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa” rischia di snaturare la vita stessa della comunione cattolica.

Sullo sfondo di una situazione così complessa, il primo banco di prova di un nuovo e rinnovato rapporto tra Santa Sede e Cina si avrà proprio nelle prossime settimane. Il 27 aprile scorso, infatti, è morto il vescovo di Shanghai monsignor Jin Luxian, approvato sia da Pechino che dal Vaticano, ricorda Lam. Il suo legittimo successore è monsignor Ma Daqin, consacrato vescovo ausiliare il 7 luglio 2012 con l’approvazione di Pechino e del Vaticano. Il giorno stesso, però, è stato posto agli arresti domiciliari dopo avere annunciato davanti a tutti che avrebbe abbandonato l’Associazione patriottica. “Per questo la Conferenza dei vescovi cinesi gli ha anche revocato il titolo di vescovo”, spiega Lam. Ora che Jin Luxian è morto, ha dichiarato Savio Hon, segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, “il legittimo vescovo di Shanghai è diventato Ma Daqin. La Santa Sede precisa che nessuna ‘Conferenza dei vescovi, soprattutto se illegittima, ha il potere di cancellare il mandato pontificio”.

Spiega Anthony Lam che “secondo alcune nostre fonti pechinesi il governo non intende riconoscere il vescovo Ma, vuole nominarne uno del nord e mandarlo a Shanghai”. Questo è il “primo vero banco di prova per Xi Jinping e papa Francesco”: se infatti la Cina deciderà di liberare Ma e di riconoscerlo vescovo di Shanghai, sarebbe un grande passo avanti anche per la diplomazia tra i due Stati. Ma Lam è scettico: “Io dubito che ci sarà una normalizzazione dei rapporti nei prossimi mesi: speriamo per i prossimi anni”.