Il discorso tenuto il primo giorno dell’anno dal dittatore Kim Jong-un in occasione del nuovo anno offre alcune indicazioni sui prossimi passi della Corea del Nord. Anzitutto sulla propaganda interna, che sarà intensificata per rafforzare la posizione del leader. È stato infatti sottolineato l’impegno in corso per “l’identificazione e l’epurazione di faziosi controrivoluzionari opposti al partito”. Il dittatore intendeva riferirsi a Jang Song-thaek (suo zio acquisito) e la sua cerchia: giustiziato il primo ed epurati i secondi, con modalità che in effetti non hanno precedenti nella storia del paese. Il potente numero due del regime era l’uomo che vantava i rapporti più stretti con la Cina e che aveva come compito quello di sviluppare l’economia, membro “acquisito” dalla famiglia Kim avendo sposato la sorella del generale ed ex dittatore del paese Kim Jong-il. Alla morte di questi, era diventato il principale tutore e braccio destro del nuovo e giovane leader. Jong-un ha fatto arrestare lo zio lo scorso 8 dicembre in pubblico, davanti ai membri del Comitato centrale del Politburo del partito, e lo ha fatto condannare a morte da una corte marziale, con pena eseguita il 12 dicembre. Tra le tante accuse, Jang è stato riconosciuto colpevole di voler tentare un “golpe controrivoluzionario” per deporre il nipote e “prendere il potere con la scusa dello stato disastroso dell’economia”.
Secondo uno dei massimi esperti del regime nordcoreano come Andrei Lankov, l’uccisione di Jang potrebbe portare al crollo di un mito tra il popolo nordcoreano. La propaganda di regime ha sempre diffuso l’idea che le figure ai vertici del sistema fossero monoliticamente unite attorno al leader. Ora l’unità è stata infranta in modo plateale e molti potrebbero anche domandarsi come Kim Il-sung, il padre della patria, giudicato come infallibile, possa aver fatto sposare alla figlia Kim Kyong-hui (rivelato appunto, almeno ufficialmente, un traditore). È anche per evitare questo genere di speculazioni che nel suo discorso Kim Jong-un ha cercato di rassicurare la nazione sia sulla corretta scelta di uccidere Jang ed epurare molti dei suoi più stretti collaboratori, sia sull’unità del partito.
L’accusa più grave che è stata rivolta a Jang, se si considerano le sue implicazioni sulla politica estera e sulla sopravvivenza stessa del regime, è di “aver venduto a prezzo troppo basso le nostre risorse naturali a un paese straniero”. Il paese straniero, ovviamente, è la Cina, che non ha ovviamente apprezzato la critica, pur mossa in modo indiretto. Pechino è il più grande sostenitore e finanziatore di Pyongyang, ed è già nota da tempo l’irritazione per le continue minacce del regime alla Corea del Sud e la durissima retorica nucleare. Soprattutto sotto la presidenza di Xi Jinping, le critiche al vicino nordcoreano si sono fatte frequenti: la Cina, infatti, si trova già ai ferri corti con il Giappone per il possesso delle isole Senkaku/Diaoyu nel Mar Cinese orientale, e intervenire in un’eventuale guerra coreana è l’ultima cosa di cui avrebbe bisogno. Pechino ha sempre mantenuto in vita il regime nordcoreano per avere un alleato, anche se indisciplinato, nella penisola coreana e per non lasciarla all’influenza degli Stati Uniti, senza però mai riuscire a imporre la sua volontà a Pyongyang. Dopo l’esecuzione di Jang, ha manifestato il suo malcontento interrompendo alcune importanti partnership economiche, a cominciare da quella su Hwanggumphyong, un’isola di 11km quadrati sul fiume Yalu che definisce il confine tra i due paesi. Nel 2012 era stato raggiunto un accordo proprio con Jang Song-thaek per investire nell’area circa 13 milioni di dollari grazie alla partecipazione di almeno 30 finanziatori privati, ma l’instabilità politica nordcoreana ha ora congelato il progetto. Minacciare rappresaglie economiche è sicuramente l’arma principale di Pechino, visto che lo stesso Kim Jong-un, nel suo discorso, si è soffermato molto sull’importanza quest’anno di “dare una svolta decisiva all’agricoltura”, migliorando “le tecniche di produzione” per ricostruire l’economia. Difficile che questo obiettivo possa essere raggiunto senza l’aiuto della Cina e delle 13 zone economiche speciali che dovrebbero partire nel 2014 e che Jang avrebbe dovuto supervisionare.
Pechino e Pyongyang, per quanto i loro rapporti siano ora peggiorati in modo significativo, hanno ancora bisogno l’uno dell’altro: oltre alle considerazioni geopolitiche regionali nella prospettiva cinese, la Corea del Nord può contare su 216 milioni di tonnellate di terre rare (secondo un recente studio geologico). Questa scoperta, se confermata, raddoppierebbe le stime sulle riserve mondiali di terre rare finora conosciute, il cui maggior detentore è già proprio la Cina. Tra i maggiori importatori di questi minerali, preziosissimi per l’alta tecnologia, sono Giappone, Stati Uniti e Corea del Sud; c’è dunque l’opportunità di aprire perfino orizzonti completamente nuovi per il futuro economico nordcoreano. Se le previsioni sui giacimenti di terre rare fossero confermate, intanto, la possibilità di una concessione per lo sfruttamento dei giacimenti potrebbe ammorbidire l’atteggiamento di Pechino.
Il recente discorso di Kim Jong-un conferma infine un terzo elemento, più tradizionale: il 2014 vedrà ricorrenti picchi di violenta retorica anti-americana. Pyongyang ha sempre alzato i toni e paventato guerre nucleari per ottenere aiuti internazionali sotto forma di alimenti e materiali da costruzione, oltre che per cementare il popolo attorno alla leadership mantenendo un perenne e fittizio stato di crisi. Ora che un “traditore” e un “controrivoluzionario” è stato rinvenuto perfino all’interno della famiglia Kim, Pyongyang non potrà fare a meno di ritornare a questa tattica, che certo non favorirà la stabilità regionale.