Amato: C’è in essi una voluta carica populista, che Obama ha ritenuto evidentemente necessaria per rianimare un elettorato incerto e perplesso davanti alle perduranti difficoltà dell’economia e dell’occupazione. Obama aveva probabilmente pensato che la riforma sanitaria bastasse da sola a dimostrare il suo impegno innovativo sul piano interno. Ma questo si è rivelato un calcolo troppo razionale davanti agli attacchi continui che la riforma ha subito e data la circostanza (non sufficientemente valutata) che una buona parte dell’elettorato democratico già disponeva di una copertura sanitaria. E allora quello che doveva essere un secondo tempo, la riforma delle regolazioni finanziarie, è venuto in primo piano e c’è venuto col massimo di carica “anti-pescicani”, un motivo tradizionale e radicatissimo della politica americana (la difesa dei piccoli contro i grandi che li sfruttano), a cui fra l’altro dobbiamo lo Sherman Act, la legge antitrust.
Aspenia online: Il Presidente ha ragione a criticare la recente sentenza della Corte suprema sull’abolizione dei limiti al finanziamento delle campagne elettorali?
Amato: Ha assolutamente ragione. La sentenza porta all’estremo più paradossale la garanzia del Primo Emendamento. La sua logica è che il finanziamento di una parte politica, o di un personaggio politico, esprime una opzione ideale, concorre strumentalmente a realizzarla: per cui porre dei limiti significa limitare la libertà di far valere le proprie opinioni.
Ora, nessuno può credere seriamente che di questo soltanto si tratti e che non vi sia, nei robusti finanziamenti delle imprese e delle lobby, una “ipoteca” del candidato a favore dei propri interessi commerciali. Il limite quantitativo dei finanziamenti serve appunto ad evitare, o quanto meno a ridurre, questa ipoteca. Che la maggioranza della Corte suprema abbia finto di non saperlo è davvero grave.
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Il testo del discorso sullo stato dell’Unione, Barack Obama, 27 gennaio 2010