international analysis and commentary

L’Ucraina e il seme della mobilitazione politica

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Da Kiev arrivano notizie di gravi violenze, alternate a barlumi di tentativi negoziali tra il presidente Yanukovich e i suoi oppositori. Il timore concreto di perdere del tutto il controllo delle piazze, e in misura minore le minacce di sanzioni internazionali, potrebbero spingere il presidente a fare concessioni, ma il destino dell’Ucraina non sarà deciso davvero in questi giorni convulsi e tragici. Dipenderà piuttosto dall’interazione tra le forze interne al paese che oggi si stanno scontrando frontalmente, e che nel prossimo futuro forse accetteranno di competere secondo le regole della pacifica competizione – e convivenza – politica. I tempi di evoluzione di questa crisi saranno lunghi perché il confronto in atto riflette una transizione molto incompleta, sia sul piano politico-sociale sia su quello economico. L’Ucraina è tuttora uno stato post-sovietico che è stato già governato da diversi gruppi dirigenti, tutti sostanzialmente incapaci di tenere distinti i ruoli istituzionali dal potere di una ristretta e spregiudicata oligarchia economica. Ma è anche il paese della “rivoluzione arancione”, cioè di un movimento di protesta civica, nato circa dieci anni fa, che ha messo radici. Quel modo di contestare il potere arbitrario, e quella forma di mobilitazione politica, possono andare sottotraccia in alcune fasi, ma sono destinati a riemergere quando il dissenso raggiunge una soglia critica.

Non è certo l’Occidente (gli Stati Uniti, e tantomeno l’Europa) a fomentare le proteste, né sarà la Russia di Putin a fermarle per sempre; siamo di fronte a una società mobilitata e pronta a lottare per poter manifestare le proprie opinioni. Se ne è accorto anche Yanukovich, ma resta da vedere se è disposto a trarne le logiche conseguenze prima di essere travolto – o magari estromesso da qualche congiura di palazzo.

Il seme della mobilitazione si è ormai impiantato in Ucraina, e nessun governo (locale o straniero) riuscirà a estirparlo, perché l’abitudine e la capacità di fronteggiare apertamente il potere costituito si sono ormai diffuse nella società. Più precisamente, si tratta di un “meme”, che una vivace letteratura sull’evoluzione culturale (con concetti mutuati in parte dall’evoluzione biologica) definisce come ogni creazione culturale in grado di diffondersi per imitazione, trasformarsi, e riprodursi. Il termine ricorda, non a caso, i concetti di “gene” e appunto di “seme”, essendo un’unità che si auto-replica; in questo caso è prodotta dalle menti umane attraverso i comportamenti e gli scambi di messaggi.

L’apprendimento per imitazione è un meccanismo potentissimo, che naturalmente viene accelerato dai più moderni mezzi di comunicazione, e che rende quasi impossibile il controllo autoritario di una società con alti livelli di interconnessione tra individui e gruppi.

Va aggiunto che il “meme” della contestazione di piazza non è necessariamente liberale e tollerante, e può sempre produrre effetti non intenzionali – lo abbiamo visto chiaramente nelle rivolte arabe. Ma è comunque in grado di minare le basi del potere politico, ed è quello che sta accadendo oggi in Ucraina.