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L’offensiva di Sarkozy nella lunga campagna di Francia

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La corsa alla presidenza della Repubblica francese, a circa un mese dal primo turno (22 aprile), è sempre più incerta. Dopo aver ostentato indifferenza verso una campagna già nel vivo da mesi, nelle ultime due settimane Nicolas Sarkozy è riuscito a imporre temi e toni agli altri candidati, grazie a una strategia comunicativa che ha già fatto registrare un certo impatto sulle intenzioni di voto. D’altra parte François Hollande, lo sfidante socialista, non vuole modificare le linee della propria azione per non mostrarsi intimorito dal presidente uscente; tuttavia, è costretto a sperare che il ritrovato protagonismo di Sarkozy lo aiuti a mobilitare il proprio elettorato più di quanto fino a oggi sia riuscita a fare la sua stessa campagna.

I sondaggi più recenti mostrano infatti un netto recupero di Sarkozy: lo scarto che lo divideva da Hollande al primo turno sembra essere stato colmato, sebbene quest’ultimo rimanga in testa nelle previsioni sul ballottaggio, cioè al secondo turno previsto dalla legge elettorale. L’obiettivo strategico del presidente uscente è quello di concludere in testa già il primo turno per sfruttare l’effetto psicologico di una grande rimonta (rispetto ai sondaggi, appunto): questo potrebbe convincere gli elettori di centrodestra, che sembrano piuttosto delusi dal suo quinquennato, ad abbandonare i propositi astensionisti finora registrati dalle inchieste e votare per lui al secondo turno.

Sarkozy è dunque riuscito a calamitare l’attenzione generale. Ciò è avvenuto sia grazie agli strumenti utilizzati, cioè una serie di grandi convention all’americana che gli hanno consentito di occupare il maggior spazio possibile sui media (ben sapendo che solo a partire da questa settimana ai candidati sarà riservato lo stesso tempo di parola). Ma anche grazie al contenuto del messaggio rivolto all’opinione pubblica: Sarkozy ha scopertamente adottato un discorso gollista, moltiplicando gli appelli al popolo come esclusiva fonte di legittimazione e oggetto del proprio agire politico. Aidez-moi, aiutatemi, è la celebre frase di Charles de Gaulle che il presidente uscente ripete come un mantra, rivolgendosi alla “maggioranza silenziosa” dell’elettorato.

Inoltre, Sarkozy non ha mancato di portare l’Europa al centro del dibattito. Da un lato, ciò gli consente di evidenziare alcuni successi personali ottenuti in politica estera, come ad esempio la firma del Trattato sul “fiscal compact” – per il quale, infatti, Angela Merkel ha già offerto il suo sostegno diretto alla campagna del suo collega di Parigi, con un gesto non consueto in ambito europeo. Dall’altro, Sarkozy ha colto l’occasione per lanciare una serie di proposte di cui la “France forte” (questo lo slogan della campagna) si farà portatrice: la revisione in senso restrittivo degli accordi di Schengen; il rafforzamento del controllo sull’immigrazione alle frontiere esterne dell’Unione; la difesa delle aziende europee mediante commesse pubbliche che privilegino per legge le imprese continentali – richiamandosi al Buy American Act in vigore negli Stati Uniti. Se i partner comunitari non dovessero concordare su un tale programma, il presidente si dice pronto perfino ad abbandonare il tavolo delle trattative, adottando così la strategia gollista della sedia vuota.

Benchè Nicolas Sarkozy non abbia ancora presentato un vero programma politico, queste proposte sono state capaci di parlare all’elettorato tradizionale del centrodestra, ai proprietari di imprese grandi e piccole (la Confindustria francese aveva già fatto capire di preferire la riconferma dell’attuale Capo di stato a qualsiasi altra opzione) e anche a una consistente fetta di chi si dichiara convinto dal discorso xenofobo e isolazionista del Front national. Meno positive le reazioni all’estero: a Bruxelles, molti diplomatici e funzionari hanno manifestato il loro disappunto, e la stessa Angela Merkel è arrivata a mettere in dubbio il comizio a due che a breve dovrebbe tenere col presidente francese.

François Hollande non ha saputo per il momento opporsi efficacemente all’offensiva di Sarkozy. Se il principale sfidante è l’unico ad aver presentato, già alla fine di gennaio, un programma organico di governo, ciò sembra ora risultare uno svantaggio tattico: la sua capacità d’impatto nell’arena dello scontro mediatico è infatti limitata. L’ultimo colpo a effetto segnato da Hollande risale ormai a tre settimane fa, e consiste nella proposta di tassare al 75% i redditi oltre il milione di euro. Si tratta del resto di un’idea coerente con le sue intenzioni in materia di economia e finanza: il programma socialista, tenendo conto di tendenze piuttosto condivise nell’opinione pubblica, prevede che alle banche francesi sarà vietato operare nei paradisi fiscali, che lo strumento delle stock options sarà a disposizione solo delle imprese nascenti (mentre sarà proibito a tutte le altre) e che le transazioni finanziarie saranno tassate. Inoltre, promette l’eliminazione degli sconti fiscali operati da Sarkozy ai grandi patrimoni. Ma resta il fatto che la tempistica non avvantaggia lo sfidante per l’Eiliseo.

François Hollande ha così cercato di rispondere al presidente uscente anche sul terreno della politica continentale: il 17 marzo, a Parigi, i principali leader delle forze aderenti al Partito socialista europeo – tra cui il presidente della SPD Sigmar Gabriel e il segretario del PD Pierluigi Bersani – hanno espresso il loro sostegno a Hollande e alla sua idea di rivedere le priorità della Banca Centrale Europea e rinegoziare il Trattato sul federalismo fiscale per aggiungervi alcuni strumenti che favoriscano la crescita economica oltre al rigore di bilancio (come gli Eurobond).

Nel frattempo, Hollande ha comunque perso mordente sui temi della politica interna. Il candidato socialista aveva avuto buon gioco nell’attaccare i magri risultati del quinquennato di Sarkozy nel campo economico e sociale, e aveva incassato anche il sostegno del principale sindacato francese: la CGT, per la prima volta in un’elezione presidenziale, ha preso posizione chiedendo ai suoi iscritti di votare “contro Sarkozy”. Ma ora, grazie allo spostamento del baricentro della campagna sui temi identitari, come l’immigrazione e il controllo delle frontiere, il suo discorso rischia di impantanarsi nei dibattiti sul controllo della carne halal (secondo i riti islamici) o sulla rimozione della parola “razza” dalla Costituzione.

La polarizzazione della campagna sta svantaggiando alcuni dei candidati minori, come il centrista europeista François Bayrou, ma non tutti. Non sembra nuocere troppo a Marine Le Pen: la leader del Fronte Nazionale, nonostante le difficoltà per raccogliere le adesioni necessarie per presentare la propria candidatura ufficiale, raccoglierebbe secondo i sondaggi tra il 15 e il 18% del voto dei francesi.

Mentre è praticamente scomparsa dalla circolazione l’esponente ecologista Eva Joly, è invece Jean-Luc Mélenchon, ex ministro e senatore socialista e oggi leader del Front de gauche, ad avere il vento in poppa. Il candidato dell’estrema sinistra, attraverso una serie di grandi manifestazioni di piazza, chiama i suoi elettori all’”insurrezione civica” e alla “rivoluzione cittadina”: l’elezione presidenziale dovrebbe infatti servire da molla per costruire una Sesta Repubblica basata sulla valorizzazione dell’essere umano e sulla costruzione di un nuovo modello economico. Mélenchon riceve spesso i complimenti di Nicolas Sarkozy: meglio lui che una pallida copia socialdemocratica, sembra voler dire il presidente, di certo consapevole del problema che rappresenta per Hollande il rafforzamento del candidato alla sua sinistra. Per ora, sia Mélenchon che i suoi elettori sembrano persuasi dell’argomento del voto utile: al secondo turno sosterranno il candidato più vicino alle loro idee.

Per il resto, l’ultimo mese prima del voto, grazie alla regola del tempo di parola uguale per tutti, è tradizionalmente più favorevole alle candidature “minori”. Sarkozy e Hollande saranno dunque impegnati, in questa fase, nel tour delle regioni, per conquistare spazio sui diffusissimi media locali: c’è da scommettere che ci saranno altri colpi di scena nella campagna elettorale.