international analysis and commentary

L’evoluzione della politica di difesa tedesca e le priorità internazionali

288

Il governo tedesco ha approvato, in marzo, un importante aumento della spesa militare per il prossimo quadriennio pari a 8 miliardi di euro (cioè +6%, rispetto al bilancio 2015). Nell’attuale panorama europeo, nel quale i Paesi dell’UE fanno generalmente fatica a mantenere i propri impegni di bilancio e in molti casi hanno tagliato le risorse allocate ai rispettivi Ministeri della Difesa, il caso tedesco desta una certa sorpresa: Ciò anche per l’esitazione che ha storicamente caratterizzato l’approccio tedesco alle questioni militari.

Per comprendere le ragioni di questo salto in avanti, è opportuno guardare innanzitutto alle principali direttrici della politica di difesa tedesca a partire dalla fine della Guerra fredda. Tre aspetti meritano attenzione. In primo luogo, la Germania ha sistematicamente cercato di ancorare la propria difesa in un quadro multilateralista composito: la NATO, la cooperazione franco-tedesca, l’Europa, le Nazioni Unite.

In secondo luogo, per via della configurazione costituzionale del Paese, il Parlamento tedesco ha storicamente giocato un ruolo di primo piano nella formulazione della politica di difesa (a differenza, per esempio, di quanto avviene nel Regno Unito o in Francia), favorendo con una certa sistematicità la diluizione delle riforme governative. La Germania è stata infatti una degli ultimi Paesi europei ad aver abolito il servizio militare obbligatorio, mentre la trasformazione delle proprie forze armate, in senso netcentrico, è stata molto più lenta se paragonata a quanto avvenuto altrove.

Infine, e con alcuni legami rispetto alle due precedenti considerazioni, la Germania ha storicamente speso in difesa meno di quanto chiedeva la NATO (1.2% contro 2% del PIL, rispettivamente) e in ogni caso meno di Paesi con comparabile peso economico e politico, quali Francia e Gran Bretagna.

Come spiegare, dunque, un aumento tanto importante delle spese militari del Paese, recentemente annunciato? E soprattutto, fino a che punto questo sviluppo è in contraddizione con la linea di politica di difesa seguita fin ad oggi dalla Germania? Per rispondere a questa duplice domanda è utile ragionare su tre livelli differenti, quello internazionale, quello nazionale, e quello individuale delle personalità politiche.

In primo luogo, il sistema internazionale è cambiato profondamente negli anni recenti. Se nel 2003 o nel 2011, gli interventi in Iraq o Libia – entrambi criticati da Berlino, con conseguente rifiuto di partecipare – potevano essere classificati wars of choice e quindi opzionali, la crisi in Ucraina lascia inevitabilmente minori spazi di scelta. La minaccia è chiara ed è vicina: i Paesi che confinano con la Federazione Russa ad Est della Germania sono minacciati – direttamente o indirettamente – dalle recenti iniziative russe. Di conseguenza, la Germania è chiamata più chiaramente a contribuire alla sicurezza collettiva e la sua classe politica sembra averne preso atto: il governo di Berlino è stato fermo nelle sue posizioni, dalla condanna dell’invasione della Crimea al varo delle sanzioni contro Mosca – pur perseguendo assieme a Parigi un canale negoziale tuttora aperto.

In secondo luogo, bisogna guardare al Paese e, in particolare, alle sue disponibilità, militari e finanziarie. Da una parte, le forze armate tedesche vivono una situazione precaria. Lo scorso anno, un’analisi pubblicata dal settimanale Der Spiegel ha illustrato un’ampia serie di problemi che mettono in discussione l’efficacia militare della Germania. In particolare, solo una minima parte dei mezzi militari in dotazione alle forze armate tedesche sarebbero effettivamente disponibili ed impiegabili. Anche se alcune delle conclusioni a cui l’inchiesta è giunta sembrano esagerate, una commissione parlamentare ha successivamente confermato molte delle criticità rilevate dallo Spiegel. Di conseguenza, la Germania non sarebbe in grado di far fronte agli impegni minimi concordati con la NATO in una vasta gamma di eventuali crisi. Dall’altra parte, l’economia tedesca sta attraversando una fase particolarmente florida. Per la prima volta, nella sua storia, il Paese ha chiuso il proprio bilancio in pareggio – obiettivo parzialmente raggiunto negli anni passati anche grazie alla mancata spesa, proprio da parte delle forze armate, di fondi a loro stanziati. Al bisogno di ulteriori risorse, si sovrappone dunque la loro effettiva disponibilità.

Infine, si può fare una considerazione legata alla personalità dell’attuale Ministro della Difesa: Ursula von der Leyen. In carica dal 2013, il Ministro ha dimostrato di possedere la leadership necessaria per tradurre effettivamente a livello operativo gli input provenienti dal sistema internazionale. Rispetto ai suoi predecessori, questa è infatti riuscita progressivamente a far emergere una linea meno ostile alla difesa (che aveva tradizionalmente caratterizzato gli esecutivi Merkel) e quindi ad iniziare delle importanti riforme (quali quella del procurement) e in ultima analisi ad ottenere un aumento del proprio bilancio. Va anche riconosciuto ad Angela Merkel il ben noto pragmatismo nell’adattare la linea politica del Paese alle nuove esigenze, con la sua proverbiale prudenza ma anche con determinazione.

Quali sono dunque i prossimi passi che possiamo attenderci? In primo luogo, va sottolineato come questo importante aumento della spesa militare tedesca non intacchi le tre direttrici che hanno caratterizzato la politica di difesa del Paese a partire dalla fine della Guerra fredda: l’architrave multilateralista, il ruolo del Parlamento e neppure i vincoli alle risorse allocate al Ministero della Difesa. La Germania rimarrà in ogni caso significativamente lontana dall’obiettivo NATO del 2% di spesa militare sul PIL. Ciò detto, verosimilmente è possibile aspettarsi ulteriori evoluzioni su alcuni fronti rilevanti.

Nel 2012, la fusione tra BAE Systems e Airbus Military (allora EADS) fallì principalmente per l’opposizione/disinteresse del governo tedesco. Il “nuovo corso” di Berlino, unito all’attivismo del Ministro von der Leyen, sembra suggerire una maggiore attenzione alla base industriale e al suo posizionamento in Europa. A partire dal 2013, l’industria militare tedesca ha iniziato un importante processo di consolidamento ed è probabile che questo continui negli anni a venire, anche a livello transnazionale. Per quanto riguarda il procurement, è facile pensare che la Germania lanci nel breve-medio termine nuovi programmi d’arma e investa ulteriori risorse in ricerca e sviluppo. Alla luce delle difficoltà economiche francesi, il peso della Germania è quindi destinato a crescere nell’Europa della difesa e non si può quindi escludere che la partnership franco-britannica sia costretta, almeno in parte, ad aprirsi anche a Berlino. Più difficile, invece, comprendere la direzione verso cui saranno orientate le forze armate tedesche in termini di struttura e principali modalità di impiego. L’esitazione che ha storicamente caratterizzato la Germania sulle questioni militari ha in parte favorito, negli anni passati, il raffreddamento delle relazioni con Parigi. Il Ministro von der Leyel propone ora una politica estera più “muscolare”. Non è però chiaro, e anzi è lecito dubitare, che la Germania si metta alla guida delle iniziative di cooperazione e integrazione nell’Europa Centrale e Orientale volte a contrastare l’attivismo russo. Come la politica estera tedesca nel suo insieme, anche le priorità di sicurezza saranno sottoposte a pressioni e impulsi contrastanti.