international analysis and commentary

L’Europa politicizzata

288

Per la prima volta dal 1979 – anno della introduzione delle elezioni dirette del Parlamento di Strasburgo – l’Europa è politicizzata. È normale, dopo anni di crisi, che insieme alla politica emerga anche il dissenso: l’Europa non è più un tabù e quindi divide. Ciò è evidente da anni in altri paesi ma non in Italia, dove l’Europa è spesso stata vissuta in modo fideistico, come una patria sostitutiva e migliore. Per sfuggire al fideismo contrario, è decisivo distinguere fra critiche fondate e critiche strumentali. Cosa possibile solo avendo ben chiaro il quadro di riferimento.

UE significa, anzitutto, che una quota molto rilevante della legislazione nazionale è ormai di derivazione europea. È decisa quindi anche da noi, quando siamo seduti a Strasburgo e a Bruxelles e dipende dal nostro peso negoziale. Per questa ragione, solidità domestica e capacità negoziale in Europa si saldano: senza tanti complimenti, l’UE rispecchia in effetti debolezza e forza delle sue singole componenti nazionali. Ciò significa, fra l’altro, che la politica europea è diventata nel tempo una politica “intra-domestica”, più che appartenere alla sfera della politica estera. L’interferenza reciproca – nel bene e nel male – è una conseguenza inevitabile della “condivisione” di sovranità. Sono tutti motivi che comunque spingono a votare, invece che ad astenersi; e che rendono assai poco credibili illusioni varie di “isolazionismo” nazionale.

Proprio perché i confini fra Unione e nazioni sono diventati labili, l’Europa non può che essere oggetto di scontro politico interno. Come è abbastanza naturale a valle della prima crisi esistenziale che ha colpito l’euro, gli euroscettici e gli anti-europei hanno argomenti da utilizzare. Il problema – per gli europeisti pragmatici o ideali – non è demonizzarli. È smontarli: essere pro-europei significa essere critici dell’UE attuale in modo costruttivo invece che distruttivo.

Se l’UE è ormai parte del dibattito politico nazionale, resta difficile capire se possa anche diventare uno spazio politico transnazionale, come richiede un’Unione con aspetti federali. Il progetto europeo, nato dal trauma delle grandi guerre del secolo scorso, è stato per decenni un progetto delle élite, che ha goduto del consenso passivo e abbastanza inconsapevole della gente. La sfida è di ottenere un consenso attivo; dimostrando che Europa e democrazia possono rafforzarsi a vicenda invece che indebolirsi reciprocamente.

Compiendo un passo in questo senso, le principali famiglie europee hanno indicato il loro candidato a presidente della Commissione. Chi voterà, avrà una voce in capitolo. Vedremo se tale meccanismo, in parte contemplato dal Trattato di Lisbona, riuscirà a ridurre i tassi di astensionismo. E vedremo se l’indicazione vincente verrà rispettata, alla prova dei fatti, dal Consiglio europeo. Fra il Consiglio, ossia la Camera degli Stati, e il Parlamento europeo, quella dei cittadini, la tensione resta notevole; mentre la Commissione appare indebolita. Sarà decisivo evitare – la presidenza italiana avrà il problema sul tavolo – un immediato stallo istituzionale. Per funzionare, l’UE ha bisogno sia di accordi fra gli Stati nazionali (e anzitutto di un’intesa Germania-Sud, dopo la frattura geopolitica degli ultimi anni), sia di una sorta di “grande coalizione” su scala continentale per il rilancio dell’economia. La nuova Commissione funzionerà se rifletterà entrambe queste condizioni. E se si orienterà, salvato l’euro ai prezzi dell’austerità, su crescita ed occupazione. Altrimenti, l’UE perderà ancora tempo e consenso.