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L’en plein interno di Hollande e le difficili strategie europee

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François Hollande è riuscito nell’en plein. Dopo essere diventato il secondo presidente socialista nella storia della Quinta repubblica francese, il nuovo capo dello stato potrà contare sulla maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale. È questo il verdetto del secondo turno delle elezioni legislative: la “normalizzazione” del fronte interno consentirà al président di portare avanti con più tranquillità la sua complicata strategia europea.

Il voto regala al partito socialista (PS) e alle piccole componenti collegate 314 seggi su 577. All’interno della coalizione presidenziale – e rappresentati all’interno del governo da un ministro – si trovano anche i Verdi, che grazie ad accordi di desistenza eleggono 17 deputati; ancora più a sinistra, i 10 seggi ottenuti dal Front de Gauche non consentono alla sinistra radicale di costituire un gruppo parlamentare. Il nuovo esecutivo, affidato all’ex capogruppo socialista Jean-Marc Ayrault, sarà dunque sorretto da una maggioranza socialista autosufficiente: un dato che nella politica francese non si verificava dal 1981.

Le elezioni legislative sono state davvero amare per l’ex presidente. Il suo partito, l’UMP, perde più di un terzo della sua truppa parlamentare (passando da 313 a 194 seggi); l’elettorato ha poi decretato lo smantellamento del clan Sarkozy, il gruppo delle personalità più legate all’ex capo dello stato. L’ex ministro dell’Interno Claude Guéant è stato sconfitto in un collegio della corona parigina, considerato blindato; altri fedelissimi, tra cui Nadine Morano, molto attiva in campagna elettorale, hanno subito la stessa sorte.

Altri nomi eccellenti della politica transalpina hanno visto le loro aspirazioni frustrate dal voto. Marine Le Pen non ha ottenuto l’agognato seggio, che avrebbe coronato l’ottimo risultato raggiunto come candidata all’Eliseo. Nella IX circoscrizione del Pas de Calais, ex zona mineraria e una delle province in cui il Front National (FN) è cresciuto di più, è stata superata da un esponente socialista locale per soli 118 voti. Contro di lei, in una sorta di tempo supplementare della simbolica battaglia già intrapresa in maggio, si era schierato anche Jean-Luc Mélenchon. Il leader del Front de Gauche è giunto però terzo al primo turno restando escluso dal ballottaggio, ritrovandosi così senza scranno parlamentare.

Al FN non è comunque riuscito lo sbarco in forze all’Assemblea: nonostante sia il terzo partito più votato (13,6%), potrà contare solo su due deputati. La legge elettorale a doppio turno punisce infatti le forze minori che non riescono ad accordarsi con i partiti più grandi. Non tutta la discendenza del fondatore può però considerarsi insoddisfatta: tra i due eletti c’è la nipote Marion Maréchal-Le Pen, che a ventidue anni sarà la più giovane deputata dell’Assemblea.

Nemmeno nel partito socialista manca qualche “vittima” illustre. Ségolène Royal, ex candidata alla presidenza nel 2007 e sconfitta alle primarie che in ottobre avevano incoronato Hollande, è stata nettamente battuta nel suo collegio da un dissidente interno. Non avendo ottenuto una poltrona ministeriale, ed essendogli ora preclusa anche quella della presidenza dell’Assemblea, la sua carriera politica subirà un deciso arresto. Anche la figura di François Bayrou appare al tramonto: il leader della formazione centrista MoDem assiste al crollo del suo partito (dal 7,6% di cinque anni fa all’1,8 odierno), ed esce dal parlamento dopo essere stato sconfitto nel suo collegio.

Il risultato non poteva essere migliore per François Hollande. Il dominio sarkozista sull’UMP è ridotto in pezzi; l’eventuale confronto con la sinistra radicale, che durante la campagna elettorale aveva preoccupato i socialisti per la capacità di pescare nel proprio elettorato di riferimento, è rinviato di cinque anni – anche se c’è da scommettere che Jean-Luc Mélenchon si farà sentire, nelle piazze, in opposizione ai provvedimenti di risparmio sulla spesa pubblica che in ogni caso dovranno essere adottati. Gli stessi Verdi non sono in condizione di influire troppo, data la maggioranza assoluta di cui gode il PS già da solo.

Infine, il peso degli avversari interni è ai minimi termini: l’uscita di scena di Ségolène Royal segue l’emarginazione di Martine Aubry (attuale segretaria del partito e principale avversaria alle primarie), che non solo non ha ottenuto lo sperato posto di primo ministro, ma ha anche visto la sua componente penalizzata nella distribuzione delle poltrone di governo. L’esecutivo Ayrault – composto per la metà da donne, ed è la prima volta in Francia – è pieno di personalità alla prima esperienza ministeriale ed è presidiato, nei posti chiave, dai fedelissimi del presidente.

Hollande ha dunque le spalle coperte, in patria, per affrontare con Angela Merkel la rinegoziazione della politica economica europea. In un memorandum trasmesso sabato a Berlino e a Bruxelles, ha voluto precisare le richieste francesi: in dettaglio, si tratta dell’emissione di titoli del debito a corto termine per ammorbidire la situazione dei paesi in grave crisi di liquidità, della socializzazione della parte del debito dei paesi dell’eurozona superiore al 60% del Pil, della possibilità per il Fondo salva-stati di ricapitalizzare direttamente le banche senza pesare sui bilanci degli stati.

Il documento riflette i mutati rapporti di forza a livello europeo. La proposta francese è però priva di un qualsiasi riferimento al rafforzamento delle istituzioni, che sarebbe necessario per dotare la politica economica continentale della legittimazione e del controllo democratico che ancora mancano, e che sono una delle cause della debolezza dell’euro, moneta senza stato. La risoluzione di questa questione è rimandata a una road map della durata di dieci anni da seguire sotto l’egida dei capi di stato europei: è evidente dunque la conferma della precedente impostazione intergovernativa, e la prudenza che soddisfa la forte componente, presente all’interno dei socialisti francesi, contraria a ulteriori cessioni di sovranità: due degli esponenti più in vista, Laurent Fabius e Bernard Cazeneuve, sono stati nominati da Hollande rispettivamente ministri degli Esteri e degli Affari europei.

Il menu economico ha però qualche probabilità di essere approvato. Hollande, in questo, gode del sostegno non solo del governo italiano e greco, ma anche della crescente approvazione dell’esecutivo spagnolo, che durante la crisi bancaria che ha colpito quel paese ha avuto un forte momento di dissidio con Angela Merkel. È evidente anche a Berlino che un mutamento di linea è necessario, e l’assenza dal dossier francese del tema degli Eurobond rende possibile, da parte del fronte dei paesi che sostengono la linea del rigore, l’apertura di un sentiero di trattativa. La Francia può contare poi sull’appoggio dei socialidemocratici tedeschi, seriamente candidati a vincere le elezioni politiche del settembre 2013, e di quello del presidente americano Barak Obama: gli Stati Uniti, dopo un lungo periodo di suasion leggera, hanno intensificato le pressioni perchè l’Europa adotti una politica monetaria più espansiva. La possibilità che l’eurozona si spacchi preoccupa molto Washington: le prospettive di ripresa economica, e le possibilità di Obama di essere rieletto (si vota a novembre) ne sarebbero fortemente compromesse.

Sembra tuttavia che sarà il 2013 l’anno in cui il ripensamento delle scelte economiche e politiche che interessano l’Europa potrà essere affrontato in maniera più completa. Non è probabile che Angela Merkel, nell’anno che precede le elezioni politiche, sia disposta a giocarsi la credibilità di cui gode in Germania con delle concessioni troppo generose. Sarà con il nuovo Cancelliere, e con il parlamento che lo sosterrà, di qualunque colore essi siano, che Hollande e la Francia dovranno giocare le loro carte: sia per la destra che per la sinistra tedesca, cambiamenti nelle scelte economiche devono seguire, non precedere, la costruzione di un’Unione politica più forte. Dal riequilibrio dell’asse franco-tedesco prenderà forma l’Europa di domani.