“Letargocrazia”: così il filosofo Peter Sloterdijk ha definito, forse un po’ ingenerosamente, la politica tedesca, colpevole ai suoi occhi di non incidere davvero su una realtà considerata, da destra e da sinistra, abbastanza soddisfacente. Effettivamente, nonostante l’importanza del voto per gli scenari continentali, il risultato elettorale delle prossime politiche – una riconferma di Angela Merkel – è considerato quasi scontato.
Due, e interconnessi, sono gli aspetti che interessano i principali partner della Germania: per prima cosa, la composizione della futura maggioranza di governo – il partito della Cancelliera, la CDU, dovrà trovare un alleato, scegliendo tra la riproposizione della litigiosa alleanza con i liberali dell’FDP o una nuova Große Koalition con i socialdemocratici dell’SDP. E poi, la futura politica europea della Germania: in che modo la Cancelliera vorrà concretizzare il concetto di “Europa rigorosa e solidale”, suo cavallo di battaglia.
Angela Merkel ritarda da molti mesi il concreto avvio dei cambiamenti già discussi in seno all’UE, come ad esempio l’unione bancaria, per evitare possibili fattori di disturbo o impopolarità in campagna elettorale. Parigi e Londra, anch’esse più che prudenti quando si tratta di cedere sovranità, non l’hanno certo tirata per la giacca. Il pronosticato successo elettorale renderà la Cancelliera sufficientemente forte per giocare la sua partita a Bruxelles, ormai il quadro entro cui hanno comunque un effetto le scelte del governo di Berlino. Perdurante la debolezza del versante meridionale dell’UE, sarà dunque l’eventuale intesa tra Germania, Francia e Regno Unito a disegnare il prossimo futuro dell’Europa.
È impossibile tuttavia definire con precisione le future intenzioni tedesche: lo spazio che la campagna elettorale offriva al dibattito sulle soluzioni alla crisi è restato inutilizzato, per una serie di ragioni. La gestione degli affari europei da parte della Cancelliera è considerata piuttosto positivamente in Germania: la stessa opposizione non ha fatto mancare, negli ultimi anni, il suo consenso in parlamento. Tre tedeschi su quattro sono convinti che il governo abbia fatto il suo dovere a Bruxelles e che le proprie prospettive economiche siano “piuttosto buone”. Sono numeri che ogni politico europeo guarda con invidia; una discussione dai toni più accesi, o più demagogici, avrebbe potuto però modificarli. Da un lato, favorendo gli euroscettici di Alternative für Deutschland (AfD), che sono dati dai sondaggi poco sotto la soglia di sbarramento del 5%; dall’altro, surriscaldando il sentimento antitedesco nel resto del continente – che la Cancelleria non ha alcun interesse a rinfocolare né prima né dopo il voto.
Ciò considerato, appare insensato prevedere una Merkel inflessibile sulle questioni europee durante il suo terzo mandato: non dobbiamo aspettarci un “prendere o lasciare” dunque, ma un atteggiamento più conciliante. Il comportamento della Cancelliera sarà influenzato sia dalla necessità di recuperare popolarità internazionale, sia dai suoi ormai proverbiali pragmatismo e prudenza – senza comunque dimenticare che la Germania resta il fattore chiave per qualunque decisione a livello continentale.
E le urne potrebbero rafforzare ancor più la preminenza tedesca su Londra e Parigi. In caso di vittoria, la Bundeskanzlerin sarebbe uno dei pochissimi leader europei ad aver attraversato indenne gli anni della crisi, che altrove hanno invece provocato veri e propri terremoti politici. Benché un triplo cancellierato non sarebbe una novità per i democristiani tedeschi – Konrad Adenauer ed Helmut Kohl hanno mantenuto il posto rispettivamente per 14 e 16 anni, mentre Angela Merkel è in carica solo dal 2005 – la Cancelliera si troverebbe a trattare con “colleghi” in crisi di popolarità, contando invece su un formidabile consenso interno. Le proposte di Berlino, inoltre, sarebbero sorrette dalla potenza economica tedesca, da tempo ben più in salute delle controparti inglesi e francesi.
Nel caso inglese, un’affermazione elettorale netta di Angela Merkel complicherebbe la posizione del Regno Unito rispetto alle istituzioni di Bruxelles. Londra, come noto, è determinata a non collaborare a un’ulteriore integrazione europea, anche a costo di ritrovarsi isolata – come quando non volle firmare (unico Stato membro insieme alla Repubblica Ceca) il Patto di bilancio dell’UE nel marzo 2012. Punterà dunque a ostacolare, per quanto possibile, le manovre di Berlino.
Un esecutivo tedesco a guida conservatrice, che ha già dimostrato di voler applicare con rigidità ai paesi europei “indisciplinati” proprio molte delle politiche che il governo inglese applica ai propri cittadini, sarà però difficilmente attaccabile, almeno sul piano economico. Il blocco ideologico-mediatico che poggia sui Tories del premier David Cameron e sulla City di Londra – che non recede dalla sua strenua opposizione all’euro – avrebbe certamente vita più facile dovendo affrontare una Germania a trazione socialdemocratica. L’argomento nazionalista – ossia l’impronta tedesca che avranno le riforme continentali – potrebbe essere utilizzato dagli euroscettici dell’UKIP per raccogliere nuovi consensi in vista delle delicatissime elezioni europee del 2014. Un successo di questa formazione renderebbe non solo più concreta la possibilità di un’uscita del Regno Unito dall’UE – ipotesi che conservatori e laburisti vogliono scongiurare a ogni costo, e che preoccupa anche gli Stati Uniti – ma darebbe inoltre nuovo fiato agli indipendentisti scozzesi, notoriamente europeisti.
Il dopo-elezioni tedesche sarà solo leggermente più facile per la Francia di Hollande, che potrà decidere se riavvicinarsi a Berlino per guidare “insieme” le riforme europee, o piuttosto costruire un fronte alternativo capace di moderare le intenzioni della Germania – Parigi, Madrid e Roma vorrebbero ad esempio che i fondi dell’European Stability Mechanism venissero utilizzati per consolidare i rispettivi sistemi bancari, mentre i partiti tedeschi sono tutti contrari.
Entrambe le strade saranno comunque piene di ostacoli. Solo un anno fa Hollande vinceva le elezioni con un approccio fortemente contrario alla gestione tedesca dell’economia europea. Si pensava allora che l’SPD – in quel momento in gran forma – avrebbe finito per scalzare Angela Merkel dalla Cancelleria e riformato l’UE in comunione con i socialisti francesi. Le cose sono andate ben diversamente; eppure, Berlino e Parigi non possono proprio permettersi di non ricucire appieno la loro profonda relazione. La Germania non può tentare di costruire la sua “Europa forte” senza l’appoggio del vicino e tradizionale partner: il resto del continente la considererebbe una pura imposizione di forza. E l’idea di un fronte alternativo di paesi potrebbe sfumare non appena uno di questi avesse bisogno del consenso tedesco sui propri malridotti bilanci.
Un governo di grande coalizione in Germania potrebbe quindi essere un utile strumento di compromesso. Naturalmente, i liberali dovrebbero ottenere un risultato elettorale abbastanza cattivo da poter essere considerati “bocciati” dall’elettorato, così come AfD – partito che chiede l’uscita della Francia dall’eurozona. In un governo con l’indebolita SPD, Angela Merkel ricoprirebbe in ogni caso il ruolo della domina, assicurandosi allo stesso tempo coesione interna e approvazione internazionale – la Große Koalition è auspicata anche da Barack Obama. François Hollande, e con lui parte dell’opinione pubblica e dei governi d’Europa, sarebbero certo rassicurati – benché questo non assicuri automaticamente nessun maggior margine di manovra e flessibilità nelle trattative a Bruxelles.
D’altronde, alcune delle soluzioni che la CDU propone per l’Europa – esecutivo forte e presidente della Commissione eletto dal popolo – non sono disprezzate dai socialisti francesi, paradossalmente più preoccupati dall’ampliamento dei poteri del parlamento europeo sostenuto dai socialdemocratici tedeschi. In estrema sintesi, si può dire che la forma che assumerà la futura Unione Europea sarà decisa ancora una volta da sottili compromessi tra le due sponde del Reno.