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L’economia egiziana ostaggio dell’instabilità politica

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Sullo sfondo della delicatissima transizione politica e del grave scontro istituzionale scatenato dalle recenti iniziative del presidente Mohamed Morsi, lo scorso 20 novembre il Fondo monetario internazionale ha annunciato un’intesa con il governo egiziano per la concessione di un prestito da 4,8 miliardi di dollari. L’accordo preliminare, concesso in tre tranches ad un tasso agevolato dell’1,06%, dovrebbe diventare definitivo il 18 dicembre, quando l’Egitto riceverà la prima quota da utilizzare per rilanciare l’economia e dare fiducia agli investitori nazionali ed esteri.

È dal 1993 che il Cairo non chiede prestiti al FMI, ma l’economia egiziana versa in condizioni talmente difficili che il governo ha bisogno di un aiuto finanziario imminente per evitare il default. Come ha spiegato il capo delegazione del FMI al Cairo, Andreas Bauer, al quotidiano egiziano al-Ahram, l’Egitto intende adottare “politiche di riduzione degli sprechi e riformare il sistema fiscale – con un probabile aumento delle tasse – per far fronte alle grandi sfide economiche e sociali che il paese affronta dal 2011”. Secondo le stime dell’organizzazione, i principali indicatori dell’economia egiziana mostrano dati preoccupanti: nel 2012 si è registrato un rallentamento del PIL superiore al 2%; l’inflazione ha raggiunto il 13%; il tasso di disoccupazione è salito al 12% (la disoccupazione giovanile raggiunge almeno il 25%) e soprattutto le riserve straniere sono precipitate a 15 miliardi di dollari (dai 36,2 miliardi di dollari del dicembre 2010). La mancata riduzione della povertà, che tocca il 40% della popolazione, e il crescente debito estero contribuiscono a rendere la situazione estremamente grave.

Nel concreto, il governo dovrà dare risposte ai problemi più critici e urgenti, come il finanziamento dell’approvvigionamento energetico e alimentare (l’Egitto è dipendente dall’estero per il 40% del fabbisogno energetico e più del 60% di quello alimentare) e il pagamento degli stipendi pubblici. Gli stipendi dei sei milioni di dipendenti pubblici sono stati aumentati del 15% lo scorso luglio e si calcola che potranno essere pagati solo attraverso una ristrutturazione del sistema dei sussidi statali (solo quelli per benzina e grano incidono per il 45% della spesa pubblica). Il premier Hisham Qandil e il ministro delle Finanze Momtaaz al-Said hanno spiegato che le necessarie riforme economiche e fiscali permetteranno al paese di ridurre il deficit di bilancio dall’attuale 11% ad almeno l’8,5% del PIL entro il 2013. Le priorità dovrebbero essere la modernizzazione e liberalizzazione del sistema economico e sulla riforma della spesa pubblica.  La ristrutturazione delle entrate e delle uscite, secondo quanto previsto da Qandil, consentirà all’Egitto di raggiungere una crescita del PIL del 3,8% entro il prossimo anno. La ripresa dovrebbe continuare arrivando al 6,5% entro il 2016 e al 9,8% nel prossimo decennio.

Il rischio principale per la ripresa economica egiziana risiede tuttavia nell’instabilità politica interna, con effetti immediati sui dati economici: solo nella giornata del 25 novembre la Borsa del Cairo ha perso quasi il 10%, e in una settimana le contrattazioni hanno segnato una perdita pari a oltre cinque miliardi di dollari. L’assenza di un accordo tra presidenza e magistratura civile che garantisca stabilità al paese potrebbe far rivedere la decisione del FMI congelando, o addirittura bloccando, il maxi prestito e facendo così sprofondare l’economia egiziana verso il default finanziario.

Il prestito del FMI non è però il solo aiuto internazionale che l’Egitto sta trattando: il Consiglio di Cooperazione del Golfo ha infatti promesso 18 miliardi di dollari, mentre altri 20 dovrebbero essere erogati dai paesi del G8. L’Unione Europea, per parte sua, dovrebbe erogare prestiti del valore di 3,5 miliardi di euro attraverso la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS). Infine, a settembre (in piena campagna elettorale) il presidente Obama aveva cancellato una parte del debito estero egiziano nei confronti di Washington (circa 1,3 miliardi di dollari) in cambio di un maggiore impegno del Cairo in programmi di sicurezza e difesa nel Sinai e lungo il confine della Striscia di Gaza.

La crisi istituzionale egiziana e la paralisi della ripresa economica aprono foschi scenari di un avvitamento della crisi in atto: se gli aiuti venissero revocati, si potrebbe aprire un nuovo fronte di instabilità nella già travagliata transizione egiziana.