international analysis and commentary

Le ragioni della forza e della politica

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Proprio nel momento in cui l’Europa sta discutendo quello che l’Italia voleva da mesi – un sistema più solido di ripartizione dei rifugiati, la modifica di fatto del regolamento di Dublino, un piano europeo di rimpatrio per i migranti economici – Roma teme di essere lasciata sola. La linea italiana sta finalmente prevalendo, sulla carta. Nei fatti, non è così chiaro quanto l’Italia ne trarrà aiuti concreti sul fronte che più la coinvolge direttamente: l’implosione della Libia, con i suoi effetti sul traffico di esseri umani verso le coste italiane.

La realtà, infatti, è che la scossa tedesca sul problema dei rifugiati – seguita dalla nuova proposta della Commissione – è nata dalla e sulla tragedia siriana. Dopo mesi di colpevole disattenzione di fronte ai progressi e alle nefandezze dell’ISIS, la tragica foto di Bodrum ha risvegliato le coscienze europee. In una tipica divisione di ruoli – e di propensioni – la Germania di Angela Merkel ha aperto la porta a centinaia di migliaia di profughi siriani (l’ha invece chiusa ai balcanici e ai migranti economici); mentre la Francia ha annunciato, con la conferenza stampa ieri di Francois Hollande, di avere avviato voli di ricognizione sul territorio siriano in vista di eventuali bombardamenti dell’ISIS.

Nelle parole di commento di Matteo Renzi (l’Italia non partecipa a iniziative che Francia e Inghilterra hanno annunciato di studiare) pesa l’esperienza di interventi passati (le modalità e gli esiti dell’intervento in Libia, anzitutto) e gioca la legittima convinzione che sia indispensabile un accordo politico. I passi diplomatici delle scorse settimane – con una sorta di ritorno in campo di Russia ed Iran – vanno in questo senso e al tempo stesso ripropongono il nodo ineludibile (cui il premier italiano ha infatti accennato) del ruolo di Assad. Sono parole pesate, quindi; da parte del leader di un paese che peraltro partecipa attivamente alla coalizione anti-ISIS. È importante aggiungere, io credo, che in Siria il tempo sta decisamente scadendo, con un dramma umanitario senza precedenti. Se un accordo politico non verrà raggiunto rapidamente (fra i quattro paesi che possono fare la differenza: Stati Uniti, Russia, Iran e Arabia Saudita), l’unica forza ad avanzare sarà l’ISIS, ormai vicina a Damasco. E a quel punto, in assenza di interventi efficaci, potremo solo sperare che altre centinaia di migliaia di siriani riescano a fuggire; dopo averli lasciati premere per anni nei paesi confinanti (dalla Giordania alla Turchia), l’Europa deve almeno predisporsi ad accoglierli. Lo scatto della leadership tedesca è nato qui. La stessa reazione dovrebbe coinvolgere anche paesi extra-europei, inclusi Stati Uniti ed Australia (che hanno annunciato ieri alcuni primi passi in questo senso). Per la ragione – semplice per il Diritto internazionale, meno per la prassi – che l’accoglienza dei rifugiati va considerata una responsabilità globale. In questo caso, una responsabilità non solo europea – come ha sottolineato al Forum Ambrosetti di Cernobbio Peter Sutherland, inviato speciale per le migrazioni del segretario generale delle Nazioni Unite.

La Siria è una priorità: umanitaria e per il futuro dell’area medio-orientale. Che ricorda all’Europa, con la plastica semplicità delle tragedie, il legame fra politiche migratorie e politica estera. Un sistema europeo di asilo è certamente necessario; le quote sono utili; distinguere fra rifugiati e migranti economici è ormai indispensabile; le frontiere europee vanno considerate europee e non solo nazionali, con tutto ciò che ne consegue (a cominciare da un rapporto virtuoso fra solidarietà e responsabilità). Ma tutto questo non basterà mai senza la capacità di intervenire sulla fonte primaria dei problemi. La sfida, per un paese nella posizione geopolitica dell’Italia, è di fare in modo che la reazione sulla Siria non resti un’eccezione; e non sia limitata alle rotte balcaniche. L’implosione della Libia e il traffico di essere umani attraverso il Mediterraneo pongono e porranno problemi simili; ma almeno in parte sollevano problemi molto più collegati alla gestione dell’immigrazione in quanto tale, dell’emigrazione economica. Che Roma non potrà affrontare sola.

 

Una versione di questo articolo è stata pubblicata su La Stampa l’8 settembre 2015.