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Le Olimpiadi ad alto rischio per Vladimir Putin

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Non è difficile prevedere che le Olimpiadi di Sochi saranno ricordate tra le più controverse della storia contemporanea. La consacrazione di Putin come il leader che ha restituito alla Russia un ruolo da assoluta protagonista nello scacchiere geopolitico mondiale, obiettivo primario dell’evento, potrebbe essere ribaltata dall’insicurezza e dalle polemiche sui diritti civili e politici. I Giochi potrebbero dunque paradossalmente rappresentare l’inizio della parabola discendente del presidente, a causa di minacce sia endogene che esogene.

All’esterno, la crisi ucraina ha sostanzialmente scosso la certezza di Putin di essere riuscito a completare il suo progetto politico. La costruzione di un’unione doganale con i principali Stati dell’ex dominio sovietico (soprattutto i più estesi, Ucraina e Kazakistan) avrebbe significato un passo importante verso l’antica influenza detenuta in Eurasia. Ma l’Ucraina, dopo il fallimento dell’accordo con l’Unione Europea nel novembre scorso, è stata lacerata da una crisi politica che ha portato il paese sull’orlo di una guerra civile. Certo di aver vinto la partita – alcuni dei disordini più gravi si sono scatenati proprio all’annuncio di un nuovo patto economico di Kiev con la Russia, in dicembre – Putin si ritrova invece alle prese con uno scenario dagli esiti più incerti che mai: una parte della società ucraina è disposta a tutto pur di non farsi (ri-)assorbire nell’area d’influenza russa.

Il governo di Mosca, non volendo oscurare la positiva visibilità mediatica offerta dai Giochi, ha ufficialmente scelto un atteggiamento di basso profilo rispetto a quanto accade in Ucraina; concretamente però ha già sospeso gli aiuti economici che aveva garantito a Kiev in cambio della mancata firma del trattato con l’UE.

Dunque, Putin e il Cremlino non hanno affatto smesso di interessarsi degli affari ucraini, né sono restati a guardare di fronte all’offensiva diplomatica euro-americana: soprattutto, contano sul fatto che un accordo politico tra governo e opposizioni è ancora lontano, e che quindi è possibile indebolire la corrente politico-sociale filo-occidentale. Un’Ucraina destabilizzata e in preda agli scontri di piazza, in cui le parti non riescano a raggiungere un compromesso, potrebbe essere più  influenzabile da parte del suo grande vicino settentrionale.

Se l’Ucraina è una partita da giocare sul lungo termine con stile e tecniche che sembrano usciti dalla guerra fredda, il pericolo di attentati terroristici ha di fatto trasformato i giochi di Sochi nelle Olimpiadi più sorvegliate della storia. Si tratta di una sorveglianza onnipresente, visibile sia per le migliaia di agenti disseminati a Sochi, sia per il controllo digitale senza precedenti messo in piedi da Mosca. I due attentati terroristici delle scorse settimane che hanno causato 34 morti a Volgograd (la ex Stalingrado, non lontano sia dal confine ucraino che da quello kazako) hanno ricordato al mondo che queste Olimpiadi sono potenzialmente molto rischiose anche per via della loro collocazione geografica. Sochi si trova infatti alle porte di quel Caucaso che è una delle regioni geopoliticamente più complesse e turbolente del mondo.

Mai in passato i Giochi si sono svolti in una località prossima ad una zona di guerra, perché il Caucaso russo è di fatto un’area in cui gli scontri armati sono all’ordine del giorno. Putin, dalla sua ascesa al potere nel 1999, ha portato avanti una lotta senza quartiere al separatismo ceceno, poi diventato terrorismo di matrice religiosa. Benché il sanguinoso conflitto (almeno nella sua fase acuta) sia stato “vinto” da Mosca, è ancora presente oggi un’attività di guerra “a bassa intensità”, che coinvolge tutta l’area, che solo nel 2013 ha visto la morte di oltre 127 uomini delle forze di sicurezza russe e di un numero imprecisato di “terroristi” o guerriglieri.

L’intera regione è stata sottoposta a incessanti operazioni di rastrellamento e anti-terrorismo. Gli episodi violenti si sono estesi dalla Cecenia al Daghestan, all’Inguscezia e alla Kabardino-Balkaria (a meno di 300 km da Sochi). Le attività terroristiche, in quest’area dov’è prevalente la religione islamica, non poggia su un gruppo o una struttura organizzativa predominante, ma si basa su cellule piccole e indipendenti che possono organizzare attentati in modo autonomo, quindi particolarmente difficili da contrastare. Per le Olimpiadi, è arrivato così anche il supporto dei servizi di sicurezza americani, preoccupati per eventuali appoggi da parte del terrorismo internazionale.

Nel disegno della “grande Russia” perseguito da Putin in tutta la sua carriera politica, il Caucaso è strategicamente vitale, anche e soprattutto per il suo peso economico – che ne face peraltro un obiettivo primario anche durante la seconda guerra mondiale. La supremazia su questa regione garantisce alla Russia il controllo del commercio del petrolio e del gas delle repubbliche centro-asiatiche: sia per la rendita di posizione costante che deriva dal ruolo di intermediario, sia per la capacità di impedire al mercato internazionale l’accesso a queste commodities.

Le minacce al successo delle Olimpiadi di Sochi non si limitano al terrorismo: l’autoritarismo putiniano in tema di diritti civili è ora un danno evidente per l’immagine internazionale della Russia. La questione dei diritti, e in particolare quelli concernenti la libertà di orientamento sessuale, è stata per mesi sulle pagine dei giornali di tutto il mondo, portando molte nazioni (Stati Uniti compresi) a scegliere un/una porta-bandiera olimpico che chiaramente contrastasse con le idee “tradizionaliste” del Kremlino.

Perfino il segretario dell’ONU Ban Ki-moon ha deciso di criticare apertamente la Russia per le politiche restrittive e persecutorie della libertà di orientamento sessuale degli individui. Intanto, l’enorme apparato di sicurezza punta anche a evitare che manifestazioni di dissenso proprio verso tali scelte di Mosca, o di dissenso politico più generale, possano trovare nelle Olimpiadi una cassa di risonanza. La sicurezza controlla non solo gli spettatori, ma persino gli atleti che sono stati diffidati dal mettere in scena qualsivoglia forma di “propaganda politica” durante le gare e le diverse cerimonie.

Il tentativo sistematico di ridurre al silenzio ogni forma di dissenso riflette il carattere marcatamente autoritario del regime di Putin, che non può certo sorprendere dopo quindici anni alla guida del Cremlino; ma a questo si aggiunge ora la preoccupazione di Mosca.  che le deteriorate condizioni economiche dovute al calo del prezzo degli idrocarburi sul mercato internazionale rendano inevitabili alcune misure di austerity. Queste potrebbero sfociare in manifestazioni di piazza e alimentare il dissenso, rivitalizzando un’opposizione che al giorno d’oggi è più popolare all’estero che nella stessa Russia.

La gestione intransigente delle proteste sui diritti civili, il irrisolto nodo geopolitico dell’Ucraina, e l’incombente stagnazione economica, hanno di fatto creato un pericoloso mix. Il destino delle Olimpiadi di Sochi potrebbe davvero essere paradossale: non una vetrina dei successi di Vladimir Putin ma l’inizio della fine della sua egemonia politica interna.