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Le città economiche del Golfo: i “laboratori” del deserto

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Da alcuni anni le monarchie del Golfo stanno attuando dei progetti di diversificazione economica, basati principalmente sullo sviluppo di fonti di approvvigionamento energetico alternative agli idrocarburi. Si tratta tra l’altro di grandi progetti infrastrutturali noti come “Città economiche”, finalizzati a espandere la competitività e innovare il tessuto produttivo; sono progetti che possono avere ripercussioni importanti sul piano regionale, gradualmente anche in campo politico.

La ricchezza proveniente dal settore petrolifero ha conferito soprattutto all’Arabia Saudita un peso politico notevole; Riad lo ha usato principalmente per accrescere l’influenza della dottrina wahabita nel mondo arabo-islamico, e all’interno per arginare le proteste della società civile nei confronti dell’autoritarismo dei Saud. Oggi, però, date le sempre più pressanti richieste popolari, la sola ricchezza derivante dal petrolio non sembra essere sufficiente a garantire occupazione, sviluppo e stabilità politica. Nonostante i ricavi del petrolio e una crescita economica media di oltre il 12% negli ultimi cinque anni, la disoccupazione ha infatti raggiunto nel 2010 il 10,5%.

Il governo saudita già da alcuni anni ha improntato la propria agenda di politica economica sulla diversificazione delle entrate del paese, sullo sfruttamento delle risorse minerarie e sulla riduzione dei costi interni dell’energia per la lavorazione dei prodotti petroliferi. Parallelamente, molte speranze sono state riposte nell’ambizioso programma governativo “10×10”, promosso dalla Saudi Arabian General Investment Authority (SAGIA), che ha l’obiettivo di sviluppare riforme e investimenti per rendere più competitiva l’economia nazionale. È nell’ambito di questo programma nazionale che è prevista la realizzazione di quattro Economic Cities, che dovranno essere pienamente operative nel 2016.

Le Economic Cities saranno costruite attraverso private-public partnership, limitando al minimo l’impatto sull’ambiente grazie all’utilizzo delle infrastrutture tecnologicamente più avanzate per ottenere il massimo della sostenibilità e dell’efficienza energetica. Costeranno oltre 60 miliardi di dollari e sorgeranno sulla costa ma anche all’interno del territorio saudita, in modo da sviluppare hub commerciali alternativi a quelli già esistenti sul Golfo Persico/Arabico e sul Mar Rosso.

Nelle previsioni degli analisti, il contributo di questi mega progetti alla crescita del PIL è stimato, entro il 2020, attorno ai 150 miliardi di dollari. Ogni città, gravitante attorno ad uno specifico settore industriale e con la realizzazione di abitazioni per circa 5 milioni di residenti, dovrebbe produrre opportunità di investimenti in vari settori e fornire la formazione mirata di capitale umano attraverso scuole internazionali. Allo stesso tempo, le Economic Cities dovrebbero contribuire a gestire il boom demografico del paese degli ultimi 15 anni (secondo i dati del ministero dell’Interno, la popolazione saudita è cresciuta del 40%), con un effetto di popolamento di ampie zone desertiche e poco abitate, e alterare i flussi migratori interni che attualmente si concentrano verso le città di Riad e la Mecca e nella regione delle Eastern Province (infatti, il 64,5% dei cittadini del Regno vive in queste aree).

Questi progetti infrastrutturali di bio-edilizia non sono un caso unico nella regione: anche Emirati Arabi Uniti e Qatar hanno progetti analoghi per completare quel processo di “economie in transizione” che è già in atto da qualche anno in tutto il Golfo Persico/Arabico. Abu Dhabi, ad esempio, dal 2008 ha ripensato il concetto di “città” finanziando il programma “Masdar City”, una città eco-sostenibile e multifunzionale (operativa nel 2015) che intende coniugare ecologia e sviluppo industriale ed energetico. Questo piano, alla stregua di quello saudita, si inserisce in un programma di differenziazione di un’economia che oggi si basa sugli idrocarburi e sul mercato finanziario. Altrettanto importante e ambizioso è il progetto di “Energy City” lanciato dal Qatar: il grandioso progetto di Doha, che sarà pronto e funzionante nel 2012, mira a creare un grande hub energetico-commerciale e un centro di formazione intellettuale all’avanguardia, capace di promuovere le migliori risorse tecniche e umane nella regione.

L’importanza rivoluzionaria di tali iniziative risiede nella possibilità che esse diventino un modello da emulare ed esportare altrove nella regione, mentre le “Città economiche” potranno anche porsi come interlocutore per i mercati e gli operatori europei. Inoltre, si possono prevedere alcuni effetti non solo a livello economico-commerciale, ma anche politico-sociale, soprattutto per la monarchia saudita nel suo tentativo di coniugare stabilità e cambiamento economico. Il governo ha infatti avviato, seppure con estrema prudenza, un lento processo di rinnovamento politico e sociale: i nuovi centri urbani saranno, potenzialmente, dei formidabili “laboratori” in grado di dotare il paese delle competenze tecniche per una nuova fase di sviluppo, contribuendo a un’ampia modernizzazione. In tale contesto, emergerà inevitabilmente la questione di come garantire maggiore dinamismo sociale e libertà civili.