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L’Albania tra crescita economica e sviluppo sostenibile

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Nell’immaginario di molti italiani, l’Albania rimane cristallizzata nei fotogrammi dei barconi debordanti di migranti disperati o nel racconto delle fosche gesta degli scafisti, “trafficanti” di esseri umani. Uno stereotipo da cancellare subito.

Quattro giorni a Tirana e una serie di incontri con il ministro del Welfare, Erion Veliaj, con il suo collega dell’Ambiente Lefter Koka, con esponenti del Parlamento, delle istituzioni governative e del mondo delle ONG, mi hanno fatto toccare con mano l’impetuoso cambio di passo del “paese delle aquile”.

Un cambiamento di rotta soprattutto geopolitico: lasciatosi definitivamente alle spalle l’inaudito isolamento imposto dal regime dittatoriale, l’Albania ha per oltre due decenni avuto come stella polare gli Stati Uniti (anche perché la diaspora albanese è stata storicamente diretta più in America che in Europa). Ma il nuovo governo di Edi Rama, insediatosi nel settembre 2013, ha accentuato lo spostamento del pendolo, già in corso nell’ultimo periodo, verso una dimensione europea. L’attuale primo ministro, già sindaco di Tirana (ha cambiato il volto della capitale, in cui vive la maggioranza dei 2,8 milioni di cittadini albanesi) guarda all’Europa, e in particolare all’Italia, per garantire al suo paese un ruolo geostrategico di primo piano nel tanto necessario consolidamento della stabilità dell’area balcanica.

Stabilità in cui la crescita economica gioca un ruolo cruciale. L’aumento annuo del PIL è stato di oltre il 6% in media tra il 2000 e il 2009, rallentato solo in parte negli ultimi anni dagli effetti della crisi economica globale (registrando comunque una crescita del 3%). I settori principali sono quello manifatturiero, l’agricoltura, l’energia e il turismo. La rapida crescita, accompagnata da adeguate politiche governative, ha contribuito a dimezzare il tasso di povertà, fino all’attuale 12,4% tra il 2002 e il 2008, con soltanto il 2% della popolazione in condizioni di povertà estrema. 

Stando alle convinte dichiarazioni non solo del ministro dell’Ambiente Koka, ma di molti rappresentanti delle istituzioni – tra cui Mileva Meksi, che si occupa dei servizi per gli investitori dell’AIDA, (Albanian Investment Development Agency) – la sostenibilità dello sviluppo rappresenta un obiettivo strategico del paese delle aquile. A cominciare dal settore delle energie rinnovabili, sui cui Rama ha scommesso con decisione e che figura in testa alla hit parade dei settori potenziali d’investimento nella documentazione fornitaci dall’AIDA. Tra le fonti, la parte del leone spetta indubbiamente all’energia idroelettrica. L’Albania dispone di una superficie idrica di circa 44.000 km2, di cui solo il 35% è stato finora utilizzato, con una capacità produttiva di 1.726 MW e un volume di riserve ancora da sfruttare di circa 3.000 MW. Dal 2007 al 2011 il ministero dell’Energia albanese ha assegnato 114 concessioni per la costruzione di 327 centrali, di cui però solo una trentina in corso di realizzazione. Notevole la presenza degli operatori italiani, impegnati non solo nel settore idroelettrico, ma anche in quello eolico e delle biomasse, con iniziative – in fase di progettazione o in corso d’opera – che raggiungono un valore di tre miliardi di euro per una potenza di oltre 1.200 MW.

Da parte sua, il governo Rama punta su centrali di ridotte dimensioni, sull’upgrading degli impianti esistenti (molti dei quali fatiscenti), su una nuova normativa globale che regoli il settore e su un equilibrato sistema di incentivazione della produzione da rinnovabili.

Nonostante il dichiarato amore per le fonti rinnovabili, l’Albania – che possiede importanti riserve petrolifere con una produzione di 1.205.538 tonnellate nel 2013 – non può non puntare sul petrolio, che infatti è la voce più rilevante delle esportazioni nazionali.

Infine, non rinuncia a un tocco di nucleare: nel gennaio 2010, infatti, è stata costituita l’Agenzia Nucleare Nazionale e nel settembre 2011 è stato sottoscritto a Vienna (nell’ambito dell’annuale Conferenza Generale dell’AIEA) un Memorandum of Understanding tra ENEA e l’AKOB (l’agenzia nucleare locale) per adeguare la normativa nucleare in materia e per la formazione del personale.

Sul fronte del turismo, il premier Rama intende giocare con forza la carta della sostenibilità, arginando in primis la rampante cementificazione dei 316 km di costa, (si sta già procedendo all’abbattimento di edifici abusivi e ad una severa moratoria per quanto riguarda le nuove costruzioni). Il Paese è forte di bellezze naturali spettacolari, di numerosi siti decretati dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità (il sito archeologico di Butrinto e il centro storico di Argirocastro sono i più conosciuti) di rudi e primigenie catene montuose, di una rete di quindici aree protette quasi ignote ai circuiti turistici. È stato così posizionato dal New York Times al quarto posto della classifica “52 luoghi da visitare nel 2014” con la definizione “Su una costa aspra, il meglio dell’Europa”.

Ovviamente, non è tutto oro quel che luccica. I Verdi albanesi, che avevano costituito a Tirana nel 1997 un Osservatorio sulle emergenze ambientali su incarico dei Verdi europei, puntano il dito su numerosi e gravi problemi: la periclitante gestione dei rifiuti e delle acque reflue, sull’inquinamento da mercurio della baia di Valona (frutto di fabbriche di PVC che ai tempi del regime di Enver Hoxha utilizzavano obsolete tecnologie cinesi); la contaminazione della cosiddetta “zona nera” delle miniere di carbone nel distretto di Elbasan; l’impoverimento dei suoli agricoli; l’aggressiva cementificazione delle coste (è il caso di Saranda, letteralmente presa d’assalto); la deforestazione incontrollata e gli sfregi al paesaggio agricolo (nel sud stanno sparendo i terrazzamenti tradizionali e gli agrumeti).

Per non parlare dell’eliminazione brutale dei vecchi quartieri di Tirana e della discutibile gestione del territorio urbano. I governi precedenti non hanno fatto molto. Si spera ora nella sensibilità del premier (pittore e giornalista, persona di grande cultura) e del suo più importante consigliere, Artan Shkreli, (raffinato architetto, docente di Contemporary World Architecture all’American University of Tirana e fondatore nel 2003 del “Fondo albanese per i monumenti”), ben deciso a fare della valorizzazione del patrimonio storico, artistico, culturale e ambientale una carta vincente del modello di sviluppo albanese. In questa direzione, il governo Rama mostra di gradire molto la presenza di investitori italiani “purché dotati di seri progetti e solidi fondi d’investimento”: in tal senso, Artan Gaçi, deputato a capo del Gruppo parlamentare per il Sostegno agli Investimenti italiani, lascia capire che non sempre le folle di imprenditori o pseudo tali che si affacciano al promettente mercato albanese hanno le carte in regola.

L’Italia è oggi il secondo donatore unilaterale e il terzo in assoluto dopo Unione Europea e Banca Mondiale con oltre 70 iniziative in corso, circa 400 imprese presenti e la presenza attiva della Cooperazione italiana. Inoltre, i legami storici, culturali e le “affinità elettive” tra i due popoli (basti pensare che il 70% degli albanesi parla italiano) rendono “naturale” un percorso comune. Sempre più orientato, si spera, alla costruzione di un modello di sviluppo che faccia della sostenibilità ambientale e sociale, oltre che economica, uno dei pilastri portanti del suo futuro.