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La transizione democratica in Tunisia, tra premio Nobel e dibattiti legislativi

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La Tunisia è tornata al centro dell’attenzione dei media internazionali per l’assegnazione del premio Nobel per la pace al “Quartetto” che tra il 2013 e il 2014 ha guidato il paese verso il dialogo nazionale e ha permesso l’adozione della nuova Costituzione. Dopo gli attentati del Bardo di marzo e di Sousse a giugno, questo riconoscimento arriva in un momento particolarmente delicato.

In seguito all’acuirsi delle minacce dirette alla sicurezza, il presidente Beji Caid Essebsi ha adottato due provvedimenti legislativi che hanno fatto molto discutere. Innanzitutto è stato decretato lo stato di emergenza, poi revocato dopo due mesi che ha militarizzato diverse parti della Tunisia, specie al confine con la Libia. Nelle province meridionali sono stati rafforzati gli strumenti di contrasto al terrorismo ed è stata avviata anche la costruzione di un muro che dovrebbe sigillare il fianco orientale del paese. Il governo di Habib Essid, in carica dal febbraio del 2015, infatti, vede la partecipazione degli islamisti di Al-Nahda schierati con il governo di Tripoli (a oggi non riconosciuto a livello internazionale), e ha scelto di attuare una politica di cauta equidistanza nei confronti della crisi libica.

Il secondo strumento legislativo che ha sollevato qualche polemica è stato la legge antiterrorismo che, unitamente alla dichiarazione dello stato d’emergenza, ha fatto temere che il processo di transizione democratica subisse un arresto. Al contrario la transizione sta procedendo alacremente e il governo di coalizione sembra reagire positivamente alle numerose sfide.

In questo contesto, anche il progetto di legge comunemente noto come Al-Masalih, ha provocato un vivace dibattito. Si tratta di un testo pensato per risollevare le sorti economiche del paese e che dovrebbe sanare il bilancio statale. Tuttavia, tra le diverse norme, questo progetto di legge proponeva di riabilitare la classe di imprenditori legati al partito Raggruppamento Costituzionale Democratico (RCD) guidato da Ben Ali, esponenti del cosiddetto “antico regime”. La legge era stata proposta da Nida’ Tunis ma aveva ricevuto l’appoggio iniziale anche di Al-Nahda. In seguito alle manifestazioni di dissenso da parte di una porzione consistente dell’elettorato islamista, Al-Nahda ha corretto la propria posizione, dichiarandosi a favore della legge ma con alcune modifiche. Gli islamisti sostengono questa misura poiché essa contribuirebbe a rilanciare la crescita e accrescere la coesione socio-economica. Tuttavia, essi si sono detti contrari all’amnistia generale inserita nel testo. Il dibattito, per il momento, è stato rimandato ma è probabile che riprenda vigore in un secondo momento.

Il riconoscimento che la comunità internazionale ha inteso conferire alla Tunisia attraverso il Nobel per la pace premia comunque gli sforzi che complessivamente le forze politiche e sociali hanno sostenuto per il successo della transizione. È opportuno chiedersi se il successo del Quartetto tunisino sia replicabile o meno in altri paesi.

Il Quartetto, che ha raggruppato il maggiore sindacato del paese l’UGTT, la Lega Tunisina dei Diritti dell’Uomo, l’Ordine degli avvocati e l’Unione degli industriali UTICA, ha avuto il merito specifico di accompagnare le neonate istituzioni, soprattutto l’Assemblea Nazionale Costituente, a superare la crisi aperta da due omicidi politici avvenuti nel 2013. In questo senso, la società civile tunisina ha dimostrato grande maturità, la stessa che le principali forze politiche hanno manifestato in diverse occasioni.

Va notato anzitutto che Nida’ Tunis e Al-Nahda sono nati come raggruppamenti antagonisti ma in seguito alle elezioni parlamentari e presidenziali dello scorso inverno hanno appianato le reciproche differenze ideologiche e stanno guidando il paese con prudenza. Questa può essere annoverata tra le motivazioni che hanno portato, fino a questo momento, al successo della transizione tunisina. Altri fattori sono stati di certo l’assenza di un esercito politicizzato (a differenza di altri paesi dell’area) e la presenza di una società civile piuttosto organizzata. Negli ultimi tre anni, l’UGTT (Union Générale Tunisienne du Travail) ha agito da arbitro e da terzo partito in molti casi ma non ha esitato a ritirarsi dall’arena politica nel momento opportuno. Questo processo ha permesso a entrambi i partiti di smussare i propri poli estremi, scegliendo la via del dialogo. Ciò è del tutto evidente se si analizzano i rapporti tra Essebsi, che prima di essere eletto presidente della Repubblica guidava Nida’ Tunis, e Rachid al-Ghannouchi, principale leader di Al-Nahda. Quest’ultimo nel corso della transizione aveva più volte apostrofato Essebsi come un esponente del vecchio regime, ma ha poi ammorbidito le relazioni con l’anziano presidente già durante il 2013, finendo per visitare la sede del partito nello scorso settembre. Questi fatti dimostrano la distensione in atto tra i due partiti che hanno accantonato i dissapori a beneficio della transizione. Recentemente Al-Ghannouchi ha anche espresso solidarietà per un deputato di Nida’ che ha ricevuto minacce di morte da parte di ignoti estremisti.

Tuttavia, alcuni motivi di tensione tra i due schieramenti sussistono. Ne è un esempio il progetto di legge sulla Corte costituzionale, attualmente al vaglio di una commissione parlamentare. L’articolo primo di questo progetto, nel definire la nuova Corte costituzionale, sottolinea che essa è deputata a proteggere “il regime repubblicano e democratico, i diritti e le libertà”. Secondo alcuni deputati di Al-Nahda l’articolo è problematico poiché il termine “repubblicano” può aprire a interpretazioni troppo estese. Samir Dilou, ad esempio, ha sostenuto che attraverso questa disposizione la Corte può sviluppare delle interpretazioni impreviste che esulano dai suoi compiti. Tale articolo, infatti, deve essere letto unitamente all’Articolo 1 della Costituzione, in cui si sottolinea che la Tunisia è un paese arabo, di religione musulmana e caratterizzato da un regime repubblicano. Secondo gli islamisti, pertanto, è superfluo ribadire questo aspetto in una legge organica come quella che stabilisce la Corte costituzionale. Ai sensi del secondo comma dell’Articolo 1 della Costituzione, questo articolo non può essere modificato e, quindi, per gli islamisti, la legge sulla Corte costituzionale si muoverebbe proprio in tal senso. Il maggior timore dei membri di Al-Nahda è quello che la Corte costituzionale possa riunire in sé un potere troppo ampio, finendo per porsi sopra la stessa Carta costituzionale.

Gli oppositori ritengono che questa polemica mostri, ancora una volta, che la vera volontà di Al-Nahda è di instaurare, nel lungo periodo, un Califfato. La risposta è stata immediata e chiara, sia nelle dichiarazioni ufficiali che nei fatti: il partito islamista ha dichiarato che non ha alcuna intenzione di procedere in questa direzione.

Un altro punto di disaccordo riguarda il carattere consultivo o stringente dei pareri emessi dalla Corte costituzionale. Secondo Al-Nahda tali pareri devono essere meramente consultivi, mentre secondo Nida’ è necessario che essi siano vincolanti, come nella gran parte degli ordinamenti europei. Si deve notare che l’istituzione della Corte costituzionale è un fatto nuovo in Tunisia, poiché ai sensi della Costituzione del 1959 esisteva soltanto un Consiglio costituzionale, modellato sull’esempio francese, e i cui pareri non erano vincolanti.

Il dibattito in questione è particolarmente importante perché questa norma darà attuazione alla Costituzione e deciderà la traiettoria del paese verso la costruzione di un vero Stato di diritto. La legge prevede che la Corte sia composta da dodici giudici: nove specialisti di diritto e tre non specialisti. I primi possono essere nominati soltanto tra i docenti universitari, i giudici di più alto rango o gli avvocati della Corte di Cassazione. Inoltre devono vantare almeno vent’anni di attività forense e avere almeno quarantacinque anni di età. I non specialisti, invece, possono essere giuristi che hanno condotto studi riconosciuti in materia di diritto e, anch’essi, di almeno quarantacinque anni d’età.

Quanto alla politicizzazione dei giudici, si richiede che essi non abbiano militato in un partito politico nei dieci anni precedenti alla propria candidatura. Ciò implica che alcuni giudici formatisi prima della rivoluzione potrebbero entrare a far parte del massimo organo giudiziario, purché abbiano cessato qualsiasi attività politica. Ad ogni modo, secondo il progetto di legge, la Corte non ha un reale potere di modifica della Costituzione. Spetta, infatti, al parlamento di sottoporre una legge per emendare la Costituzione alla Corte, che deve poi pronunciarsi a favore o in modo contrario entro i quarantacinque giorni successivi. Nel caso in cui la Corte si esprima in modo contrario, il testo della legge dovrà essere rinviato al parlamento perché lo modifichi. È anche possibile che il presidente della Repubblica, il capo del governo o trenta deputati chiedano alla Corte di esprimersi in merito alla costituzionalità di un progetto di legge. Si può concludere, secondo la formulazione corrente della legge, che la Corte non può attivarsi da sola per tentare di modificare la Costituzione. Ciò è un’importante garanzia di inviolabilità della carta fondamentale. 

È indubbio che la transizione tunisina sia entrata in una sua seconda fase e che questa sia comunque molto delicata, al pari della prima. Il parlamento e il governo stanno lavorando per dare attuazione alla Costituzione, obiettivo che potrà dirsi pienamente raggiunto non appena saranno adottati gli strumenti normativi che definiscono alcuni organi di rilevanza costituzionale, e quando saranno indette elezioni municipali. Quest’ultimo traguardo, tuttavia, non è ancora stato definito, specie per le scarse condizioni di sicurezza di alcune province.

In ogni caso, il dialogo e la collaborazione tra i principali partiti procedono secondo lo spirito del Quartetto e del dialogo nazionale: proprio coltivare questo dialogo sembra essere il vero obiettivo perseguito da Nida’ Tunis e da Al-Nahda. Alcuni attriti permangono ma è auspicabile che l’incoraggiamento dovuto al premio Nobel induca i principali protagonisti dell’agone politico a mantenere un profilo moderato e proteso al benessere comune.