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La terza vita politica di Newt Gingrich

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L’improvvisa ascesa di Newt Gingrich ha rappresentato una novità della campagna per le primarie repubblicane. Non del tutto sorprendente, tuttavia, poichè coinvolge un politico esperto, che ha dimostrato più volte di possedere una rara capacità di visione strategica.

Gingrich nasce politicamente in Georgia negli anni ’70, ed entra al Congresso nel 1978, mettendosi in evidenza durante la prima amministrazione Reagan fra i più brillanti giovani conservatori repubblicani. Nel 1989 diventa Whip (il numero due) del partito alla Camera, e nel 1994 è uno dei principali promotori del “Contratto con l’America” (che poi conoscerà numerosi tentativi di imitazione) basato sulle idee reaganiane e dei think tank conservatori. Questo programma legislativo contiene otto proposte di riforma e moralizzazione della politica americana, e dieci provvedimenti legislativi (in particolare sulla sicurezza e sul sostegno alle famiglie e agli anziani) che i repubblicani si impegnano a votare nei primi cento giorni di mandato. Dopo una storica vittoria elettorale per i Repubblicani al Congresso, Gingrich diventa Speaker (cioè il numero uno) della Camera: porta così al voto le proposte del Contratto, lottando contro i progetti di riforma sanitaria di Clinton e sostenendo gli sforzi per ottenere l’impeachment del Presidente sul caso Lewinsky. Proprio questa vicenda contribuisce però all’appannarsi della sua fortuna; messo poi in crisi da una ‘congiura’ interna e dalla sconfitta nelle elezioni del 1998, Gingrich si dimette dal Congresso.

Inizia così la sua seconda vita pubblica: pur rimanendo legato alle attività dei think tank, è molto attivo nel mondo degli affari; mette a frutto il suo dottorato in storia scrivendo romanzi sulla Guerra Civile e su George Washington; e svolge un’attività di commentatore per Fox News. A livello personale fa parlare di sé per la conversione al Cattolicesimo (la religione della terza moglie), che egli attribuisce soprattutto all’impatto carismatico della figura del Papa. Una scelta, del resto, in linea con la sua posizione pubblica di moralizzatore religioso, in una fase storica in cui i cattolici americani sono in sempre maggior numero allineati con il conservatorismo politico.

Gingrich non dimentica tuttavia la politica ‘istituzionale’, e nel 2005 dichiara di valutare la possibilità di candidarsi per la presidenza nel 2008: un progetto poi rimandato alle elezioni successive, ma organizzato con cura. Già nel 2010, è attivo in stati come Iowa e New Hampshire, resi cruciali dalla loro posizione all’inizio del calendario delle primarie. Nei sondaggi appare inizialmente il principale sfidante di Mitt Romney, ma nell’estate del 2011 subisce un calo, principalmente a causa di rivelazioni sulla cattiva conduzione finanziaria della sua campagna, ed è eclissato da altre figure conservatrici come Bachmann, Perry e Cain. L’autunno segna tuttavia una nuova ripresa nei sondaggi, caratterizzata da una migliore organizzazione della campagna e del fundraising, da una buona riuscita nei dibattiti televisivi, e da un significativo impegno sui social network. Tra novembre e dicembre, Gingrich è balzato così in testa ai sondaggi, ponendosi come uno dei più seri competitori per la nomination repubblicana.

Ci sono certamente elementi di vulnerabilità: in particolare, problemi di carattere finanziario, che contraddicono la sua pubblica attività di moralizzatore; ma soprattutto (di fronte ai conservatori religiosi) il terzo matrimonio contratto con una giovane staffer della Camera, conosciuta proprio mentre Gingrich conduceva la campagna contro Clinton sul caso Lewinsky.

Avere un lungo curriculum è tuttavia anche un’efficace carta da giocare, che permette a Gingrich di rivendicare il proprio curriculum legislativo di fronte ad un gruppo di avversari con meno esperienza a Washington. Ciò sembra conferirgli una maggiore capacità strategica, con un orientamento che pare rivolto verso le presidenziali, molto più che verso le primarie. Si spiegherebbero così le sfumature ‘moderate’ del suo messaggio, che hanno distinto Gingrich dai principali avversari e lo hanno esposto al loro attacco: ha proposto una linea dura sull’immigrazione, ma si è detto contrario ad espellere clandestini presenti nel paese da un quarto di secolo; ha confermato una posizione pro-life sull’aborto, ma si è detto contrario a purgare dal Partito repubblicano gli esponenti pro-choice. Solo sfumature, appunto, che tuttavia potrebbero essere i primi segnali di una ulteriore ‘svolta centrista’ in caso di vittoria nelle primarie. Questo mentre altri candidati, come Romney, cercano di rafforzarsi in senso conservatore per sfatare la propria fama di moderati e mobilitare il popolo delle primarie.

La scommessa di Gingrich sulle presidenziali è quella di un candidato che è comunque arrivato quasi certamente alla sua ultima grande battaglia politica, e non ha dunque nulla da perdere. La sua corsa resta in ogni caso in salita, sia a causa delle contraddizioni tra la sua vita personale e il suo messaggio pubblico, sia per i sondaggi che lo vedono come meno competitivo rispetto a Romney nel confronto con Obama.