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La strana “primavera araba” del Libano

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Il paese dei cedri ha sorprendentemente tenuto un basso profilo in questi mesi di rivolgimenti nel resto del mondo arabo, soprattutto se si considerano i densi legami tra il Libano e i paesi toccati dalle rivolte. In particolare, ci sono le fortissime tensioni a cui il paese è sottoposto dalla crisi siriana, a cominciare dall’esodo massiccio di rifugiati siriani (20.000 secondo le stime ufficiali, che conteggiano solo i rifugiati regolarmente registrati all’atto d’ingresso), per proseguire con gli scontri a Tripoli tra fazioni pro-siriane e anti-siriane (lo scorso 3 giugno, causando nove morti e 20 feriti).

Il governo Mikati – una coalizione di governo formatasi nel giugno 2011 dopo mesi di consultazioni, che vede 18 seggi assegnati a Hezbollah e i partiti drusi e cristiani di Michel Aoun suoi alleati, e 11 alla coalizione del 14 marzo di Saad Hariri – ha adottato la formula cosiddetta della “dissociazione”, il che significa che il Libano non ha intenzione di rinunciare a nessuno dei suoi legami commerciali e strategici regionali. Ciò implica la scelta di non sbilanciarsi tra le pressioni esercitate dagli Stati del Golfo e dall’Arabia Saudita (per una condanna ufficiale del regime Assad in Siria) e quelle dell’asse Siria-Iran-Hezbollah (affinché l’esercito blocchi il traffico di armi destinate ai ribelli ed elimini le roccaforti che essi hanno istituito a Tripoli e nella regione di Akkor, nel nord-est del paese). La “formula Mikati” sembra per ora funzionare, probabilmente perché neppure Hezbollah ha interesse ad alzare la posta e accendere una miccia all’interno del paese.

Tuttavia anche il Libano è in fermento, visto che molti intellettuali locali – un tempo “faro” intellettuale dell’intero mondo arabo – iniziano a chiedersi se non sia giunto il momento di superare il sistema confessionale tuttora in vigore nel paese.

Sono evidenti le ricadute della crisi siriana, a partire dalla fragilità del governo dovuta principalmente all’indebolimento di Hezbollah proprio a seguito dell’appoggio fornito ad Assad: appoggio scontato, ma che ha reso più precaria la posizione del “Partito di Dio” come forza democratica ed esclusivamente nazionale. Sono anche peggiorate le condizioni di vita degli sciiti libanesi, ai quali è ora negata la possibilità di lavorare nei Paesi del Golfo (principale sbocco occupazionale per tutti i paesi arabi mediterranei piagati da alti tassi di disoccupazione). Gli Emirati Arabi Uniti hanno già organizzato alcune espulsioni collettive, in alcuni casi dietro notifica di appena 24 ore precedenti, di cittadini libanesi sciiti (con famiglie a seguito), il gruppo maggioritario tra i 30.000 residenti libanesi negli EAU, anche qualora provvisti di regolari permessi di soggiorno. Le autorità avrebbero fatto firmare loro un documento che attesta la loro adesione ad Hezbollah ed avrebbero inoltre emesso un avviso che sconsiglia ai cittadini EAU di recarsi in Libano, data l’attuale instabilità politica del paese.

Intanto, è ufficialmente in corso un tentativo di riforma elettorale: una commissione ad hoc si sta occupando dello studio di un nuovo sistema, che possa rappresentare più fedelmente gli attuali equilibri demografici del paese. La discussione, già difficile, si è arenata a causa del nodo mai rimosso del mancato disarmo di Hezbollah, oggi di nuovo al centro dell’attenzione nazionale grazie alle manifestazioni di protesta dello sceicco salafita Ahmad Assir. Questi è la stella nascente della politica libanese: ex cantante, poi avvicinatosi all’ortodossia sunnita, Assir è ora alla guida di un gruppo salafita che si pone alla testa della lotta per il disarmo della “Resistenza”. Il suo movimento

politico è un attore nuovo nel già complesso panorama confessionale libanese, e adotta tecniche innovative di tipo populista – come i sit-in e le tendopoli, simili a quelle erette l’estate scorsa dai movimenti sociali in Israele. Assir ha scelto secondo una precisa logica la sede del suo movimento di protesta: Sidone, un’enclave sunnita all’interno del Sud a prevalenza sciita. Da qui si oppone – con strumenti “civili” – a Hezbollah, occupando l’autostrada che collega Sidone alla capitale e alle province del Sud governate appunto dalla “Resistenza”, in modo da interrompere i collegamenti tra le due aree del paese. Il suo messaggio principale è di tipo nazionalista – la difesa del principio di un Libano unico e indivisibile – che viene ad oggi pregiudicato dalla presenza di un esercito parallelo sciita nel Sud del paese.

I maggiori avversari politici – il partito nasserista Amal e naturalmente Hezbollah – sostengono che lo sceicco faccia il gioco dei “poteri forti”, ovvero USA e Israele, e che comunque i media nazionali gli prestino un’attenzione sproporzionata rispetto al suo effettivo peso elettorale. In effetti, lo scontro salafiti-Hezbollah non è solo lo specchio della rivalità sciita-sunnita su scala regionale, ma anche un fattore di fermento interno al Libano, dove sempre più spesso partiti e movimenti emergenti si radicalizzano dal punto di vista dell’identità religiosa, pur affermando di avere obiettivi democratici e di interesse nazionale. Lo sceicco Assir sostiene infatti che i cristiani, soprattutto i maroniti che, condividano sostanzialmente con i salafiti “l’obiettivo di disarmare Hezbollah”, ma abbiano paura della loro leadership – che infatti si è ufficialmente pronunciata contro il sit-in, per bocca del patriarca Béchara Rai. Per questo Kataeb – il partito dei “falangisti” cristiano-maroniti -oggi guidato da una nuova dirigenza, conseguenza di un profondo ricambio generazionale- avrebbe recentemente aperto una sede del partito proprio a Sidone, per “riprendersi il Sud” e erodere l’egemonia di Hezbollah nella regione.

In realtà, il movimento di Assir non sembra spontaneo – dietro ci sarebbero fondi ingenti provenienti dall’Arabia Saudita e dal Golfo – e questo è uno dei motivi per cui non gode certamente della simpatia delle altre forze politiche. Anche il Partito Progressista Socialista druso di Jumblatt ha infatti denunciato l’occupazione dell’autostrada, accusando i salafiti di voler precipitare il paese in una nuova guerra civile, ma allo stesso tempo prendendo le distanze da Hezbollah e lasciando intendere che alle prossime elezioni non farà più parte della coalizione pro-siriana. Palese è anche l’ostilità del blocco sunnita riunito intorno a Saad Hariri.

In ogni caso, nessuna autorità si è assunta finora la responsabilità di scacciare lo sceicco Assir dal suo “feudo” e liberare l’autostrada, nonostante le numerose richieste giunte in questo senso dai residenti e dai commercianti locali. Il dato di fondo è che lo sceicco attira un certo consenso perché

sta riempiendo il vuoto scavato nello schieramento sunnita dalla dissoluzione dell’ultimo governo Hariri (2011) e la disaffezione verso la debolezza del partito laico Al Mustaqbal. Ciò lascia intravedere per la prossima tornata elettorale – inizialmente prevista nel giugno 2013, ma ancora incerta a causa della mancata adozione di una nuova legge elettorale – una possibile spaccatura tra laici e religiosi in campo sunnita.

Il Libano, pur tentando di non farsi risucchiare nel vortice dell’instabilità siriana, sta insomma vivendo una forte crisi identitaria: per ora non si registra un clima di guerra civile di tipo confessionale come nel terribile periodo 1975-1990, ma c’è il forte rischio di una dissoluzione dell’unità nazionale in regioni di fatto autonome. Il ruolo dei salatiti sembra rappresentare l’onda lunga delle rivolte arabe – che hanno visto appunto i salatiti giocare, soprattutto in Egitto, un ruolo politico chiave nei nuovi parlamenti emergenti. Eppure sono i cristiani a potersi rivelare l’ago della bilancia, se sapranno cogliere le opportunità del momento e trasformarle in confronto politico costruttivo. In ogni caso, è già chiaro che il Libano non può restare immune dall’impatto profondo delle trasformazioni politiche nel mondo arabo. Del resto, si può dire che (come l’abortita “onda verde” iraniana) la “rivoluzione dei cedri” del 2005, scaturita dalle proteste che scossero il paese nel febbraio 2005 dopo l’assassinio dell’allora premier Rafiq Hariri, abbia anticipato le “primavere arabe”.