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La sentenza sui matrimoni omosessuali: una svolta sociale e politica

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Negli Stati Uniti le battaglie per i diritti civili passano anche per le aule dei tribunali. E spesso giungono in quella più alta e importante – la Corte suprema. Così è capitato anche al matrimonio tra persone dello stesso sesso: dopo anni di dispute legali, eccezioni degli Stati, modifiche delle costituzioni che tentavano di dare una definizione di cosa si debba intendere per matrimonio, la Corte suprema lo ha reso legale in tutta l’Unione il 26 giugno. La sentenza è storica per un gran numero di ragioni e, a giudicare dalla reazione furiosa del presidente dell’Alta Corte, in minoranza, è destinata a rappresentare una sorta di nuova Roe vs. Wade – la decisione del 1973 che apriva all’aborto e che i conservatori statunitensi vedono tuttora con grande astio.

Il caso portato davanti alla Corte, Obergefell vs. Hodges, riguardava il riconoscimento anche in un’altra giurisdizione (in un altro Stato dunque) dei diritti e i doveri di coppia derivanti da un matrimonio tra persone dello stesso sesso effettuato in uno Stato in cui esso è permesso.  L’intento è tutelare quei contraenti che si dovessero trasferire dall’uno all’altro stato, con giurisdizioni incompatibili. Nello specifico, un vedovo, il signor Obergefell, chiedeva il diritto a vedere scritto “sposato” sul certificato di morte del compagno deceduto in Ohio, dove il matrimonio tra persone dello stesso sesso era bandito (i due si erano sposati in Maryland).

La maggioranza di cinque dei nove giudici della Corte ha scelto di sostenere il parere positivo di Anthony Kennedy – lo swing vote per eccellenza, il moderato che in due terzi dei casi determina la maggioranza nelle sentenze della Corte: secondo il giudice Kennedy, l’istituto del matrimonio e della famiglia è uno dei pilastri fondanti della società americana e, per questa ragione, a ciascun individuo va concesso il diritto di potersi impegnare con un’altra persona. Si tratta, tutto sommato, di un principio moderato, sebbene applicato a un ambito che i fautori della famiglia tradizionale trovano inaccettabile. L’argomentazione favorevole fa leva inoltre sul fatto che rifiutare di riconoscere un matrimonio già contratto altrove può colpire anche i diritti di persone estranee alla coppia, come ad esempio i figli adottati.

Insomma, la scelta del giudice Kennedy sembra essere proprio quella del cattolico moderato: in una società che evolve e che ha cambiato in maniera repentina la propria opinione sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, questo membro della Corte suprema ha deciso di stare dalla parte del nuovo consenso, sottraendo alla politica una questione che riguarda i diritti dell’individuo. E di preservare così l’istituto della famiglia anche nella sua ampliata accezione.

Per certi aspetti la sentenza di Obergefell – assieme a quella su Obamacare e all’emergente consapevolezza del carattere offensivo e razzista della bandiera confederata – chiude una stagione di battaglie della parte liberal della società americana e “normalizza” il carattere trasgressivo della cultura gay e del movimento per i diritti degli omosessuali.

Pure se destinata a trovare opposizioni e ad alimentare nuove piccole scaramucce culturali, essa chiude una stagione anche per il movimento religioso conservatore e per il Partito Repubblicano.

L’inusuale reazione del giudice capo John Roberts, che ha voluto leggere parte del proprio parere di minoranza in conferenza stampa, è segnale inconfondibile di come l’ala conservatrice della società americana si senta particolarmente colpita. C’è l’attacco all’istituto del matrimonio, che Repubblicani e conservatori avevano cercato di definire in maniera riduttiva a partire dal Defense of Marriage Act firmato dal presidente Clinton nel 1996: il governo federale definiva allora il matrimonio come l’unione tra un uomo e una donna. Questo è stato poi dichiarato incostituzionale nel 2013 dalla Corte suprema con la stessa maggioranza che ha approvato ora il parere di Kennedy. E poi c’è l’attacco alle prerogative degli Stati, una questione poco discussa e compresa da questo lato dell’oceano ma molto sentita dalla destra americana. Con la decisione sul caso Obergefell si rende infatti di pertinenza del governo federale una questione che per anni era stata decisa e gestita dalle assemblee legislative statali – le quali avevano votato leggi che alternativamente permettevano il matrimonio gay o lo bandivano – e dai tribunali che avevano invalidato le scelte dei legislatori locali. La reazione rabbiosa di alcuni leader repubblicani – “non mi piegherò alle decisioni di una corte imperiale” ha detto l’ex pastore evangelico, ex governatore e candidato alle primarie 2016 Mike Huckabee – segnala proprio il loro rifiuto dell’imposizione, da parte dell’Alta Corte, di un nuovo ordine giuridico con valenza in tutto il Paese.

Da notare – lo ha fatto il New York Times – come le divisioni nel campo conservatore, che a livello politico sono visibili nella moltitudine di candidati alle primarie presidenziali repubblicane dell’anno prossimo, si riflettano in qualche modo anche all’interno della Corte. Se i giudici liberal tendono a votare compatti, negli ultimi anni i loro colleghi conservatori hanno votato divisi o, come in questo caso, hanno addirittura dissentito l’uno dall’altro anche nella redazione dei rispettivi pareri di minoranza. La curiosità sta nel fatto che tradizionalmente è la sinistra a dividersi in mille rivoli e puntualizzazioni.

Ma quali che siano le reazioni, anche dettate dal posizionamento dei vari candidati all’interno di primarie repubblicane che sembrano non trovare un vero favorito, la verità è che con questa sentenza si chiude un capitolo delle culture wars iniziate negli anni Sessanta del secolo scorso. E che i conservatori dovranno inventare un nuovo modo di essere nella società americana, nella quale sono oggi in minoranza. O meglio, nella quale un certo modo di percepire il proprio conservatorismo è in minoranza – come dimostra proprio la scelta del religioso giudice Kennedy.

Quanto al Partito Repubblicano, in un certo qual modo farebbe meglio a ringraziare la Corte per aver messo fine a questa guerra culturale. Con il Grand Old Party in minoranza su questo tema e diviso al proprio interno, il protrarsi delle battaglie politiche sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, magari con referendum statali in occasione delle prossime elezioni presidenziali, non avrebbe potuto essere altro che controproducente. Dopo Obergefell vs. Hodges, i candidati repubblicani invece non si troveranno più nella difficile posizione di dover dire cosa farebbero in materia di matrimonio tra persone dello stesso sesso dopo aver conquistato la Casa Bianca. Non correndo così il rischio di far infuriare il blocco religioso del proprio partito o di perdere fette dell’elettorato moderato.

Per i Democratici si tratta di avere una bandiera da agitare in meno e, quindi, un segmento del proprio elettorato meno mobilitato. Ma anche di poter dire: in otto anni alla Casa Bianca lo stato dei diritti della persona è cambiato in meglio e il cielo non ci è crollato sulla testa.