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La scommessa di Obama sull’Europa

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Rafforzamento dei “firewall” finanziari per scongiurare il collasso dell’Eurozona, accelerazione dell’Unione economica per consolidare la moneta unica, pressioni sulla Germania, plauso all’Italia: sono i quattro pilastri della posizione americana sulla crisi del debito sovrano in Europa che la visita del presidente del consiglio Mario Monti a Washington ha contribuito a mettere in evidenza.

L’accoglienza ricevuta da Monti è stata molto calorosa perché Obama non solo lo ha ricevuto nello studio Ovale per cinquanta minuti sostenendo apertamente il suo programma di risanamento in Italia, definendolo un “robusto inizio”, ma si è rivolto a lui come a un leader di statura europea, interlocutore su ogni aspetto dell’agenda transatlantica. Tanta e tale attenzione si spiega con il fatto che il successo di Monti è considerato dalla casa Bianca determinante per sostenere l’attuale fase di debole crescita economica americana. La tesi ricorrente a Washington, nell’amministrazione come nei centri studi, è infatti che se Monti fallisse, l’Italia seguirebbe la sorte della Grecia, con il risultato di far implodere la moneta unica e di conseguenza trascinare l’euro nell’abisso, paventando per gli Stati Uniti una ricaduta nella recessione accompagnata da massiccia disoccupazione. Sostenere l’Eurozona è dunque un tassello della strategia economica di Obama: proteggere la debole crescita economica americana dai rischi europei per poi puntare a rafforzarla grazie a libero commercio ed esportazioni nell’area dell’Asia-Pacifico. D’altra parte il presidente americano è un noto appassionato di basket e in questo caso le sue mosse si  richiamano a due tattiche sotto canestro: gioca in difesa in Europa e in attacco in Asia.

Gli elementi del sostegno all’Eurozona sono emersi dal colloquio con Monti nello studio Ovale (come anche dall’intervista concessa a “La Stampa” e pubblicata il giorno stesso). Anzitutto Obama condivide con il premier italiano la necessità di “firewall più ampi” per scongiurare il diffondersi della crisi del debito, ovvero una maggiore consistenza del fondo di protezione europea a sostegno degli Stati più esposti. Nell’intervista rilasciata a Margaret Warner della tv Pbs l’8 febbraio, Monti ha affermato “si può sostenere che più ampi sono i firewall, meno possibilità c’è di doverli adoperare” perché ciò che conta per rassicurare i mercati e fermare la speculazione è dare la garanzia di una massiccia protezione finanziaria. E Obama a “La Stampa” ha ripetuto la stessa espressione, aggiungendo “su questo sono d’accordo con Monti”. Tale convergenza implica una comune pressione sulla Germania di Angela Merkel che, essendo la nazione più grande e ricca dell’Eurozona ha anche le maggiori responsabilità finanziarie. per Obama ciò significa avere un importante alleato in Europa nella tattica ritenuta migliore per tentare di arginare la crisi greca, ma non è tutto. Se infatti si leggono i testi delle dichiarazioni di Monti e Obama nello studio Ovale, come anche del discorso pronunciato dal premier davanti alla platea del Peterson Institute di Washington, ci si rende conto che il terreno più ampio di convergenza è la necessità dl rafforzare l’integrazione europea. Obama lo afferma con chiarezza, come principio-cardine, e Monti lo declina in un dublice aspetto: l’unione delle politiche economiche e il rafforzamento dell’integrazione del mercato interno. Se nel primo caso di tratta di assegnare alla moneta unica una comune guida economica, risolvendo il vulnus del Trattato di Maastrich e creando un’autorità politica da affiancare alla Bce, nel secondo l’intento è di accelerare consumi e investimenti incrociati fra i parter dell’Eurozona al fine di sostenere la crescita. A tale proposito è interessante notare come Monti, parlando al Peterson Institute, indichi l’America come “il singolo mercato integrato più riuscito al mondo” ovvero l’esempio a cui l’Eurozona deve richlamarsi; ciò implica vincere le resistenze delle “maggiori economie continentali”, Germania e Francia, che frenano tale processo a differenza di “nazioni europee esterne all’Eurozona come Gran Bretagna, Svezia, Danimarca e Polonia” le quali invece lo interpretano in maniera più avanzata. Sono concetti sui quali Monti è tornato parlando a New York davanti alla comunità finanziaria, nel quartier generale di Bloomberg su Lexington Avenue come dentro la sede del New York stock Exchange: ha così confermato che il suo viaggio negli Stati Uniti è stato segnato dalla duplice necessità di spiegare agli interlocutori il programma di risanamento economico italiano e il percorso di stabilizzazione dell’euro. Si tratta di due temi intrinsicamente legati perchè Obama ritiene che soltanto se un’Italia più stabile arginerà il contagio della crisi del debito sovrano, Wall Street accrescerà gli investimenti nella nostra economia – come in quelle di altri Paesi euro. Ma i fantasmi del crack della moneta unica dovranno essere allontanati. Insomma, ciò che più ha colpito delle quarantotto ore di visita di Monti è stato l’interesse americano, politico ed economico, in un’Unione Europea più forte, solida e integrata. Per l’ex commissario alla Concorrenza di Bruxelles che alla fine degli anni Novanta duellò aspramente con l’America di Bill Clinton per imporre il rispetto di regole di mercato comuni, l’essersi trovato davanti a interlocutori a tal punto europeisti deve essere stata un’esperienza non indifferente. consentendogli di toccar con mano quanto l’impatto della crisi finanziaria del 2008 ha cambiato gli Stati Uniti.