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La quiet diplomacy dell’Oman: una terza via tra Riyad e Teheran

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L’accordo transitorio sul nucleare iraniano del novembre 2013 sembrerebbe aver ridefinito gli equilibri interni nella regione del Golfo, favorendo sia l’ascesa di nuovi attori sia il riposizionamento strategico di antiche potenze. In tale contesto regionale mutevole, l’Oman del sultano Qaboos bin Said al-Said gioca la propria partita provando ad incunearsi nella storica diatriba tra sauditi e iraniani con la cosiddetta “politica della mediazione”.

Incastonato tra Mar Arabico e stretto di Hormuz (chokepoint strategico che collega il Medio Oriente con l’Oceano Indiano e dal quale transita più del 20% degli idrocarburi mondiali), il sultanato del Golfo è da sempre diffidente nei confronti di Riyad e della sua assertiva politica anti-iraniana. Pur essendo stato tra i principali fautori nel 1981 del Gulf Cooperation Council (GCC), l’Oman rivendica un ruolo di maggiore indipendenza nella diplomazia intra- e trans-regionale.

Si tratta di caratteristiche che negli ultimi anni sono emerse con maggior evidenza dopo il deciso riavvicinamento dell’Oman alla Repubblica islamica. Le prime avvisaglie di questo cambio di rotta nella politica estera omanita sono emerse già nel marzo 2013, quando Mascate ha ospitato intensi round segreti tra gli sherpa iraniani e statunitensi; questi hanno poi portato, nel novembre successivo, allo storico accordo ad interim sul nucleare tra paesi del 5+1 (i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la Germania) e l’Iran di Hassan Rohani. Poche settimane più tardi, il governo di Qaboos ha svolto un fine ruolo di mediazione nell’accordo tra Iran ed Emirati Arabi Uniti (EAU) sulle isole contese di Grande e Piccola Tunb e di Abu Musa. Un’intesa fino a qualche tempo fa ritenuta impossibile alla luce della posizione notoriamente hardline degli EAU nei confronti della Repubblica islamica.

Le relazioni tra Mascate e Teheran vivono oggi un nuovo vigore dopo la visita del 13 marzo del presidente Rohani nel sultanato, che ha portato anche alla firma di un contratto da due miliardi di dollari per una grossa fornitura a lungo termine di gas iraniano (10 miliardi di metri cubi annui per i prossimi 25 anni). Nel medesimo incontro i due governi hanno firmato una serie di intese dall’alto valore strategico relativi a progetti infrastrutturali: anzitutto la realizzazione di un gasdotto sottomarino che dovrebbe collegare Sohar, nel nord del paese, con il porto iraniano di Chabahar e, in futuro, giungere fino in India; poi la costruzione con capitali iraniani del porto di Duqm, con l’intento di fare della città un hub commerciale proiettato verso i mercati orientali, in particolare indiani, cinesi e giapponesi, già principali destinazioni dell’export omanita.

Il successo di tali azioni diplomatiche, ma soprattutto il fondamentale ruolo di negoziatore svolto dall’Oman, ha allarmato l’Arabia Saudita, sempre preoccupata dall’idea di un appeasement verso l’Iran anche delle altre “corone gemelle”. Riyad ha pertanto rilanciato con forza, negli ultimi mesi, il progetto di Unione del Golfo, in fieri dal 2011 ma fino ad ora mai portato avanti con decisione. Una prova di forza, quella dei Saud, che anziché compattare il fronte anti-iraniano e arabo-sunnita ha però evidenziato, al contrario una crescente diversità di intenti tra gli stessi membri del consesso regionale.

Infatti, durante il meeting sulla sicurezza del Golfo svoltosi a Manama il 7 dicembre scorso e successivamente in occasione del 34° summit del GCC in Kuwait, l’11 dicembre, Mascate ha respinto la proposta di unione politica a guida saudita. Una posizione divenuta ancor più netta nel vertice informale dei ministri degli esteri del GCC tenutosi a Riyad il 5 marzo 2014: in quell’occasione il titolare degli esteri saudita Faysal bin Abdulaziz ha annunciato che la decisione sull’integrazione politica del GCC sarebbe stata presa entro la fine del 2014, ma il ministro degli Esteri omanita, Yusuf bin Alawi bin Abdullah, ha affermato espressamente che il suo paese non farà parte di un’Unione del Golfo. Rilanciando addirittura l’ipotesi di una fuoriuscita dell’Oman qualora il progetto fosse perseguito.  

Gli ostacoli posti dall’Oman al progetto di Unione del Golfo rispondono a un duplice timore, in parte nutrito anche dagli altri membri del GCC: da un lato, la perdita di autonomia e perfino di sovranità a vantaggio di Riyad in quanto attore decisamente più influente nell’area; dall’altro, il rischio di trasformare quello che dovrebbe essere uno strumento di cooperazione politica, economica e di sicurezza regionale in una sorta di “coalizione anti-sciita e anti-iraniana”. Una situazione che renderebbe di fatto gli altri emirati delle “periferie” del potere centrale saudita. Due condizioni assolutamente inaccettabili per l’unica monarchia araba del Golfo ad avere contatti politici ed economici normalizzati con l’Iran.

Mascate, infatti, ha sempre perseguito nei confronti di Teheran una politica estera funzionale alla propria stabilità politica interna, che a suo parere coincide con quella regionale. La storia del sultanato è contrassegnata da continue interazioni con il mondo persiano. Ne sono esempi significativi la guerra Iraq-Iran degli anni Ottanta (quando mediò il cessate il fuoco tra i due paesi mentre le altre monarchie finanziavano l’esercito di Saddam Hussein), la mancata partecipazione all’impegno militare promosso in Bahrein dall’Arabia Saudita nel marzo 2011, e il tortuoso processo di transizione iniziato nel 2012 nel vicino Yemen (dove la diplomazia omanita è riuscita a coinvolgere nel dialogo nazionale le forze ribelli al governo centrale come il Movimento meridionale yemenita). Si tratta di teatri dove l’influsso di Teheran è molto forte e in cui Mascate ha svolto sempre un ruolo di intermediazione tra gli interessi sunniti e sciiti. L’indipendenza diplomatica omanita dimostra quanto la dottrina dell’equilibrio di potenza e il modello di sicurezza nell’area perseguito dall’Arabia Saudita in questi anni non sia l’unico possibile né sia probabilmente sostenibile. È invece necessario aprire una nuova stagione politica tra Iran e Golfo. In questo senso la politica estera dell’Oman, più di quella del Qatar, potrebbe segnare in maniera incisiva una “terza via” nel grande dialogo/scontro tra Riyad e Teheran.