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La maggioranza incerta della signora Merkel

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Due volte sotto scacco nell’arco di dieci giorni. È questa la sorte inaspettata che in febbraio ha colpito la signora Merkel, costretta prima ad accettare un candidato per la Presidenza della Repubblica non di suo gradimento e poi ad approvare il nuovo pacchetto di aiuti da 130 miliardi alla Grecia con l’appoggio determinante dell’opposizione rosso-verde.

Nella giornata del 27 febbraio il Cancelliere era tornato a ribadire la necessità di evitare il tracollo dell’Eurozona, chiedendo alla sua maggioranza di digerire questo ennesimo trasferimento di denaro pubblico nelle esangui casse elleniche e, allo stesso tempo, offrendo ai colleghi europei un pagamento più celere delle rate per la capitalizzazione dello European Stability Mechanism (ESM). Questa volta, tuttavia, non tutti i deputati della coalizione giallo-nera l’hanno seguita. Accanto ai soliti “ribelli” si sono aggiunti parlamentari insospettabili, alcuni dei quali hanno tuttavia preferito non farsi vedere in pubblico, disertando il voto. Fatto sta che il disegno di legge è stato approvato senza che CDU, CSU ed FDP potessero vantare una maggioranza assoluta (Kanzlermehrheit). Tra contrari, astenuti e non presenti in aula, l’alleanza cristiano-liberale è andata pericolosamente sotto la soglia critica dei 311 deputati. La sensazione è che il Governo abbia fatto male i calcoli, seminando paura e tensione. Da un lato, il 24 febbraio, il Ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble (CDU), aveva annunciato che sarebbe stato probabilmente necessario un terzo pacchetto di salvataggio per la Grecia, viste le difficoltà di Atene a risollevarsi. Il 26, invece, è stata la volta del Ministro degli Interni, il bavarese Hans-Peter Friedrich (CSU), secondo il quale per il paese ellenico non vi sarebbe ormai altra soluzione se non l’uscita temporanea dall’Eurozona.

Sono segnali che il legame di fiducia tra Cancelliere e Ministri da un lato e Cancelliere e Parlamento dall’altro, sta ormai scricchiolando sotto il peso dell’euroscetticismo. Inizialmente erano solo Frank Schäffler (FDP) e il suo collega democristiano Klaus-Peter Willsch a tessere le fila della rivolta interna anti-Merkel. I due “ribelli” per eccellenza si sono ritrovati il 27 febbraio in buona compagnia, se è vero che circa una trentina di deputati di CDU, CSU ed FDP hanno in un modo o nell’altro deciso di voltare le spalle alla signora Merkel. E questo, nonostante il lavoro di persuasione portato avanti dietro le quinte da uno degli uomini più fidati del Cancelliere, Peter Altmaier, che non è riuscito a serrare i ranghi della coalizione per la settima volta consecutiva.

Come se non bastasse, il giorno successivo la Corte Costituzionale di Karlsruhe ha confermato quanto aveva deciso con provvedimento cautelare l’autunno scorso: è incostituzionale la norma legislativa che, per i casi di emergenza, affidava ad un organo di nove deputati la decisione sulla concedibilità degli aiuti. Solo nel caso dell’acquisto di titoli di Stato da parte dello European Financial Stability Facility (EFSF), ovvero per operazioni che richiedono una certa dose di segretezza, il mini-parlamento potrà continuare a lavorare. Altrimenti, per tutte le altre operazioni di salvataggio, saranno la Commissione Bilancio o il plenum del Bundestag a doversi esprimere.

Se per la signora Merkel quello del 27 febbraio sia stato un incidente di percorso o il lento inizio della capitolazione del suo Governo, nato nel 2009 già molto debole, lo svelerà l’esito delle deliberazioni in programma questa primavera. Ad oggi, benché indebolita, la Cancelliera può comunque contare su alti tassi di consenso nell’elettorato, oltre a poter fare affidamento sulla consapevolezza comune che nessuno nella democrazia cristiana tedesca è ad oggi in grado di sostituirla. Le elezioni anticipate, che pure segnerebbero il fallimento della sua seconda esperienza di governo, non segnerebbero dunque, con ogni probabilità, una svolta radicale.