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La linea sottile di Hollande: imperativi economici, pressioni tedesche e consenso interno

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Sono passati ormai sei mesi dall’arrivo all’Eliseo di François Hollande; la situazione della Francia, nelle sue linee generali, non è migliorata. Conclusa una rapidissima luna di miele con l’elettorato, e constatata un’evoluzione dei conti pubblici ben peggiore delle previsioni, il presidente socialista si trova ad affrontare una doppia pressione, che rischia di logorare seriamente il suo rapporto con il paese. Da un lato, la cittadinanza si attende che siano mantenute le promesse fatte prima del voto: difesa del principio dell’equità e dello stato sociale nelle scelte economiche. Dall’altro, a Berlino si spinge invece perché Parigi adotti misure più rigorose.

La durezza della crisi ha fin qui impedito a François Hollande – che aveva puntato su un quinquennato presidenziale basato su un profondo e diffuso changement – non solo di avviare concretamente il proprio programma di riforme, ma anche di assumere un profilo politico completo e coerente. Il Capo dello Stato ha infatti pagato l’incertezza e il ritardo con cui si è reso conto che, alle condizioni attuali della governance europea, le decisioni necessarie ad affrontare la congiuntura economica negativa sarebbero andate nella direzione opposta agli impegni assunti in campagna elettorale.

Nelle ultime settimane, i segni dell’impazienza tedesca nei confronti del vicino si sono moltiplicati. In Germania si teme che la Francia non stia facendo abbastanza – soprattutto se si considerano i durissimi sacrifici richiesti agli altri paesi del Mediterraneo – per migliorare i suoi dati macroeconomici: a spaventare Berlino, soprattutto il tasso di disoccupazione (10,2%, picco negativo degli ultimi tredici anni, mentre oltre Reno si macinano record); il debito pubblico esploso negli ultimi anni fino a toccare il 91% del PIL; la grande spesa pubblica, che in Francia assorbe il 56% della ricchezza prodotta contro il 46% della Germania.

La Cancelleria è motivata ad agire da varie considerazioni: intanto, si teme che il décrochage (distacco) accelerato tra le due economie finisca per spaccare davvero l’eurozona, visto che i dati francesi tendono pericolosamente ad assomigliare a quelli dei cosiddetti PIGS. Come si chiedeva recentemente in prima pagina il popolarissimo quotidiano Bild, sarà la Francia la nuova Grecia? La Germania è poi preoccupata dalle conseguenze dell’indebolimento del mercato francese: un calo dei consumi danneggerebbe ovviamente quello che è il principale partner commerciale di Parigi; inoltre, la perdita di competitività subita dalle imprese transalpine rischia di indebolire troppo l’euro. Infine, la coalizione cristiano-liberale, a dieci mesi dalle elezioni politiche tedesche, vedrebbe certo di buon occhio l’adozione di misure di austerità economica da parte dei socialisti francesi: l’agguerrita opposizione rosso-verde avrebbe un argomento in meno con cui dimostrare la fattibilità di un’alternativa economica al paradigma Merkel.

Come se non bastasse, l’indiscrezione non confermata secondo cui Wolfgang Schäuble, il ministro delle Finanze tedesco, avrebbe ordinato a cinque “saggi” un rapporto urgente sull’economia francese e sulle riforme da intraprendere per rilanciarla, ha scatenato il conflitto politico a Parigi e messo in imbarazzo il governo socialista. Quella che il primo ministro Jean-Marc Ayrault definisce nient’altro che “una tempesta in un bicchiere d’acqua” si potrà davvero calmare solo in occasione del prossimo vertice franco-tedesco.

Data la delicatezza della situazione, François Hollande sembra, almeno per i prossimi mesi, propendere per il rispetto dei vincoli di bilancio piuttosto che per l’allargamento dei cordoni della borsa: sa bene di non avere la forza per affrontare un confronto aperto con Angela Merkel. D’altro canto, il presidente socialista considera prioritario l’obiettivo di ricucire con un’opinione pubblica preoccupata dall’intensificarsi degli effetti della crisi sulla vita quotidiana – il governo è impegnato in decine di difficili contrattazioni per impedire la chiusura o il trasferimento di importanti stabilimenti industriali, come quelli automobilistici, ad alta intensità di lavoro – e perplessa di fronte all’attuale lentezza della promessa azione riformatrice.

È dunque per questo motivo che Hollande ha deciso di rivolgersi al paese con una simbolica conferenza stampa straordinaria. Le parole del presidente illustrano la strada scelta per rilanciare la propria immagine e caratterizzare positivamente questo inizio di quinquennato: quella delle riforme (non sociali) a costo zero e ad alto tasso di consenso, da adottare insieme a severe politiche economiche dettate dalla durezza del “momento”.

In particolare, seguendo le linee guida indicate da una commissione presieduta dall’ex primo ministro socialista Lionel Jospin, il presidente ha promesso che ai deputati e ai senatori sarà proibito di cumulare il mandato parlamentare con quelli legati a cariche politiche locali, che il Capo dello Stato perderà ogni immunità in materia penale e civile (difficilissimo ora, per la magistratura transalpina, riuscire a processare le più alte cariche dello stato, protette dalla loro elevata capacità di influenza sul potere giudiziario), e che sarà intensificata la lotta contro ogni tipo di conflitto di interesse. Inoltre, Hollande conferma la scelta di introdurre nell’ordinamento francese il matrimonio omosessuale (intenzione condivisa da circa i due terzi della popolazione, secondo le inchieste), mentre la ben più controversa legge sulla facilitazione della cittadinanza per gli stranieri viene per ora accantonata.

Più complicato fare accettare l’adozione di scelte economiche non improntate alla redistribuzione del reddito al paese e soprattutto agli alleati verdi e radicali in parlamento –– va ricordato che i socialisti dispongono, includendo un piccolo gruppo di indipendenti, di una maggioranza assoluta ma molto risicata, non paragonabile a quella di cui godevano i precedenti governi di destra.

Dunque, Hollande ha fatto appello alle forze politiche che lo sostengono per una solidarietà fatta di coerenza e rispetto per le scelte del presidente e del governo: scelte obbligate, dovute secondo il presidente alla gravità della situazione ereditata dal passato, da compiere per il bene della nazione. Ciò significa che, in attesa della futura legge che “taglierà le unghie alla finanza” limitando le prerogative delle banche e degli operatori di borsa, sarà invece immediatamente introdotto un sostegno di dieci miliardi di euro alle imprese, accompagnato da altri consistenti aiuti fiscali, finanziati con un aumento generalizzato seppure contenuto dell’IVA. Si tratta di alcuni tra i punti centrali evidenziati di un altro controverso rapporto, stavolta sulle misure da adottare per rilanciare la competitività del paese – Berlino non ha fatto mancare il proprio apprezzamento, anche grazie all’impegno a ridurre il debito “a tappe forzate” assunto parallelamente da Hollande.

La domanda è ora: il piglio decisionista, accompagnato da un’inedita retorica nazional-solidale, consentirà al presidente di riacquistare un certo consenso presso l’opinione pubblica in attesa di tempi migliori per attuare la parte più consistente delle promesse elettorali? Parte della risposta arriverà sicuramente dalla volontà delle parti sociali, imprese e sindacati, di accettare il compromesso proposto.

Hollande spera che i provvedimenti di cui sopra, come accadde alle leggi sulla flessibilità del lavoro approvate dal Cancelliere socialdemocratico Gerard Schroeder nel 2003, siano capaci di riportare il PIL francese in territorio stabilmente positivo. Tuttavia, sa bene che il rigore non si esaurirà in queste misure. Dagli esiti di questo difficilissimo inizio di quinquennato, oltre che dagli orientamenti che la politica tedesca assumerà dopo il voto politico del settembre 2013, dipenderà la capacità del presidente di garantirsi un consenso stabile per i prossimi anni.