international analysis and commentary

La Libia tra istituzioni deboli e milizie, nell’ombra salafita

379

Sono passati oltre due anni dall’inizio della rivolta armata in Libia, ma il Paese appare, giorno dopo giorno, in sempre maggiore difficoltà sotto diversi aspetti. Il governo centrale è debole, l’apparato militare dello Stato è sopraffatto dalle milizie armate, sono riemerse profonde spaccature a livello sociale ed etnico, e si sta consolidando la corrente salafita che nei Paesi vicini – Tunisia ed Egitto in primis – ha già iniziato a giocare un ruolo anche politico. Questo clima di instabilità ha favorito e sta favorendo l’emergere di fenomeni jihadisti operativi. L’area maggiormente interessata è quella della Cirenaica, in particolare a Derna e Benghazi. È alla luce di questi sviluppi che si devono analizzare i possibili scenari libici. Assisteremo a uno slancio della fase di transizione democratica, un avanzamento della Fratellanza musulmana o un nuovo conflitto interno? Una vera e propria deriva politica islamista non sta ancora emergendo con chiarezza in Libia, ma alcuni segnali fanno pensare a un prossimo salto di qualità.

Nelle ultime settimane sono state attaccate le sedi diplomatiche di Francia, Ucraina e Tunisia. Se si considera che l’attentato del 23 aprile ha colpito un Paese impegnato in prima linea nella campagna militare nel nord del Mali, qual è la Francia, e che AQIM (Al-Qaeda nel Maghreb Islamico) ha più volte minacciato Parigi, si comprende la gravità di questo attacco, che confermerebbe la presenza di cellule e/o gruppi jihadisti operanti sotto la galassia qaedista. Dietro l’attacco, ha dichiarato al quotidiano panarabo Al-Quds al-Arabi l’esperto algerino Ali Zawi, vi sarebbe in particolare l’ala qaedista attiva nel Sahara, guidata da Abu al-Hamam. Il territorio libico rientrerebbe dunque nella più ampia strategia espansionistica di Al-Qaeda nella regione nordafricana e del Sahel.

La fragilità della situazione di sicurezza influenza la crisi politica in atto, che a sua volta contribuisce ad accrescere il senso di insicurezza nel Paese con un vero effetto a spirale. Domenica 5 maggio, il parlamento libico, dopo diversi giorni di occupazioni e manifestazioni armate da parte delle milizie a Tripoli, ha approvato una legge molto discussa  che dovrebbe allontanare dalle cariche istituzionali tutti coloro che hanno in qualche modo collaborato con il regime di Al-Qaddhafi. Secondo diversi osservatori, questa azione del parlamento libico dimostra tutta la sua debolezza di fronte al potere militare delle milizie: in effetti, dopo mesi di discussioni e proposte, questa legge è stata votata soltanto dopo che diverse milizie hanno dispiegato nella capitale libica le loro armi pesanti, assediando alcuni ministeri sensibili come quello degli Esteri, dell’Interno e della Giustizia. Il primo round di questo braccio di ferro con le istituzioni sembra sia stato vinto, dunque, dalle milizie, che ora alzano il tiro e chiedono lo scioglimento del governo e l’inserimento della legge appena votata nella nuova Costituzione.

Tale scenario fa presagire una profonda crisi politica che nei prossimi giorni potrebbe far sprofondare il Paese nel caos e nel vuoto di potere. Un vuoto che potrebbe essere colmato dalla Fratellanza musulmana, in coordinamento con l’ala più oltranzista, quella salafita, dotata a sua volta di proprie milizie. È uno scenario per certi versi simile a quello già verificatosi in Egitto e Tunisia, a fronte del quale il ministro della Difesa libico, Salah al-Murghuni, ha già presentato le sue dimissioni, prontamente respinte per ora dal parlamento.

In questo clima, cominciano anche a riemergere vecchi fantasmi del passato, dimostrando che in realtà la guerra civile libica non è terminata. Nelle prossime settimane ci saranno passaggi molto delicati: con un comunicato diffuso il 7 maggio, gli abitanti di Tawergha, una cittadina a pochi chilometri da Misurata, a est di Tripoli, hanno chiesto il sostegno della comunità internazionale per fare ritorno nelle loro abitazioni, il prossimo 25 giugno. I tawerghini sono stati espulsi durante la rivoluzione libica perché accusati di sostenere il vecchio regime, e un loro ritorno potrebbe far riemergere vecchi rancori, in particolare da parte degli abitanti di Misurata, che continuano ad accusarli di crimini di guerra. A ciò si aggiunge l’annuncio della nascita di una nuova brigata leale a Seif al-Islam al-Qaddhafi, figlio del defunto Colonnello e sotto processo a Zintan, che ne chiede la liberazione e la nomina a capo dello Stato, come “soluzione alla crisi in atto”.

Lo scenario finora descritto pone un quesito cruciale: la comunità internazionale sarà nuovamente chiamata a intervenire in Libia – vista anche la sua importanza strategica regionale, in presenza di confini a dir poco porosi? L’opinione pubblica libica e i media nazionali hanno già avviato un dibattito a riguardo, coscienti del fatto che soltanto il rafforzamento delle autorità centrali e il disarmo delle milizie potranno evitare una nuova crisi violenta e un nuovo intervento straniero.