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La Libia, nuova roccaforte dell’IS

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Gli eventi recenti confermano che la Libia potrebbe diventare il nuovo hub jihadista del Nord Africa. Un rischio sottolineato il 10 settembre dal nostro ministro della Difesa, Roberta Pinotti, durante l’incontro con i ministri della Difesa dei Paesi dell’Unione Europea a Milano. Durante una conferenza stampa, il ministro Pinotti ha parlato del concreto pericolo che l’IS (Islamic State), ex ISIS (Stato Islamico nell’Iraq e nel Levante), possa fondare una sua filiale in Libia, rappresentando in questo modo una diretta minaccia alla vicina Europa. Lo stesso concetto è stato espresso anche dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano, durante la sua ultima audizione in Parlamento. E quando due membri di un governo utilizzano questi termini, esponendosi di fronte alla pubblica opinione, significa che esistono elementi sufficienti probatori che confermano l’alto livello della minaccia.

L’IS è già presente in Nord Africa, e in particolare in Libia, luogo in cui l’organizzazione jihadista può approfittare del vuoto di potere e del totale caos che regna nel Paese. Gli uomini dell’IS stanno cercando di formare quello che la stampa locale ha definito l’ISIM, lo Stato Islamico nel Maghreb Islamico, rimpiazzando in questo modo l’AQIM (Al-Qaeda nel Maghreb Islamico), nata durante quella che potremmo definire la seconda repubblica di Al-Qaeda, quella di Osama bin Laden e Ayman al-Zawahiri. Quest’ultimo, leader di ciò che rimane della storica Al-Qaeda, è stato oramai oscurato dalla figura di Abu Bakr al-Baghdadi, l’iracheno leader dell’IS autoproclamatosi Califfo.

I Paesi europei, gli Stati Uniti e gli Stati arabi vicini alla Libia, in particolare Egitto, Algeria e Tunisia, temono che nel Paese sia stato oltrepassato il punto di non ritorno. Nessuno lo dice, ma tutti vogliono un intervento esterno. O meglio, tutti tranne il popolo libico, che crede ancora in una soluzione politica del conflitto, attraverso il dialogo. È vero d’altra parte che, se anche ciò potesse avvenire, non si risolverebbe la questione IS in Libia, che nella Cirenaica conta già su diversi gruppi che gli hanno giurato lealtà. Il Segretario Generale dell’ONU ha ordinato al suo inviato speciale in Libia, lo spagnolo Bernardino Leon, di recarsi in Libia per tentare un’ultima soluzione diplomatica. Come da diversi mesi, la situazione politica del Paese è in stallo, tanto che esistono due Parlamenti, uno a Tobruq, nell’estremo est del Paese, e uno a Tripoli. A ciò si è aggiunto negli ultimi due mesi un grave deterioramento della situazione di sicurezza, riassumibile in questo modo: una guerra a Benghazi tra le forze del Generale Khalifa Haftar, alla guida dell’operazione “Dignità della Libia”, e il Consiglio della Shura dei Ribelli di Benghazi, una sigla che raggruppa i principali gruppi armati islamisti, incluso Ansar al-Sharia; un’operazione militare a Tripoli sotto il nome “Alba della Libia”, che vede contrapposte le brigate di Misurata da una parte e quelle di Al-Zintan dall’altra, due città che durante la guerra contro il regime di Muammar Gheddafi avevano combattuto assieme; il malfunzionamento del sistema petrolifero del Paese, principale risorsa economica, bloccato dalle guerre in corso; il dilagante fenomeno della migrazione clandestina. È in questo scenario che i gruppi jihadisti della Cirenaica si sono rafforzati, cementando alleanze con le altre formazioni attive nella regione nordafricana, in particolare con Ansar al-Sharia in Tunisia e con l’AQIM.

A preoccupare maggiormente l’Occidente ma anche i Paesi vicini, è comunque il rischio rappresentato dall’IS. Fonti di sicurezza tunisine hanno riferito nei giorni scorsi al quotidiano tunisino Al-Musawwir che gli apparati di sicurezza hanno scoperto che un gruppo terroristico a Sabratah, nella Libia settentrionale, vicino al confine con la Tunisia: il gruppo stava pianificando di entrare in territorio tunisino per compiere attentati contro obiettivi commerciali in Tunisia nel paese. Uno scenario critico confermato anche da Mahmud Jibril, ex premier libico e leader del movimento liberale AFN (Alleanza delle Forze Nazionali), il quale, in una recente intervista con l’emittente At-Tahrir, ha dichiarato che in Libia vi sono miliziani estremisti di dodici diverse nazionalità.

Una notizia assai preoccupante, a conferma del rischio IS in Libia, risale a pochi giorni fa. “Sto per unirmi ai miei fratelli del Califfato Islamico in Iraq”, ha dichiarato il giovane libico Muad durante una breve conversazione telefonica con suo padre, riportata in parte da Libya Herald. Il giovane, 16 anni, chiamava dalla Turchia, terra di transito per la maggior parte dei mujaheddin che dall’Europa e dal Nord Africa partono per unirsi all’IS in Siria e Iraq. Come riferito da suo padre, ultimamente Muad aveva trascorso tutto il suo tempo con un individuo “profondamente religioso”, il quale lo aveva messo in contatto con un gruppo specializzato nell’invio di libici in Siria e Iraq.

L’IS è già presente in Libia, e in assenza di una normalizzazione del Paese, l’organizzazione jihadista sarà in grado nel breve periodo di compiere azioni più cruente rispetto a quelle di AQIM. Ma anche nel caso di una normalizzazione della Libia, i Paesi della regione e quelli europei dovranno comunque far fronte alle cellule attive. Una pianificazione preventiva di interventi da compiere potrebbe essere già un passo decisivo e astuto da fare, che richiede una cooperazione fra l’UE e i Paesi ancora stabili del Nord Africa.