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La Grecia al voto: fratture politiche e rischi sociali

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Il 6 maggio i cittadini greci saranno chiamati al voto per decidere quale sarà il prossimo governo del paese. È senza dubbio la consultazione elettorale più importante dal 1974, anno della caduta del regime dei colonnelli. Chi governerà dovrà decidere se continuare a seguire la politica di austerity concordata con la troika (UE, BCE e FMI) oppure operare una rottura netta e avventurarsi su una strada nuova, dagli esiti incerti e assai rischiosi. Questo è il dilemma che gli elettori sono chiamati a sciogliere con il loro voto.

I partiti sono nettamente divisi sulla scelta da compiere. Da una parte quelli che intendono rispettare gli impegni presi con la troika, dall’altra quelli che vogliono rimettere in discussione le politiche di austerità varate dal governo Papadimos. Favorevoli al rispetto degli accordi sono le due forze politiche che hanno governato la Grecia del 1974 a oggi: i socialisti del Pasok e i conservatori di Nea Dimokratia (ND). Sono considerati i principali responsabili della crisi, e molti greci non perdonano loro l’appoggio alle pesanti misure messe in atto dall’attuale esecutivo. Entrambi, per tali ragioni, sono crollati nei sondaggi rispetto alle precedenti elezioni politiche.

Il Pasok, tornato al governo nel 2009 dopo cinque anni trascorsi all’opposizione, ha avuto lo scomodo compito di rendere nota ai greci la reale situazione dei conti pubblici. Su di esso e sul suo leader, Giorgos Papandreou, si è inizialmente concentrato lo scontento dell’opinione pubblica. Il risentimento popolare nei confronti del suo esecutivo e l’inadeguatezza dimostrata nella gestione della crisi lo hanno costretto alle dimissioni alla fine del 2011, con la conseguente nomina a primo ministro dell’ex governatore della Banca di Grecia Lukas Papadimos. Il Pasok è sceso nei sondaggi sino all’8%, rispetto al 43% ottenuto nel 2009: un vero tracollo, cui si è cercato di porre rimedio con l’elezione alla guida del partito di Evangelos Venizelos (giá ministro delle Finanze nel governo Papadimos e grande avversario interno di Papandreou), avvenuta alla metà di marzo.

Questa nomina ha permesso al Pasok di risalire nelle intenzioni di voto, tornando al 14%. Venizelos ha scelto di condurre una campagna elettorale dai toni pacati nel corso della quale, oltre a chiedere scusa per gli errori commessi dal partito, invita costantemente Nea Dimokratia e le altre forze politiche all’unità per superare la crisi in cui versa il paese. Consapevole di non poter aspirare, come in passato, a un esecutivo monocolore, Venizelos cerca in questo modo di reinserire il Pasok nei futuri giochi di governo, aprendo a Nea Dimokratia, ma anche ad altre forze della sinistra. Cerca così di ritagliare per il proprio partito un ruolo centrale da giocare dopo le elezioni.

Molto diverso è invece l’atteggiamento del leader di Nea Dimokratia (ND), Antonis Samaras. Nettamente avanti nei sondaggi rispetto al Pasok, ND ha visto tuttavia il proprio vantaggio ridursi notevolmente nelle ultime settimane. Ciò ha spinto Samaras a condurre una campagna dai toni molto aggressivi, soprattutto nei confronti dei socialisti: il leader di ND continua a chiedere ai greci il loro voto per poter governare da solo. In base agli ultimi sondaggi sembra però impossibile che Samaras possa dare vita a un governo monocolore e la strategia di attacco nei confronti del Pasok pare essere molto rischiosa. Nel caso in cui ottenesse la maggioranza relativa, Samaras potrebbe contare solo sul Pasok quale alleato possibile e credibile – le altre forze di destra sono tutte “antisistema” – a condizione che assieme riescano a superare il 40% dei voti, la soglia minima necessaria per dare vita a un governo bipartisan.

Gli ex elettori di ND sembrano ora orientarsi soprattutto sul movimento dei “Greci Indipendenti” (Anexartiti Ellines), fondato da Panos Kamenos, già membro del partito di Samaras, accreditato negli ultimi sondaggi dell’11% dei voti. Contrario al piano concordato con la troika, Kamenos parla agli elettori con toni radicali e populisti, per raccogliere consensi tra i delusi di Nea Dimokratia. Anche Alleanza Democratica (Dimokratikì Simmachìa), guidata da Dora Bakoyanni (ex figura di spicco di ND) potrebbe togliere voti a Samaras, nonostante al momento non sembri in grado di superare la soglia di sbarramento del 3%.

Attorno a questa cifra, in calo rispetto al 2009, è anche il Laos, il partito della destra nazionalista ortodossa guidato da Georgios Karatzaferis. L’appoggio dato al governo Papadimos, ritirato soltanto alla vigilia del voto parlamentare con cui è stato approvato il secondo memorandum il 12 febbraio, non è piaciuto ai suoi elettori. Molti di essi, così come tanti cittadini stufi dei partiti tradizionali, potrebbero votare per Chrisì Avgì (Alba d’Oro), un movimento di estrema destra che si ispira chiaramente al nazismo e che nei sondaggi sfiora il 5%.

Proprio come accade a destra, anche i voti in fuga dal partito finora egemone sulla sinistra greca si dirigono verso forze più radicali o estremiste. Il partito comunista greco, il KKE, resta ancorato su posizioni vetero-staliniste e anticapitaliste, e chiede non solo l’uscita della Grecia dall’euro, ma addirittura dall’Unione Europea. Accreditato di circa il 10% dei voti, il KKE esclude ogni ipotesi di collaborazione post-elettorale con le altre forze della sinistra radicale, Sinistra Democratica e Syriza, entrambe stimate attorno al 10% nei sondaggi. Sinistra Democratica può contare sulla grande popolarità del proprio leader, Fotis Kouvelis, e su una piattaforma politica in grado di attrarre molti elettori che hanno abbandonato il Pasok. Lo stesso vale per Syriza: il suo leader, Alexis Tsipras, il più giovane tra quelli presenti sulla scena politica greca, in diverse occasioni ha lanciato l’idea di un fronte comune tra le forze della sinistra contro le politiche di austerità imposte alla Grecia dalla troika. Queste due formazioni potrebbero insieme superare il 20%. Non hanno spiegato con chiarezza, però, quali siano le ricette con cui intendono far ripartire l’economia del paese.

Appare dunque difficile definire lo scenario politico che si aprirà in Grecia dopo le elezioni. L’unico dato certo, al momento, è che il voto del 6 maggio segnerà la fine del sostanziale bipartitismo che ha governato la Grecia per oltre 35 anni. In un quadro politico estremamente scomposto come quello attuale, la Grecia corre dunque seri rischi. Nea Dimokratia e Pasok saranno in grado di garantire il rispetto degli accordi sottoscritti con la troika solo nel caso in cui potranno contare su una solida maggioranza parlamentare. Una maggioranza esigua potrebbe, infatti, facilmente sfaldarsi nel momento in cui il prossimo governo sarà chiamato a varare le misure previste dagli accordi con la troika, tra cui i tagli dei posti di lavoro nel settore pubblico.

D’altra parte, maggioranza alternativa a quella ND-Pasok è al momento molto improbabile, soprattutto per le posizioni del KKE, contrario a fare fronte comune con Syriza e Sinistra Democratica. Se nessuna maggioranza chiara dovesse uscire dalle urne dopo il 6 maggio, la situazione per il paese si farebbe ancora più critica.

In Europa si auspicano ormai da più parti politiche che diano maggiore spazio alle misure per lo sviluppo, così da permettere ai paesi in difficoltà un’uscita dalla crisi meno violenta. Il prossimo governo greco dovrà però, in cambio, dimostrare la capacità di riformare in profondità il sistema economico nazionale e di combattere seriamente quei fenomeni, come la corruzione e l’evasione, che per troppi anni hanno ritardato lo sviluppo del paese.