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La geopolitica del risveglio arabo: tesi a confronto

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Circolano due tesi interessanti sull’inizio del risveglio arabo. Non è che le date contino molto. Ma conta il loro significato. La prima tesi, di Robert Fisk (corrispondente di The Independent e uno dei principali commentatori britannici di questioni mediorientali) è che la mobilitazione delle piazze arabe non sia cominciata in Tunisia nel dicembre scorso, con il gesto tragico di un giovane ambulante, Mohamed Bouazizi. Sarebbe cominciata invece nel 2005, in Libano; quando l’assassinio di Rafiq Hariri, l’ex premier sunnita, portò migliaia di persone a chiedere il ritiro delle truppe siriane dal paese. La cosa avvenne, dopo una Risoluzione delle Nazioni Unite sponsorizzata da Francia e Stati Uniti. Ma poi Damasco reagì, fino alla estromissione del figlio di Hariri (Saad), protetto dall’Arabia Saudita, da un governo libanese sostanzialmente egemonizzato da Hezbollah, braccio sciita dell’Iran e di Damasco.

Anche oggi Bashar al Assad accusa paesi stranieri di puntare alla destabilizzazione del suo regime; e la Siria non ha certo rinunciato a influenzare la politica regionale: anzi, proprio il fatto che toccare Damasco significa toccare equilibri particolarmente delicati ai suoi confini, spiega la prudenza della risposta occidentale e israeliana.

Il 2005 del Libano era in ogni caso un anticipo dello showdown che si sta tragicamente consumando in terra siriana fra il potere minoritario alawita e la popolazione sunnita. Al Assad ha alternato promesse di riforma e repressione. Ma la realtà è che ritiene di dovere usare la stessa violenza del padre per restare al potere.

In conclusione: la tesi di Fisk sposta il perno della primavera araba (o già inverno che sia) nel cuore del Medio Oriente: la prova di forza in Siria avrà effetti sul Libano, sulla sicurezza di Israele, sull’Iraq, sulla Turchia (che ha giocato negli ultimi anni una sua carta siriana). Rispetto alla posta in gioco a Damasco, il futuro di Tripoli potrebbe apparire marginale. Ma non lo è: l’esito della prova di forza con Gheddafi condizionerà anche le scelte di Bashar al Assad.

C’è una seconda tesi, quella di Oded Eran, ex-ambasciatore israeliano all’Unione Europea. Dal suo punto di vista, una data essenziale a cui guardare è il referendum sulla indipendenza del Sudan del Sud, nella prima metà del gennaio di quest’anno. Perché quello che sta realmente accadendo – nell’arco di crisi che va dall’Africa centro-settentrionale fino al Golfo Persico, con una punta verso Ovest (il Maghreb) e una verso Est attraverso l’Egitto – è la messa in discussione dei vecchi confini coloniali. Rientra in questo schema la Libia, con lo scenario di una spartizione di fatto fra Tripolitania e Cirenaica. E potrebbe rientrarvi la Siria. Perché in caso di collasso della dittatura alawita, tenderebbe ad elidersi quella frontiera con il Libano che non esisteva nella storia precedente al crollo dell’Impero Ottomano. Sono scenari che oggi sembrano irrealistici, commenta Robert D. Kaplan in un saggio sulla “grande Siria” del 19° secolo. Ma che fanno capire il problema sottostante: cento anni dopo la prima guerra mondiale, la tenuta del sistema post-Ottomano, già messa in discussione nei Balcani, non può più essere data per scontata neanche in Medio Oriente.

Come si vede, cambiando la data di inizio del risveglio arabo ne cambiano anche le implicazioni, le dimensioni e la portata. E cambiano gli scenari. Nella prima interpretazione, un nuovo scontro fra Israele e Siria, via Libano, è probabile: Bashar al Assad cercherà di spostare la crisi interna su un fronte esterno, con l’appoggio di Teheran. Nella seconda, il rischio vero, per la sicurezza di Israele, verrebbe piuttosto dall’ascesa al potere di nuove coalizioni sunnite, collegate ai Fratelli musulmani sia in Egitto che nella “Grande Siria”. E vicine ad Hamas. Mentre l’autorità centrale dei vecchi Stati nazionali tenderebbe a indebolirsi.

In entrambi i casi, ne esce rafforzata la bruciante sensazione che l’Europa stia mancando al suo appuntamento con la storia: perché la storia non è solo quella che abbiamo raccontato in questi quattro mesi – rivolte per il pane o per la dignità e libertà di giovani generazioni dal peso di vecchie dittature corrotte. È anche la storia di una scossa geopolitica decisiva nel cuore del Medio Oriente.