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La Francia di Hollande

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È François Hollande il nuovo presidente della Repubblica francese. Il candidato socialista ha battuto di misura (51,6%) l’uscente Nicolas Sarkozy, al termine di una campagna elettorale estenuante e ricca di sorprese. Il voto segna il ritorno della sinistra alla presidenza, dopo un’assenza di 17 anni. La sconfitta di Sarkozy è marcata dall’insoddisfazione per la situazione economica, e avrà delle profonde ripercussioni a livello europeo.

Si tratta di un risultato storico. Hollande è infatti il secondo socialista a raggiungere la presidenza (dopo François Mitterrand, 1981-1995) da quando, con la quinta repubblica, venne adottato il meccanismo dell’elezione diretta del capo dello Stato. Numericamente, questa tornata ricorda quella del 1981: come allora, a dividere i due candidati c’è poco più di un milione di voti – nel 2007 il distacco tra Sarkozy e Ségolène Royal era doppio. Ma nelle parole, nei gesti e nell’atteggiamento di François Hollande c’è ben poco dell’ottimismo che caratterizzò l’insediamento di Mitterrand all’Eliseo: il nuovo presidente ha rinunciato a ogni trionfalismo e ha immediatamente invitato i francesi a non aspettarsi “tutto e subito”. È uno stato d’animo condiviso dalla cittadinanza: un recente sondaggio mostra che ben il 46% della popolazione è convinto che la situazione del paese in ogni caso peggiorerà, mentre per un altro 28% rimarrà invariata.

Hollande, nella nottata che ha seguito il voto, ha voluto salutare le migliaia di sostenitori radunati alla Bastiglia per festeggiare: tra loro, anche molti elettori dei candidati più a sinistra, che al secondo turno in schiacciante maggioranza hanno preferito l’opzione socialista all’astensione. Il brevissimo discorso tenuto dal nuovo capo dello Stato sottolinea i pilastri su cui, nelle intenzioni, dovrebbe poggiare il prossimo quinquennato: le riforme di politica interna dovranno seguire le linee guida dell’equità e della giustizia, per correggere gli squilibri sociali esistenti.

Il risultato complessivo del voto fa pensare a un paese diviso in due parti quasi uguali. Tuttavia, la preferenza per l’uno o l’altro candidato è netta all’interno delle differenti categorie sociali e anagrafiche. Hollande raccoglie il voto di circa due terzi degli operai, dei lavoratori dipendenti, di coloro che guadagnano meno di 1.200 euro al mese, degli under 35, degli abitanti dei grandi centri urbani. In particolare i giovani si sono dimostrati più sensibili allo slogan “il cambiamento è adesso”, con cui il vincitore ha voluto rimarcare l’esigenza di un deciso distacco dal quinquennato di Nicolas Sarkozy: il neoeletto ha potuto godere di questo decisivo apporto già dalle primarie che in autunno avevano deciso il nome del candidato socialista. Hollande ha dunque promesso di essere “il presidente della gioventù francese”: un impegno che dovrebbe concretizzarsi in un’attenzione speciale alle politiche abitative e di inserimento e all’estensione della sfera dei diritti.

Il presidente uscente, al contrario, ha fatto il pieno tra i commercianti, gli artigiani, gli imprenditori, gli over 60 e gli abitanti delle zone rurali. A dispetto delle previsioni, Sarkozy è riuscito a mobilitare attorno alla sua candidatura buona parte della destra e del centro politico francese, in misura significativa anche se non sufficiente. L’adozione dei temi identitari, l’accento posto sulla sorveglianza delle frontiere e sulla difesa della patria, l’impegno a collaborare con l’UE solo con la garanzia di una leadership francese, hanno convinto la parte dell’elettorato più disposta a trovare all’interno dei confini del paese le risposte alla crisi economica.

Anche stavolta, e nonostante Marine Le Pen avesse esplicitamente dichiarato il suo voto in bianco, la maggioranza degli elettori del Front National al secondo turno ha scelto Nicolas Sarkozy, sebbene in proporzione minore rispetto al passato. In effetti, i “marinisti” si sono divisi: la parte più tradizionale, radicata nel Sud mediterraneo, ha preferito il presidente uscente; i votanti delle zone industriali in crisi nel Nord del paese si sono invece orientati su Hollande o sull’astensione. Le schede bianche o nulle sono comunque risultate circa due milioni, pari al 5,8% del corpo elettorale. Più sorprendentemente, Sarkozy ha conquistato anche la maggioranza degli elettori di Bayrou – che nel 2007 al secondo turno si erano spostati a sinistra – benchè il candidato centrista avesse espresso chiaramente la propria preferenza per lo sfidante socialista.

La presidenza di Hollande si apre in un momento delicatissimo per la politica e l’economia europea. Il capo dello Stato francese affronterà sullo scenario continentale una delle sue scommesse più difficili: riformare il Patto di bilancio, firmato da 25 membri dell’Unione Europea, in senso meno restrittivo. Il federalismo di bilancio è uno dei risultati più importanti ottenuti dal direttorio Merkel-Sarkozy; la Cancelliera tedesca non sembra disponibile, per il momento, a modificare le linee principali di un trattato che stabilisce parametri molto severi per i bilanci dei paesi dell’UE.

Ma l’emendamento al Patto non è l’unica via con cui François Hollande (e i suoi sostenitori nelle capitali europee) possono inserire il principio della crescita accanto a quello del rigore come cardini della politica economica di Bruxelles e Francoforte. Proprio la modifica del mandato della BCE è uno dei punti su cui la pressione dei diversi paesi europei potrebbe spingere Berlino a una maggiore apertura, soprattutto considerando la ripresa della tempesta finanziaria sulle piazze continentali – rese nuovamente instabili non solo dall’incertezza politica greca ma anche dal peggioramento dei dati spagnoli.

Sul piano interno, Hollande beneficerebbe di un cambiamento in tal senso: le sue promesse in materia di politica sociale sarebbero più facilmente realizzabili, senza che sia necessario un aumento troppo forte del prelievo fiscale. Il presidente francese sarà dunque presto ricevuto a Berlino perchè le due potenze europee trovino un’intesa di massima nell’immediato: privata dell’appoggio di Nicolas Sarkozy, e con una scadenza elettorale che si annuncia molto problematica (le elezioni politiche tedesche sono previste l’anno prossimo e la coalizione di governo è più debole che mai) non sarà facile per Angela Merkel difendere la linea del rigore a oltranza.

Entro una decina di giorni, François Hollande dovrà nominare il primo ministro – tra i favoriti Martine Aubry, segretaria del partito e sconfitta alle primarie – con cui formerà il governo. Toccherà poi ancora, nel giro di un mese, agli elettori francesi decidere se dare al presidente socialista una maggioranza parlamentare.

Le elezioni legislative, per quanto ricche di incognite legate alla presenza di un doppio turno al quale possono accedere anche tre candidati per ogni collegio uninominale, si presentano abbastanza in discesa per il partito socialista. Da un lato, Nicolas Sarkozy ha giurato di volersi immediatamente ritirare a vita privata, “francese tra i francesi”: il suo partito, l’UMP, si ritrova così senza guida in vista di un voto che Marine Le Pen considera il primo passo per la scalata alla leadership sull’intera destra francese. Dall’altro, le forze alla sinistra del PS (i Verdi e il Front de Gauche) hanno ottenuto al primo turno delle presidenziali un risultato tale da non impensierire Hollande, nè da costringerlo ad accordi di desistenza che potrebbero indebolire il futuro gruppo parlamentare socialista.

Sarà quindi a livello internazionale che il nuovo presidente della Repubblica dovrà giocare la sua partita più complicata. Archiviata la campagna elettorale, François Hollande è cosciente, come ha ripetuto subito dopo aver conosciuto il risultato del voto, che “il difficile viene adesso”.