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La Corte costituzionale tedesca: ago della bilancia in Europa?

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Con la sua attesissima ordinanza del 12 settembre, il Tribunale costituzionale federale tedesco ha respinto il ricorso di diversi cittadini che chiedevano il rilascio di un provvedimento cautelare per impedire temporaneamente l’entrata in vigore del trattato istitutivo del meccanismo europeo di stabilizzazione permanente (ESM). Soltanto dopo che il Tribunale si fosse espresso nel merito sulla conformità delle norme del trattato alla Costituzione tedesca, il presidente della Repubblica avrebbe potuto procedere alla sua ratifica. Così i ricorrenti. I giudici costituzionali hanno invece ritenuto che, prima facie, le norme del trattato fossero sostanzialmente conformi al Grundgesetz e non vi fosse bisogno di alcun rinvio alla sua entrata in vigore.

Tuttavia, ha chiarito Karlsruhe, la ratifica potrà avvenire soltanto se il parlamento tedesco espliciterà con un atto di diritto internazionale che la sua interpretazione del trattato istitutivo è la seguente: la Germania si assume un rischio finanziario non oltre il limite fissato dall’art. 8 § 5 del trattato, ossia 190 miliardi di euro (ossia la somma della quota totale di capitale sottoscritta dalla Germania). Anche nel caso di una responsabilità maggiore, la delibera per allargare i cordoni della borsa non potrà avvenire senza il voto favorevole del rappresentante tedesco. Rappresentante che necessita sempre di una legittimazione parlamentare, prima di ciascun voto del “consiglio dei governatori” dell’ESM. In secondo luogo, l’obbligo di tacere in merito alle scelte del fondo imposto ai funzionari dell’ESM dall’art. 34 del trattato, non potrà essere di alcun ostacolo al diritto di Bundestag e Bundesrat ad essere puntualmente e correttamente informati.

In sostanza, quello che il Tribunale costituzionale chiede al governo è di precisare, attraverso l’apposizione di una riserva, la propria interpretazione del trattato istitutivo dell’ESM. Sono infatti gli stessi giudici costituzionali ad ammettere che non esiste un’unica interpretazione delle norme del trattato. Il compito di Karlsruhe è stato quindi quello di ricondurre entro un certo limite ben chiaro e definito nel tempo, come stabilito anche nella sua sentenza dello scorso anno, l’entità dell’esposizione della Germania, pena la menomazione del diritto costituzionale del parlamento tedesco a decidere sul bilancio dello stato. Quasi a dire: più in là e non oltre, altrimenti le ripercussioni sul bilancio sarebbero incalcolabili. Se però in seno all’ESM si decidesse comunque di andare più in là, Berlino dovrebbe comunque disporre di un potere di veto. Potere di veto di cui la Germania dispone per quasi tutte le decisioni previste dalle norme del trattato, ma non, ad esempio, nel caso di deliberazioni ex art. 9 § 2 e § 3 in collegamento con l’art. 25 § 2, ossia quando alcuni paesi sottoscrittori non siano in grado di versare le quote di capitale stabilite e tocchi proporzionalmente agli altri stati colmare questo vuoto. Di qui il tampone interpretativo dei giudici, in base al quale anche in questo caso il limite di esposizione per la Germania non potrebbe superare i 190 miliardi.

Più ancora che in altre sentenze, l’ordinanza del 12 settembre è quindi volta a precisare quale sia la versione tedesca degli atti approvati per far fronte alla crisi debitoria. Alla signora Merkel tocca ora un compito molto delicato: quello di spiegare ai suoi colleghi a Bruxelles che il trattato istitutivo va interpretato non tanto secondo le intenzioni degli stati parte al momento della firma, quanto secondo i ragionamenti del Tribunale costituzionale federale. Un compito diplomatico, non privo di insidie giuridiche, che rischia di produrre nuovi attriti con paesi di certo maggiormente inclini ad ampliare senza troppi complimenti la dotazione del fondo di stabilizzazione.

Senza contare che le manovre di aggiustamento disposte dal Tribunale costituzionale non sono affatto terminate. Nel corso dell’autunno i giudici di Karlsruhe emaneranno anche la sentenza definitiva, nella quale sarà loro compito, non soltanto confermare quanto scritto ieri, ma anche esprimersi sulla conformità al Grundgesetz del piano di acquisto dei bond sul mercato secondario (OMT) varato dalla BCE il 6 settembre scorso. Per ora, in una considerazione incidentale dell’ordinanza di ieri, i giudici si sono limitati a lanciare un primo e sibillino anatema a Mario Draghi, sostenendo che “l’acquisto di titoli di stato sul mercato secondario da parte della BCE, avente lo scopo di finanziare i bilanci degli Stati membri indipendentemente dai mercati finanziari è vietato, dal momento che costituirebbe un aggiramento del divieto di finanziamento monetario”. Resta ora da chiarire se davvero il programma di acquisto varato da Francoforte abbia o meno un tale scopo.