La crescente domanda di energia proveniente dalle economie del Golfo Persico sta spingendo alcuni paesi arabi a ricercare fonti alternative al petrolio, e l’energia nucleare sembra essere l’opzione prioritaria. Gli Emirati Arabi Uniti hanno già affidato ad una joint venture tra Stati Uniti e Corea del Sud la realizzazione del loro primo reattore nucleare, che entrerà in funzione entro il 2017. Il delicato quadro geopolitico e il caso iraniano impongono la massima cautela riguardo al possibile sviluppo di programmi nucleari nella regione. L’instabilità politica generatasi all’indomani delle rivolte arabe, infatti, non offre alcun tipo di garanzia riguardo agli scopi e all’utilizzo di questo tipo di energia. Dal canto suo, il caso di Abu Dabhi dimostra che a certe condizioni è possibile perseguire il nucleare civile: rispettando in pieno le regole dell’AIEA e con una totale apertura ai suoi ispettori.
Nelle scorse settimane, gli esperti di energia nucleare del Gulf Cooperation Council (GCC, di cui fanno parte Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita) si sono incontrati a Ryad per discutere i vantaggi derivanti dall’utilizzo del nucleare a fronte al loro crescente fabbisogno energetico. E’ stato un incontro che per certi versi ha ricordato l’impianto originario del GCC, creato negli anni ’80 sull’onda emotiva dal conflitto tra Iraq e Iran e dietro impulso saudita per promuovere la cooperazione economica e tecnologica.
La crescente domanda di energia si spiega in parte con il repentino sviluppo economico della Penisola Araba, divenuta in breve tempo uno dei maggiori poli attrattivi per gli investitori globali di beni e servizi di lusso. Non va sottovalutato, poi, il massiccio sviluppo urbanistico subito dalle capitali del Golfo: la quantità di energia necessaria a condizionare gli ambienti (dovuta in parte al clima) incide considerevolmente sul fabbisogno energetico. Il modello di sviluppo locale è fortemente incentrato sullo sviluppo architettonico – si pensi ai lussuosi resort a 7 stelle e alle molte strutture ad alta tecnologia tra cui figura anche la prima succursale del Louvre al di fuori di Parigi. É stato stimato che, se la domanda di energia continuerà a crescere ai livelli attuali, entro il 2030 il 60% del petrolio sarà destinato alla produzione di elettricità.
Per soddisfare un tale fabbisogno energetico, le autorità avevano già tentato la via della diversificazione energetica importando gas naturale dal vicino Qatar, le cui riserve – secondo alcuni studi – sarebbero però insufficienti a soddisfare la domanda dei vicini Emirati. La scelta, allora, è immediatamente caduta sul nucleare. Già nel 2008, Abu Dhabi si era accordata per la costruzione di quattro reattori nucleari, sottoscrivendo un contratto del valore di 20 miliardi di dollari con la coreana Kepco (Korean Electric Power Coorporation), una delle più grandi compagnie al mondo specializzate in impiantistica nucleare. Nel consorzio di imprese incaricate dei lavori per la realizzazione del primo reattore nucleare nel sito di Braka, (167 miglia ad ovest di Abu Dabhi), figura anche l’americana Westinghouse. Entro il 2020 dovrebbero entrare in funzione altri tre reattori, e si valuta che i nuovi impianti possano soddisfare il 25% del fabbisogno di Abu Dabhi e circa il 12% del resto del paese.
Pur essendo la diversificazione delle fonti energetiche la giustificazione ufficiale degli investimenti sul nucleare, la mossa di Abu Dhabi potrebbe essere letta, in chiave strategica, anche come un’azione di contenimento dell’influenza sciita nella regione. Il programma nucleare iraniano non spaventa le monarchie del Golfo dal punto di vista strettamente militare: l’ipotesi di un attacco nucleare da parte dell’Iran è – anche secondo fonti di intelligence – molto remota. La vera minaccia consiste nel fatto che l’Iran potrebbe usare la tecnologia nucleare per aumentare la propria influenza in Medio Oriente. Teheran ha infatti tradizionalmente un peso limitato in sede OPEC, soprattutto a causa delle sue ridotte capacità estrattive, ma potrebbe ottenere enormi vantaggi economici e politici se si affermasse come potenza nucleare regionale. Le implicazioni strategiche sarebbero in quel caso subito evidenti, ad esempio, in Bahrein, dove potrebbero trovare nuovo slancio le rivolte sciite fino ad oggi represse dalle truppe saudite.
Gli equilibri geopolitici regionali non vengono regolati soltanto dalle strategie di diversificazione e approvvigionamento energetico: è in atto un’intensa corsa agli armamenti. In parte a difesa dei propri impianti di raffinazione, vari paesi del Golfo si stanno dotando soprattutto di impianti missilistici. Ryad ha siglato con Washington un acquisto di armamenti che entra, per dimensioni, nella storia dell’industria bellica statunitense, con una singola fornitura del valore di 30 miliardi di dollari. Abu Dhabi, intanto, sarà il primo paese a dotarsi del modernissimo sistema di difesa aerea THAAD.
Uno scenario poco rassicurante, e per fortuna lontano, potrebbe essere quello in cui gli stati del Golfo, pressati dalla minaccia iraniana, decidano di dotarsi direttamente di armamenti nucleari. Arabia Saudita e Pakistan potrebbero, a tal fine, riallacciare i rapporti bruscamente interrotti nel 2004 dopo l’arresto di Abdul Qadeer Khan, il padre della bomba atomica pachistana. Anche gli Emirati Arabi Uniti, che hanno fin da subito dichiarato i presupposti pacifici del proprio programma nucleare, potrebbero essere coinvolti nella spirale degli eventi e decidere di riconvertire la proprio tecnologia. A sua volta, una simile “cascata” di programmi nucleari avrebbe quasi certamente conseguenze sui calcoli strategici di altri paesi, come l’Egitto o la Turchia, che ambisce a diventare un attore regionale di primo piano.
Non c’è dubbio che le esigenze legate allo sviluppo economico mediorientale impongano nuove strategie di approvvigionamento energetico, e che l’energia nucleare avrà quasi certamente un ruolo cruciale. La grande sfida per gli attori regionali sarà quello di riuscire a legare gli avanzamenti tecnologici ad un percorso politico e strategico condiviso – sia rispetto al programma iraniano, sia alla perenne questione israelo-palestinese che continua a fare da elemento di disturbo e a provocare tensioni ricorrenti. Queste sono precondizioni essenziali per scongiurare un’escalation di minacce (reali o percepite che siano) alla sicurezza regionale.