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La campagna di Hillary Clinton tra giovani elettori, social media e vecchie debolezze

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Quest’anno, la generazione dei millennial sorpasserà quella, per giunta molto numerosa, dei baby boomer. Un passaggio che sancirà un vero e proprio spartiacque: i giovani americani dai 18 ai 34 anni raggiungeranno quota 75,3 milioni, scalzando dalla vetta i 74,9 milioni di nati dopo la fine della seconda guerra mondiale, che oggi hanno dai 51 ai 69 anni. Una rivoluzione demografica e culturale, a ben pensare, e sicuramente un cambio di prospettiva di cui ancora non si conoscono gli effetti.

Tra i genitori (o in qualche caso i nonni) dei millennial, c’è anche lei, la 67enne Hillary Rodham Clinton; madre di Chelsea e nonna della sua primogenita, la neonata Charlotte. Clinton è una baby boomer che dovrà scommettere su questa rivoluzione giacché ha deciso di correre per la nomination democratica per le elezioni presidenziali del 2016, in cui il 77% dei millennial dichiara fin da ora che si recherà a votare. Lo ha annunciato in un video di due minuti e mezzo, in cui i protagonisti sono loro: due giovani latinos, una coppia di afro-americani, una studentessa; “tutti pronti per il futuro”, assieme a pensionati e casalinghe, più agée, a fare da comprimari. Un avvio energico, per una campagna elettorale che si preannuncia invece un po’ letargica, con i sondaggi che predicono una battaglia quasi dinastica tra la moglie dell’ex Presidente democratico Bill (oltre naturalmente che ex-Senatrice ed ex-Segretario di Stato) e Jeb Bush, l’ex Governatore della Florida, figlio e fratello, rispettivamente dei due Presidenti George H. W. e George W.

Il video di Hillary è atterrato sui social media dopo una lunga attesa, vissuta con malizia da tanti giovani utenti della rete: nelle stesse ore dell’annuncio, su Twitter dominava infatti l’hashtag “#whyIamNotVotingforHillary”. Tuttavia, il video è diventato in fretta virale, con due milioni di visualizzazioni e oltre mezzo milione di nuovi fan sulla pagina Facebook della campagna “Ready For Hillary”. Già da ora, i numeri confermano la necessità per Clinton e il suo staff di riprendere il filo dov’era rimasto nel 2008: per vincere, devono saper accaparrarsi il “consenso giovane e multirazziale”. Sette anni fa, l’ex First Lady aveva tentato di guadagnarsi la nomination democratica in giro per campus universitari, ignara dell’entusiasmo che avrebbe generato il Senatore dell’Illinois Barack Obama sugli elettori democratici, in particolare quelli che per la prima volta avevano la possibilità di decidere il nome del futuro presidente. Anche allora Clinton, nel bel mezzo della prima vera campagna presidenziale social, si era messa in ascolto dei più giovani anche sui temi non centrali nella sua attività politica, come i diritti dei gay. Riuscì a incassare un livello di gradimento peraltro uguale a quello a cui pare essere ferma oggi, il 48%, che non bastò a intercettare il voto dei millennial: questi infatti incoronarono Obama.

All’epoca più di qualcosa andò storto. Oggi, quello che sembra più promettente per Clinton è il campo di gioco, fortemente digitalizzato – per il quale è stato designato il 35enne Robby Mook, già parte dello staff di Clinton nel 2008 e al fianco dello stratega di Obama, David Plouffe, nella campagna di rielezione 2012. Ora Hillary ha dalla sua parte la summa perfetta di social e big data: un mondo in cui gli utenti della rete offrono volontariamente una grande mole di informazioni personali, che aiuta a comprendere meglio le istanze dei più giovani, maggiori “consumatori” di social media, per lo più attraverso dispositivi mobili. Nel 2012, il Pew Research Center aveva censito che il 35% degli americani si affidava agli smartphone per interagire sui social network e per leggere le notizie. Nel 2015 siamo a quota 64%.

Le elezioni del 2016 giungono dopo due appuntamenti presidenziali – 2008 e 2012 – in cui prima il boom dei social e poi dei big data hanno permesso ai candidati di raggiungere sempre più direttamente i propri elettori (attraverso la pratica del targeting e grazie alla geolocalizzazione), di costruire non più una campagna attorno ai giovanissimi, ma “in mezzo” a loro. Ovviamente una sfida e un rischio perché, per parlare alle persone, si deve contare su una narrazione in continua evoluzione, piuttosto che su una rigida conferenza stampa; tentando di relegare ai margini il ruolo dei media tradizionali. Ed è esattamente quello che ha fatto Clinton fin dal 2013, ricominciando i suoi tour nei campus, partecipando ai convegni sulla salute mentale degli studenti sotto pressione al college (un tema a cui si lega l’altra grande questione dei debiti per l’istruzione), raccogliendo testimonianze che potessero fornirle la chiave di interpretazione giusta.

Obama ha promesso tanto ai giovanissimi, persino la luna, e proprio per questo era possibile e probabile che avrebbe finito con il creare un po’ di delusione. L’eredità che può trovarsi a raccogliere Clinton – e ancora non è chiaro se prenderà le distanze dal Presidente – impone quindi un salto di qualità: “perché aspettarsi un cambiamento se Hillary diventa presidente?” si è chiesto qualche giovanissimo su Twitter. Non è un caso che nel giugno del 2014, Hillary Clinton abbia pubblicato “Hard Choices”: il suo libro di memorie “elettorale” è il tentativo di spiegare agli americani, con un’autobiografia, le difficili scelte (e le giustificazioni) fatte nel corso della sua attività politica. Si consegna nelle mani dei più adulti un libro-testimonianza, in quelle dei più giovani una sorta di promessa: un’epoca è conclusa, sono pronta a scriverne una nuova. Con risultati già evidenti. Nell’autunno del 2014, sulla scia del lavoro fatto a livello grassroots, Clinton era addirittura favorita tra i giovanissimi contro Elizabeth Warren, Senatore del Massachusetts molto più a sinistra di lei che più di qualcuno vorrebbe candidare alle primarie. Warren è l’unica Democratica ad aver criticato le politiche economiche dell’amministrazione di Bill – appunto da sinistra.

L’uscita dalla recessione e la ripresa dell’economia durante la presidenza Obama hanno allentato la morsa critica dei millennial sul passato di Hillary Clinton e diventa sempre più chiaro, persino nel pieno dello scandalo dell’account email usato da Hillary quando era Segretario di Stato, che i giovani vogliono contare e pensano di farlo scommettendo su di lei. Nel febbraio 2015, secondo Fusion, uno dei sondaggi più completi sui millennial, il 55% di essi ha dichiarato che voterebbe per Hillary. Così, la campagna di Hillary si sta rafforzando, presentandosi come alternativa alla solita Washington fatta solo di meschini giochi di potere e attenta piuttosto ai temi sociali. I Democratici lo sanno bene: finché si sta sui diritti, i sondaggi premiano. Si prevede quindi che, oltre al finora timido e generico endorsement, Obama lanci la palla a Hillary anche su marijuana e altre questioni socialmente controverse.

Rimangono però delle insidie, in particolare la sua mancanza di freschezza: Hillary Clinton non è certo niente di nuovo, è una faccia fin troppo familiare. Una carta da giocare, che però nel 2008 fu scartata, è invece il fattore donna: vendere agli elettori millennial e soprattutto alle giovani elettrici una campagna basata sulla parità dei sessi. A questo potrebbe giovare il fronte già aperto sulle disuguaglianze razziali e sociali, ma soprattutto il GOP che si batte contro i diritti riproduttivi delle donne, specialmente quelle meno abbienti.

A parte il discorso sui diritti, però, le migliori chances di vittoria per Hillary vengono dalla capacità di entrare nelle case dei giovani, non più con la televisione, ma con la leggerezza della rete, fornendo una nuova e vera narrazione di sé.