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Israele, la ferrovia che aggira Suez e le direttrici strategiche

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Lo scorso 5 febbraio Israele ha approvato la costruzione di “Red-Med”, una linea ferroviaria che, unendo le due coste del paese, costituirà un’alternativa terrestre ai traffici di Suez e aprirà un nuovo ponte commerciale tra i mercati asiatici e quelli europei. Il nuovo progetto infrastrutturale, soprattutto, consentirà a Tel Aviv di ridurre la propria dipendenza commerciale dai tradizionali mercati euro-statunitensi, i quali costituiscono più del 70% delle destinazioni finali dell’export israeliano.

Dal punto di vista tecnico, la nuova linea civile e commerciale collegherà il porto di Eilat, sul Mar Rosso, con Ashdod, sul Mediterraneo: il percorso complessivo – che dovrebbe costare intorno ai 2,3 miliardi di dollari e che vedrà il coinvolgimento sia di investitori locali, sia di partner cinesi e indiani – sarà lungo 350 km e diverrà pienamente operativo entro la fine del 2017.

Come hanno sottolineato le fonti governative israeliane, la ferrovia “Red-Med” vuole essere un’infrastruttura complementare al congestionato Canale di Suez – da cui transita l’8% del traffico marittimo globale – per consentire un trasporto alternativo delle merci dall’Europa all’Asia. Israele vorrebbe coinvolgere nel progetto anche la Giordania, in quanto il porto di Aqaba (vicino a quello israeliano di Eilat) è ben collocato per lo smistamento dei container in transito verso i porti israeliani di Ashdod e Haifa. Lo stesso Premier Benjamin Netanyahu ha definito “Red-Med” “un’opera altamente strategica” idonea ad incentivare lo sviluppo del Negev – la vasta regione desertica in gran parte disabitata – e volta a potenziare le politiche commerciali di Israele che guardano sempre più verso Oriente (Cina, India, Giappone). Questa tendenza è dimostrata dalla crescita delle esportazioni israeliane verso i paesi asiatici (29,3% nel 2012). 

Infatti, il progetto infrastrutturale risponde non solo alle esigenze di ampliare la capacità produttive e di trasporto di Israele, ma soprattutto di differenziare sempre più l’export israeliano e a rendere il paese un importante snodo terrestre regionale, favorendo simultaneamente i suoi interessi economico-industriali e strategici.

Ad incidere sulla realizzazione di questo progetto sono certamente anche le tensioni politiche che hanno caratterizzato in questi mesi il Medio Oriente e che stanno progressivamente condizionando la ridefinizione delle future rotte commerciali ed energetiche della regione. Già lo scorso gennaio, ad esempio, i Paesi del Golfo – che da alcuni anni hanno iniziato a smistare le proprie attività commerciali verso i mercati dell’India, della Cina e del Sud-Est asiatico – hanno annunciato la prossima inaugurazione di una ferrovia transnazionale volta ad aggirare una possibile chiusura dello Stretto di Hormuz.

Alla luce di queste strategie, la ferrovia “Red-Med” verrà collegata alla linea esistente che va da Be’er Sheba a Dimona e che comprenderà otto nuove stazioni lungo il percorso, tra cui quella che congiungerà il futuro aeroporto internazionale della Timna Valley con il Golfo di Aqaba e il porto di Eilat. A questo progetto si aggiungono, inoltre, i piani relativi alla realizzazione di nuove tratte stradali e ferroviarie, come la Ashkelon-Ofakim o la Ashdod-Tel Aviv-Haifa, prolungamenti del braccio principale Eilat-Ashdod. In questo modo Israele potrebbe trasferire le merci in arrivo dai porti sul Mediterraneo verso Eilat e da qui iniziare il trasporto via mare verso i paesi asiatici.

Oltre a fornire una nuova rotta commerciale terrestre, la linea Eilat-Ashdod potrebbe divenire anche una fondamentale direttrice energetica in virtù della cospicua presenza di giacimenti di gas naturale al largo delle coste israeliane. Infatti, i porti di Haifa e Ashdod, terminal finali del percorso mediterraneo della “Red-Med”, si affacciano sui ricchi giacimenti gasiferi nel Mar del Levante. I due siti più grandi, “Tamar” e “Leviathan”, detengono riserve pari rispettivamente a 238 miliardi di metri cubi e a 450 miliardi di metri cubi. Tali stime potrebbero rendere Israele un importante esportatore di gas e dunque uno snodo regionale energetico: ciò accrescerebbe il suo peso economico cambiando, forse, la struttura stessa dei suoi rapporti strategici con i paesi occidentali e l’Asia emergente.