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Iran: l’incerta vittoria della Guida Suprema contro Ahmadinejad

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Le elezioni parlamentari del 2 marzo hanno rappresentato una chiamata alle armi del fronte conservatore ormai apertamente ostile al presidente Ahmadinejd, concludendosi con un risultato che probabilmente sarà solo in apparenza positivo per la Guida Suprema Ali Khamenei.

Solo 225 dei 290 seggi parlamentari sono stati assegnati in questo primo turno; per i restanti 65 sarà necessario effettuare il mese prossimo un ballottaggio tra i 130 candidati che non sono riusciti, come la legge elettorale iraniana impone, a raggiungere il risultato del 25% delle preferenze più una nel loro collegio di appartenenza.

Con il 64,2% di partecipazione al voto, è stato comunque sventato il rischio temuto dalla Guida di una scarsa affluenza, anche se i dati sono alquanto ambigui: si registra un incremento complessivo dell’11% rispetto al 2008, ma ciò è dovuto a una crescita nelle zone rurali mentre so è avuta una netta flessione nelle maggiori aree urbane.

Il calo nell’affluenza urbana è vistoso soprattutto a Teheran, dove hanno votato solo il 48% degli aventi diritto: questo può spiegarsi con l’efficacia del tam-tam pre-elettorale per un appello all’astensione nell’ancora vasto, sebbene completamente disorientato e disorganizzato, universo delle forze riformiste.

Chi ha vinto, dunque, le elezioni? È anzitutto utile ricordare come quella del 2 marzo sia stata una tornata essenzialmente dominata dalla necessità di una resa dei conti all’interno del grande, ma assai conflittuale, consesso dei conservatori. Lo scopo, quindi, è stato quello di dimostrare con chiarezza quanto debole fosse la posizione del Presidente Ahmadinejad, e quanto ancora solida e maggioritaria fosse invece l’autorità della Guida.

E’ stata una mossa non aderente alla realtà dei fatti, dettata dall’esigenza di impedire al Presidente e alle forze a lui fedeli di dettare una linea di politica estera ed economica ritenuta pericolosamente ambiziosa, e potenzialmente foriera di gravi conseguenze sul piano della sicurezza nazionale.

Ad Ahmadinejad si è rimproverato di aver sfidato la Guida attraverso l’adozione di una linea politica di “devianza” – da qui l’appellativo negativo di “deviazionisti”, affibbiato al gruppo presidenziale – rispetto ai dettami del khomeinismo e delle logiche di equilibrio implicite della Repubblica Islamica.

In realtà l’attacco portato da Ahmadinejad si è spinto ben oltre, soprattutto attraverso il ruolo del genero ed alleato Mashaie, di fatto portandosi sino ai limiti della delegittimazione della Guida e dell’istituto del velayat-e faqih. Circostanza che ha allarmato gran parte del consesso politico conservatore, preoccupato per un vero collasso complessivo dell’impianto istituzionale.

Il primo spoglio dei voti vedrebbe in netta maggioranza il movimento del Fronte Unito dei Principalisti (Upf), seguito a breve distanza dal Fronte di Stabilità della Rivoluzione Islamica (Sirf), che avrebbero insieme ottenuto oltre i due terzi dei 225 seggi sinora assegnati.

L’Upf è costituito da una coalizione conservatrice variamente assortita, con posizioni assai eterogenee al suo interno: si ispira ad una visione parzialmente progressista della politica e dell’economia, con una linea di fedeltà alla Guida e al tempo stesso di opposizione all’attuale presidente, ritenuto il responsabile dell’attuale crisi economica.

Il Sirf è invece una colazione più variegata, mediamente leale ed allineata con la Guida Supema, sebbene divisa al suo interno circa le valutazioni sull’operato del presidente Ahmadinejad. Via convivono infatti essenzialmente due anime, di cui una nettamente ostile al presidente, ed una più conciliante, che non vede la necessità di condannarne l’intero operato. E’ in questa fronda che Ahmadinejad spera, una volta insediato il Parlamento, di individuare potenziali alleati e, meglio ancora, veri e propri transfughi.

Seguono poi nelle classifiche elettorali uno sparuto numero di movimenti vicini al presidente, ed un ben maggiore numero di candidati presentatisi come indipendenti. Tra questi ultimi, in molti sono quelli vicini ad Ahmadinejad, sebbene non intendano divulgare la loro posizione sino all’insediamento del Parlamento.

Restano poi da eleggere i 65 deputati del ballottaggio che si terrà ai primi di aprile – con 130 candidati di 33 diversi collegi. 25 di questi andranno a completare i 30 seggi spettanti alla città di Teheran, dove solo 5 candidati hanno raggiunto al primo scrutinio la percentuale di voti stabilita per legge. Il dato dell’elevato astensionismo di Teheran è indicativo del potenziale peso ancora ascrivibile al voto riformista.

La coalizione tra Upf e Sirf reggerà verosimilmente almeno sino al secondo turno elettorale e all’elezione dei 65 parlamentari ancora mancanti, cercando di limitare per quanto possibile il numero di quelli vicini al presidente e ottenere una maggioranza parlamentare più ampia possibile.

Non è invece verosimile che questa alleanza regga a lungo – come sempre in Iran. Alcuni personaggi di spicco sembrano infatti in netta difficoltà: è il caso ad esempio di Ali Larijani, il presidente del Parlamento sul quale pesa il sospetto di aver espresso posizioni divergenti rispetto a quelle della Guida, innescando la crisi nella compagine delle figure leali al sistema della Repubblica Islamica, ma desiderose di promuovere un cambiamento istituzionale.

L’obiettivo principale del nuovo Parlamento – ammesso e non concesso che la Guida riesca ad imporlo – sarà quello di contenere la deriva della crisi internazionale con Israele, limitando il rischio di un conflitto e cercando di non inasprire i toni soprattutto con gli Stati Uniti, vero ago della bilancia sul piano militare.

A questo scopo, la Guida potrà essere disposta ad ampie concessioni sul piano del negoziato sul nucleare, in completa controtendenza rispetto al comportamento tenuto sino ad oggi soprattutto ad opera dell’esecutivo presieduto da Ahmadinejad. Khamenei ha però bisogno di controparti internazionali capaci di comprendere l’esigenza di un quadro negoziale “onorevole” e spendibile agli occhi degli elettori di area conservatrice. Esigenza che non sarà affatto facile soddisfare nel clima diplomatico di questi mesi.