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Intelligence: svelare le menzogne nella penombra dei big data

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big data segneranno l’inizio di una trasformazione radicale e la fonte di nuovo valore economico come hanno rimarcato Viktor Mayer-Schönberger e Kenneth Neil Cukier, autori di un fortunato volume sul tema, i big data “nella loro essenza, hanno a che fare con le previsioni”.

Vista la loro rilevanza, sono in atto scontri sotterranei, ma non troppo, e sempre più accessi per la conquista dei big data, poiché da essi è possibile estrarre informazioni di grande utilità anche per la sicurezza nazionale. I dati digitali presentano notevoli vantaggi: sono riutilizzabili, duplicabili e aumentano di valore quando si incrociano, assegnando un enorme potere a chi li detiene e soprattutto li sa utilizzare tempestivamente e in modo appropriato. Secondo alcune fonti, la NSA (National Security Agency) americana è in grado di monitorare tra il 60 e il 70% delle chiamate telefoniche mondiali. Inoltre, l’analisi del traffico dei telefoni cellulari consente, anche senza ascoltare direttamente le conversazioni, di “profilare” (eventualmente in funzione preventiva) le persone, incrociandole con i dati di altre in modo cronologico.

Questa realtà dimostra che tutto quello che si muove nel cyberspazio è di straordinario e crescente interesse per gli operatori dell’intelligence. Come confermano ormai numerosi studi, le grandi società che offrono servizi tramite internet, da Google a Facebook, da Apple a Microsoft, da Amazon a Twitter, hanno a disposizione dati importanti per l’attività di intelligence: il loro business si basa proprio sulla profilazione degli utenti, e dunque le informazioni sono in parte già elaborate e “pronte all’uso” (come ha sostenuto, tra gli altri, Francesco Vitali). Infatti, così come per le intercettazioni anche attraverso le relazioni sviluppate nei social network, oppure i comportamenti di acquisto online, è possibile rinvenire informazioni utili, contatti tra le persone e altri innumerevoli campi di interesse dell’intelligence, che possono risultare indispensabili per contrastare terrorismo, criminalità, spionaggio informatico, corruzione e azioni ostili.

Non bisogna però fermarsi alla superficie, benché sterminata, perché occorre che le ricerche vadano estese al di là dei comuni motori di ricerca tenendo presente la dimensione del “web oscuro”, che conterrebbe la stragrande maggioranza delle informazioni presenti su internet dove viene facilmente individuata solo una minima percentuale: c’è chi sostiene addirittura solo il 5%. Uno dei più importanti motori di ricerca della rete oscura è il portale Grams, nella rete Tor che tende a garantire l’anonimato e la non tracciabilità delle transazioni. La rete Tor è infatti progettata su “tunnel virtuali” – e protetti, cioè criptati – all’interno della rete internet. Le informazioni sono così rese inaccessibili agli utenti generici di internet. I navigatori di questa rete intanto condividono – senza censure o restrizioni – informazioni che possono però essere ricercate agevolmente dal motore di ricerca Grams, simile per interfaccia e funzionamento al più blasonato Google.

Ampiamente utilizzato dalle organizzazioni terroristiche e criminali così come dalle multinazionali, quest’ambito potenzialmente sconfinato rappresenta un settore privilegiato di impegno per l’intelligence, potendosi qui rintracciare fonti di decisivo interesse di tipo sia chiuso che grigio (cioè fonti ibride, accessibili ma non al grande pubblico senza conoscenze tecniche approfondite).

Un tema strategico è quello delle smart city che producono ed utilizzano quantità crescenti di big data. Concepite per migliorare l’efficienza economica e favorire lo sviluppo sociale e culturale attraverso la partecipazione civica, le smart city richiedono nuovi processi di governo della città. La vastità e la frequenza dei flussi di dati, il numero dei loro produttori e utilizzatori, espone a evidenti rischi informatici, per cui nel futuro le città potranno essere il teatro principale della cyberwarfare. Appunto per questo va sviluppato in contemporanea l’anticorpo della cyberintelligence, attraverso una mirata attività di analisi e formazione degli operatori e predisponendo nuove e più adeguate misure di counterintelligence. Inoltre è fondamentale progettare fin dall’inizio con il coinvolgimento diretto dei cittadini le tecnologie delle smart city, integrandole con la funzione delle previsioni di intelligence per rendere le procedure per quanto possibile meno vulnerabili a violazioni. Questo livello sempre crescente di coinvolgimento, sino all’immedesimazione organica del cittadino nella smart city, determina un’identificazione immediata della sicurezza personale con la sicurezza della struttura digitale. Nella ricerca delle informazioni, che rappresenta la natura sociale dell’intelligence, il cyberspazio è proprio l’ambiente dei big data.

Il loro monitoraggio, però, richiede una profonda riforma strutturale e mentale (che per alcuni critici potrebbe invece configurarsi come “declino mentale”), oltre a competenze individuali nella selezione e nell’utilizzo di tecnologie che sono indispensabili per estrarne delle previsioni. In tale contesto, non vanno dimenticati mai i limiti e i rischi dei controlli algoritmici, che possono anche imporre uniformità e quindi, paradossalmente, forme nuove di controllo sociale a fini commerciali e, in via subordinata, elettorali, culturali e religiosi. La consapevolezza della rivoluzione dei big data comporta in effetti una serie di implicazioni psicologiche e sociali, educative e istituzionali, personali ed economiche.

In particolare, assisteremo sempre di più al fenomeno dell’occultamento dei fatti nella quantità: un antico proverbio degli indiani d’America ricorda che “se vuoi nascondere un albero mettilo nella foresta”. Va rilevato in proposito che la quasi totalità delle informazioni di interesse dell’intelligence provengono dalle fonti aperte: queste e non sono riservate, e anzi non si possono neanche mantenere tali, come dimostrano per esempio le notizie coperte da segreto di Stato che, dopo un determinato periodo (sempre più breve negli ultimi anni) vengono rese di dominio pubblico; per non parlare della loro diffusione non autorizzata, come dimostrano gli episodi di WikiLeaks e SonyLeaks, oltre che le disastrose rivelazioni di Edward Snowden tramite il Guardian.

Le informazioni provenienti dalle fonti aperte vanno distillate all’essenziale per essere particolarmente accurate, poiché devono integrarsi con le informazioni provenienti dalle fonti chiuse, cioè quelle che non sono legalmente ed eticamente disponibili ma che risultano decisive per le scelte del decisore pubblico e privato. Tali informazioni si ottengono con le black operation, cioè con attività non ortodosse che consentono di individuare dati pregiati che permettono al decisore pubblico di assumere le determinazioni più opportune. Le informazioni derivanti da fonte chiusa potrebbero essere considerate come una specie di golden share, cioè una posizione privilegiata nel mercato dei dati, in quanto impreziosiscono, svelano e chiariscono la restante parte delle notizie a nostra disposizione, portando a una conoscenza meno imperfetta. In tal modo, diventa possibile eliminare i veli che impediscono la comprensione della realtà, diradando le menzogne nella penombra dei big data. Occorre, pertanto, creare la capacità di immediata integrazione tra le competenze tecniche e quelle di analisi, facendo interagire pubblico e privato per salvaguardare gli interessi nazionali. In questo scenario di travolgente novità e complessità convivono effetti e possibilità opposte, insieme esaltanti e oscure: di fronte ad esse, più che sposare le tesi degli angeli e dei demoni, occorre mantenere lucidità intellettuale ed essere vigili nell’esaminare la rapidissima evoluzione dei fenomeni sociali cercando di mantenere l’uomo al centro, creando capacità e cogliendo opportunità. In definitiva, i big data rappresentano un terreno certamente prioritario di impegno per l’intelligence ma, contrariamente alla dimensione tecnologica e forse appunto per questo, per fronteggiarla occorre investire nella formazione di human intelligence, cioè soprattutto di analisti che esaltino la funzione preventiva e predittiva dell’intelligence.