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Il sistema bancario europeo tra crisi del debito e stress test

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I risultati degli ultimi stress test su novanta istituti di credito europei (65% del totale), comunicati il 15 luglio, sono stati di massima positivi. I test sono stati condotti dall’Autorità Bancaria Europea (EBA) e dalle autorità di vigilanza nazionali degli Stati membri dell‘UE – in collaborazione con il Comitato europeo per il rischio sistemico (ESRB), la BCE e la Commissione europea. Anche i cinque maggiori gruppi bancari italiani (Intesa San Paolo, Unicredit, MPS, Banco Popolare e UBI) hanno tutti superato il valore di riferimento del 5%. Solo otto banche (cinque spagnole, due greche ed una austriaca) sono state bocciate.

Tuttavia, una volta eseguiti questi stress test 2011, ben più severi di quelli precedenti, previsti da Basilea 3 per rafforzare la vigilanza bancaria e la gestione del rischio, la situazione si è poi aggravata a causa delle forti perdite azionarie. Le perdite si sono concentrare proprio nel settore bancario, e dalle prospettive negative sull’economia e del debito pubblico degli Stati, europei in particolare.

La situazione è aggravata dalla combinazione di fattori negativi: gli attacchi speculativi; il persistere della crisi greca; i declassamenti e gli outlook negativi su banche e paesi che sono stati emessi dalle agenzie di rating; i dati negativi sulla disoccupazione americana; le recenti dimissioni del tedesco Jurgen Stark dall’incarico di capo economista e membro del board della BCE (perché contrario all’acquisto di obbligazioni italiane e spagnole da parte della stessa BCE).

Due sono i problemi principali su cui si concentra l’attenzione. Il primo è il debito pubblico dei 17 paesi dell’area euro che è stimato in quasi 8 mila miliardi di euro ed è ripartito, in primis, tra Germania (2.080 mld.), Italia (1.843 mld.), Francia (1.591 mld.), Spagna (639 mld.), Grecia (329 mld.).

L’altro vero incubo dell’Europa rimane la Grecia: nonostante l’accordo del 21 luglio scorso che ha allungato le scadenze rimborso dei prestiti da sette anni e mezzo a quindici, il paese ellenico sembra non dare segni di reale ripresa. È chiaro a tutti che il nodo non sta tanto nel 4% del debito dell’eurozona rappresentato dalla Grecia, bensì dagli effetti “a cascata”. L’esposizione delle principali banche greche sui bond di Atene sfiora infatti i 50 miliardi di euro. Anche l’esposizione del resto del sistema bancario europeo sui bond greci è rilevante: in particolare BNP Paribas, Société Générale e la tedesca Commerzbank con rispettivamente 4.4, 1,4 e 3 miliardi di euro di esposizione; e a seguire le banche italiane la cui esposizione è invece stimata in circa 900 milioni di euro.

Un forte segnale positivo è stato dato recentemente dalle cinque banche centrali più importanti (BCE, Federal Reserve Americana, Bank of England, e le banche centrali del Giappone e della Svizzera) che hanno garantito che assicureranno alle banche europee i fondi in dollari di cui avranno bisogno nei prossimi mesi. Si tratta di una misura drastica, che ricorda i provvedimenti di emergenza adottati successivamente all’11 settembre e al crack di Lehman Brothers; ma è un passo quanto mai necessario per garantire liquidità e iniettare un certo grado di ottimismo nei mercati.

Inoltre, è stata aumentata a 440 miliardi di euro la dotazione dell’EFSF (European Financial Stability Facility), il cosiddetto Fondo salva-stati europeo, creato nel 2010 dai paesi dell’eurozona che è già intervenuto, in collaborazione con il FMI, in favore di Portogallo e Irlanda.

È dunque assai probabile che l’EFSF continui a fare la sua parte intervenendo nelle crisi di liquidità dei paesi membri, in attesa di essere sostituito dall’ESM (European Stability Mechanism) del 2013.

Dall’ultima riunione del G20 e dai lavori del FMI che, si sono tenuti a Washington dal 22 al 24 settembre, è emersa una ferma intenzione di tutelare l’euro e di rafforzare l’EFSF anche nell’ipotesi di un default della Grecia. Soprattutto, sarebbe emersa l’ipotesi di valutare una forzata ricapitalizzazione di sedici banche europee che, agli stress test del luglio scorso, hanno sì soddisfatto il requisito minimo del 5% di core tier one capital ratio, ma non hanno tuttavia superato la soglia del 6%.  Questo è un punto centrale perché la capitalizzazione delle più importanti banche europee è scesa drasticamente nei mesi estivi, anche fino a toccare punte di meno 50% negli ultimi tre mesi.

In questo quadro generale, le prospettive dei prossimi mesi sembrano pertanto legate alle seguenti parole chiave: liquidità, fiducia, rigore e rilancio.

Liquidità per i mercati ma soprattutto per le banche: in questo senso stanno fortunatamente agendo i governi, i fondi ad hoc e le autorità monetarie. Resta da verificare se gli interventi saranno sufficienti e ben coordinati tra loro. 

Fiducia degli investitori e sui mercati: la fuga dei fondi monetari americani dall’Europa negli ultimi mesi non è certamente un buon segno, ed è essenziale scongiurare il rischio default di paesi membri come anche dei maggiori istituti bancari. Questo potrà attrarre nuovamente gli investitori, compresi quelli extra-europei (in particolare cinesi e mediorientali).

Rigore e rilancio: sono due obiettivi di competenza assolutamente governativa. E passano, nel breve termine, soprattutto per il rispetto degli impegni da parte del governo greco e per la capacità degli altri partner di spingerlo in questa direzione. È altrettanto cruciale che i paesi membri dell’eurozona agiscano in stretto coordinamento con le autorità monetarie: esiste altrimenti il rischio di vanificare reciprocamente gli effetti degli interventi monetari, finanziari e fiscali che potranno essere adottati.