L’incontro tra i rappresentanti dei 5+1 (i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania) e della Repubblica islamica sulla questione del nucleare iraniano, che si è tenuto a Vienna tra il 18 e il 20 febbraio, è stato tecnicamente un successo. Si è trattato del primo incontro dopo l’accordo raggiunto a Ginevra nel novembre scorso e in vigore, per sei mesi, dal 20 gennaio, ed è stato caratterizzato da un clima positivo.
Nonostante la complessità delle trattative, che vertono ora sul raggiungimento di un accordo complessivo e definitivo sul programma nucleare iraniano, i tre giorni di negoziati a Vienna si sono conclusi con un piano d’azione condiviso e una serrata tabella di marcia per i negoziati nei prossimi quattro mesi. Il risultato è stato raggiunto nonostante i timori che le svolte promettenti degli ultimi mesi potessero essere dirottate dalle interferenze e dalle pressioni di coloro che, in particolare a Washington e a Teheran, si oppongono a una risoluzione pacifica della questione nucleare.
Nella Repubblica islamica dell’Iran, il programma nucleare è fonte di orgoglio nazionale e i negoziati costituiscono dunque un tema quotidiano di dibattito all’interno del paese. La politica estera, ed in particolare il dossier nucleare, sono stati al centro della campagna elettorale condotta nel giugno scorso dagli aspiranti alla carica presidenziale, ed hanno costituito il cavallo di battaglia dell’attuale presidente Hassan Rohani uscito vittorioso dalla corsa elettorale.
Con il trasferimento, nell’agosto scorso, della gestione del dossier nucleare al ministero degli Esteri, Rohani ha affidato la questione a figure politiche di fiducia, in primis il ministro degli Esteri e capo negoziatore nucleare Mohammad Javad Zarif. Con questa mossa, Rohani ha eliminato il coinvolgimento diretto del Consiglio supremo di Sicurezza nazionale, creandosi un maggiore margine di manovra nella definizione della strategia da adottare. La tattica del presidente iraniano è finora stata vincente nel contenere le critiche dei conservatori radicali, ed ha permesso di ampliare il sostegno goduto dai vari esponenti del regime, marcando una netta differenza con le amministrazioni precedenti. Anche il Leader supremo, ayatollah Ali Khamenei, decisore ultimo su tutte le questioni di sicurezza e politica estera iraniana, già nel settembre scorso si era detto favorevole all’adozione della “flessibilità eroica” sul piano diplomatico, dando un sostegno pubblico all’iniziativa del neo-eletto presidente iraniano volta a finalizzare un accordo nucleare con le sei grandi potenze. Dopo l’accordo provvisorio di Ginevra del novembre scorso, Khamenei ha confermato questa linea.
Il supporto di Khamenei ha permesso ad altre figure conservatrici, tra cui Mohsen Rezai, segretario del Consiglio per il Discernimento e candidato alle scorse elezioni presidenziali, di esprimere non solo il loro ottimismo nei confronti dell’esito dei negoziati e dell’evoluzione delle relazioni con l’Occidente, ma anche la necessità che tutte le fazioni si uniscano nel sostenere i negoziatori iraniani.
La motivazione principale di questo – almeno relativo – consenso interno è lo stato dell’economia iraniana, ed in particolare la diffusa consapevolezza del legame tra la riduzione dell’isolamento sul piano internazionale, il conseguente possibile rilassamento delle sanzioni internazionali e la potenziale ripresa economica del paese.
La settimana scorsa il giornale riformista E’temad ha riportato che la tematica principale al centro dei negoziati di Vienna sarebbe stata “la sospensione delle sanzioni e l’introduzione di un’atmosfera positiva tale che gli Europei siano in grado di investire in Iran”, sottolineando come ciò sia decisamente nell’interesse del paese. Allo stesso modo, la rivista conservatrice Khorasan ha invitato gli attori economici interessati a rientrare nel mercato iraniano a fare pressione sui rispettivi governi nell’ambito dei negoziati, mentre Siyasat-e Ruz ha reiterato la necessità di sostenere il governo, dato che “se i negoziati falliranno, sanzioni più forti verranno imposte sul paese peggiorando ulteriormente la situazione”. Il giornale conservatore Keyhan ha invece accusato il nuovo governo di aver condizionato il budget del prossimo anno all’andamento dei negoziati con i 5+1, basando la ripresa economica del paese su un esito positivo delle trattative e ignorando le richieste di Khamenei di ricorrere alla “resistenza economica” per combattere gli effetti delle sanzioni internazionali. Il fattore economico sembra spiegare anche il silenzio di quella parte dei vertici politici del regime iraniano che tradizionalmente si sono dimostrati più critici verso il governo. Il capo delle Guardie rivoluzionarie Mohammad Ali Jafari ha spiegato che, nonostante il proprio pessimismo nei confronti della credibilità degli gli Stati Uniti, le Guardie “manterranno il silenzio e il nodo in gola”, prevenendo così i nemici dall’usare la loro posizione come pretesto contro Teheran.
Certo è che nei prossimi mesi il team negoziale e l’amministrazione dovranno affrontare le sfide presentate da un sistema politico che costituzionalmente limita i poteri del presidente in politica estera, e che porterà progressivamente alla riduzione del margine di manovra concesso da Khamenei e dagli altri vertici del regime: le tensioni interne sono destinate a crescere. Ne è stata una piccola dimostrazione lo scambio dei giorni scorsi tra i rappresentanti parlamentari che hanno criticato l’accordo provvisorio di Ginevra, da una parte, e Rohani dall’altra, che li ha definiti “analfabeti”.
Il probabile inasprimento dei toni potrebbe progressivamente spingere i negoziatori iraniani a fare dichiarazioni a scopo interno. Segni in tal senso sono già apparsi al termine dei negoziati di Vienna. A seguito della dichiarazione congiunta di Catherine Ashton, capo negoziatore del gruppo 5+1, e la sua controparte iraniana Zarif, il ministro degli Esteri iraniano ha infatti precisato che il paese “non chiuderà nessun sito nucleare”, tentando così di attutire preventivamente ogni critica.
Il prossimo round negoziale, previsto per il 17 marzo nella capitale austriaca, sarà dunque un test importante per capire se Rohani beneficierà ancora del periodo di grazia concessogli a livello interno o se, come molti temono, le svolte promettenti degli ultimi mesi verranno dirottate da interferenze e pressioni provenienti dal complicato sistema di potere di Teheran.