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Il problema trasversale della sicurezza nel Maghreb

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Alla crisi politica che attraversa da oltre due anni il Nord Africa si accompagna sempre più un problema di sicurezza interna ed esterna. La porosità dei confini e la facilità con cui numerosi attori criminali transnazionali riescono a subentrare nei territori per usarli come basi logistiche per attività illegali funzionali al contrabbando/commercio internazionale di armi e droga, nonché il proselitismo e la lotta armata di stampo qaedista, stanno ponendo un serio problema alla sicurezza dell’intera regione.

Nonostante gli sforzi dei governi centrali nel contrastare i fenomeni criminali, la sicurezza nell’area del Maghreb è ancora estremamente precaria, in particolare nell’entroterra desertico e nelle zone di confine dove l’azione dei gruppi armati risulta più incisiva. Se la situazione dei confini libici e del Sinai stanno avendo una maggiore eco internazionale, quella dei Monti Chaambi, tra Tunisia e Algeria, merita una particolare attenzione. In questo territorio di confine tra la città tunisina di Kasserine e la frontiera occidentale con l’Algeria sono attive cellule di jihadisti (tanto tunisini quanto algerini), salafiti radicali, qaedisti e veterani delle guerre in Afghanistan, Libia, Siria e Mali.

Da quest’area, secondo il ministro degli Interni tunisino Lofti Ben Jeddou, sarebbero giunti gli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi, uccisi entrambi dalla stessa cellula politicamente legata ad Ansar al-Sharia, il partito salafita che è stato finora alleato di governo di Ennahda. Sebbene formalmente Ansar al-Sharia non detenga alcun tipo di contatto con i gruppi radicali attivi nel Jebel ech-Chaambi, lo scorso 28 agosto il movimento salafita è stato inserito dall’esecutivo nella black list delle organizzazioni terroristiche. I Monti Chaambi hanno conosciuto, fin dagli anni Ottanta, la presenza di movimenti islamisti radicali, ma solo dallo scorso dicembre sono tornati ad essere percepiti come un’area critica – e potenziale nuovo santuario del terrorismo internazionale – a causa degli scontri tra forze di sicurezza tunisine e le brigate di Okba ibn Nafaa, gruppo terrorista affiliato ad Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), e la cellula di Kamel Ben Arbia, alias Abu Fida. Malgrado gli arresti e le uccisioni di diversi loro membri, le autorità di Tunisi non sono mai riuscite a mettere in sicurezza la zona a causa sia della morfologia del territorio (caverne e zone impervie), sia dell’ampia rete di complicità – evidentemente anche politica – di cui godono a vario livello i gruppi in questione. Basti pensare che la maggior parte degli autori dell’attentato all’impianto gasifero algerino di In Amenas dello scorso 17 gennaio – rappresaglia contro l’intervento francese in Mali – provenivano proprio da questa zona. Per cercare di contrastare il crescente peso dei fenomeni jihadisti lo scorso 29 luglio le autorità di Tunisi, in collaborazione con quelle di Algeri, hanno inviato nei Monti Chaambi reparti speciali dell’esercito i quali hanno lanciato una violenta controffensiva militare, aerea e terrestre, volta a stanare e a distruggere le cellule lì presenti. Già nelle settimane precedenti l’inizio di questa offensiva, il confine tra Tunisia e Algeria era stato teatro di numerose operazioni coordinate dai due governi.

Non meno preoccupante è, infatti, la situazione in Algeria. Nel wilayat di el-Oued e nelle aree desertiche meridionali del Paese i gruppi estremisti e terroristi come quello di Abu Fida, e soprattutto quello di Mokhtar Belmokhtar (la “Brigata di coloro che si firmano con il sangue”, ora confluita nel Movimento per l’Unicità e il Jihad in Africa Occidentale (MUJAO) –, usano queste aree come luoghi di transito e di rifugio per le loro azioni in tutto il Maghreb e il Sahel. Sul contesto politico interno aleggiano intanto incognite sulle reali condizioni di salute del presidente Abdelaziz Bouteflika e sulla gestione del potere all’interno della classe militare in vista delle elezioni presidenziali del 2014. In questo quadro, le autorità algerine hanno alzato il livello di allerta nazionale impegnando 10.000 uomini dell’esercito, dell’intelligence e del ministero degli Interni in una campagna di rafforzamento dei controlli lungo le frontiere con la Tunisia, ma anche con la Libia e il Marocco. L’obiettivo è bloccare gli sconfinamenti di gruppi armati diretti tanto verso l’entroterra africano (Mali e Niger), tanto verso il Sinai e la Siria.

È proprio nell’ottica della stabilità regionale che lo scorso 26 giugno i governi di Algeria, Tunisia e Libia hanno firmato un protocollo di intesa per presidiare e mettere in sicurezza le rispettive frontiere dall’entrata e/o dalla proliferazione di gruppi armati più o meno legati al jihadismo internazionale. Accordo, questo, che segue e rafforza quelli precedentemente stipulati in gennaio nella città libica di Ghadames e quello in aprile durante il vertice di Rabat dell’Unione del Maghreb Arabo (UMA), entrambi in materia di sicurezza e di lotta al contrabbando di armi e droga. Sebbene l’iniziativa sicuramente rappresenti una novità all’interno del frammentato quadro maghrebino, non si registrano ancora risultati significativi. Gli ostacoli alla cooperazione interregionale provengono innanzitutto dal persistere di tensioni interne e dalla fragilità delle istituzioni ancora impegnate in un processo di transizione, nonché dall’impreparazione delle forze di sicurezza nell’affrontare adeguatamente i pericoli derivanti dal jihadismo/terrorismo. Spesso si richiede inevitabilmente il supporto di attori esterni, compresi i Paesi europei che nel corso degli ultimi mesi hanno avviato progressivamente attività di addestramento e di formazione dei reparti militari maghrebini. La missione europea Eubam Libya, attiva dal maggio 2013 con il compito di aiutare le forze di sicurezza della nuova Libia a controllare meglio le frontiere terrestri, marittime ed aeree, avrà un mandato iniziale di due anni e un budget di 30 milioni di euro. Rientra poi in questa ottica l’intesa raggiunta lo scorso 4 luglio tra il governo italiano e quello libico – nell’ambito di un programma più ampio promosso dalla NATO – per l’addestramento e la formazione di circa 5.000 unità delle forze di sicurezza di Tripoli con l’obiettivo di garantire il controllo delle frontiere, la smilitarizzazione delle milizie e, dunque, la stabilizzazione delle istituzioni.

In questo contesto problematico, a soffrire è anche l’economia, danneggiando interessi sia magrebini che occidentali. Secondo l’annuale report sugli investimenti diretti esteri (IDE) dell’United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD) la Tunisia e l’Algeria hanno registrato un secco arretramento negli IDE, mentre il Marocco ha fatto registrare un vero e proprio boom, nonostante anche Rabat stia attraversando una crisi di governo. Come recentemente affermato anche dal ministro degli Esteri algerino Mourad Medelci, la sicurezza dei confini transnazionali rappresenta “un’assoluta priorità” anche per favorire, appunto, un maggiore flusso di investimenti. .Basta guardare ai grandi interessi delle compagnie energetiche occidentali in paesi come Libia e Algeria per rendersi conto che l’instabilità delle frontiere magrebine è un obiettivo da non perdere di vista.