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Il petrolio e i rapporti regionali della nuova Libia

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Con la definitiva uscita di scena di Gheddafi, torna di immediata attualità la questione delle riserve energetiche libiche. La produzione di petrolio libica, pur ponendo il paese tra i primi venti posti su scala mondiale, rappresenta soltanto il 2% circa del totale mondiale. L’interruzione della produzione, e dunque anche l’annuncio della sua ripresa, non hanno inciso in maniera determinante sul prezzo del greggio. Le esportazioni sono dirette principalmente verso l’Europa e in minore entità verso la Cina, ma il ritorno della Libia tra i maggiori paesi produttori, alla luce dei cambiamenti politici nella regione, potrebbe avere dei risvolti inediti sul piano diplomatico. Un precedente interessante in tal senso è quello dell’Iraq, dove si sono imposti alcuni nuovi attori.

Il “ministro” delle Finanze e del Petrolio del Consiglio nazionale di Transizione libico, Ali Taouruni ha recentemente dichiarato che non ci saranno nuovi contratti fino alla formazione di un nuovo governo eletto. Intanto però sono state fatte varie stime sui tempi necessari per il ritorno della produzione al volume pre-bellico di 1 milione e 600 mila barili: un’operazione che l’OPEC stima fattibile in due-tre anni, per poi arrivare a ben 12 milioni di barili al giorno nel 2017 (una cifra che supererebbe del 40% l’attuale produzione saudita).

L’Arabia Saudita è il grande produttore che ha compensato l’arresto della produzione libica durante la guerra, mantenendo stabile il prezzo del greggio; ed è anche il paese che ha incarnato la visione dell’Islam conservatore mentre il colonnello Gheddafi perseguiva – a intermittenza, per la verità, e chiaramente senza successo – l’obiettivo “rivoluzionario” di un’unione panaraba. Dopo aver deciso unilateralmente l’aumento della propria produzione per mancanza di una linea consensuale all’ultimo vertice dell’OPEC, i sauditi intendono ora lasciare invariata la produzione, suscitando i malumori di paesi come Iran, Iraq e Venezuela. È noto che la qualità del petrolio libico è superiore rispetto a quello saudita – il che rende il primo particolarmente appetibile per le raffinerie europee. La competizione commerciale si intreccia dunque con il tentativo dei governi di mantenere o accrescere l’influenza politica nella regione.

Sembrano invece migliorare i rapporti, tradizionalmente non buoni, tra l’Iraq e la Libia post-Gheddafi, come testimonia la visita a Baghdad del capo del Consiglio nazionale di Transizione, Mahmoud Jibril, che ha ottenuto dichiarazioni di aperto sostegno dal primo ministro iracheno Nouri Al Maliki

Infine, non è da sottovalutare il ruolo della Turchia, che persegue le proprie ambizioni di leadership in Medio Oriente. Poco prima della rivoluzione, il governo di Gheddafi aveva siglato importanti accordi commerciali con la Turchia, aprendo le porte alle partecipazioni delle compagnie turche con investimenti pari a circa 15 miliardi di dollari. La Turchia, che è già uno snodo essenziale per molte autostrade energetiche, ha un forte interesse ad instaurare una zona commerciale privilegiata nel Mediterraneo orientale.

Pur essendo stato prudente nel suo sostegno all’intervento contro Gheddafi, il governo di Ankara è stato il primo sostenitore delle rivolte arabe (in particolare, schierandosi apertamente per la cacciata di Mubarak), e tra i primi a organizzare una visita ufficiale nella Libia del dopo-rivoluzione, ricavandone un’ottima copertura mediatica nel paese nordafricano.

Intanto, l’Eni ha portato in Libia anche una presenza di Gazprom (attraverso la società tedesca Wintershall di cui Gazprom detiene il 49%) per lo sfruttamento di un giacimento a sud-est di Tripoli. Sempre attraverso Eni, Gazprom detiene anche una quota del bacino Elephant, tra i più vasti del paese.

Insomma, le nuove relazioni della Libia con i suoi partner internazionali, sulla scia della graduale ripresa della produzione di greggio, potrebbero giocarsi più a oriente che a occidente; in ogni caso, è assai probabile una diversificazione dei legami economici che avrà, in qualche misura, riflessi politici.