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Il nuovo petrolio dell’Iraq: equilibri regionali e futuro dell’OPEC

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Il miglioramento nel controllo del territorio da parte delle autorità irachene, associato ad un’aggressiva politica petrolifera del governo, sta attirando notevoli investimenti stranieri nel paese e rilanciando il ruolo dell’Iraq nel mercato petrolifero mondiale. L’aumento delle riserve, e il persistere degli attriti fra Arabia Saudita e Iran, fanno di Baghdad un attore fondamentale in ambito OPEC. Una possibile accelerazione della ripresa economica nella seconda metà del 2011 aumenterebbe la domanda mondiale di petrolio, garantendo all’Iraq non solo maggiori introiti da investire per ammodernare il paese, ma anche un nuovo ruolo nella regione.

L’assenza di una reale politica industriale per il settore petrolifero da parte dell’establishment di Saddam Hussein non ha permesso all’industria nazionale di crescere adeguatamente in passato. Sono mancati gli investimenti nella manutenzione dei siti di estrazione e delle infrastrutture di interconnessione, come anche una strategia per la ricerca di nuovi pozzi petroliferi. L’isolamento internazionale e le sanzioni ONU hanno poi bloccato gli investimenti stranieri diretti, portando di fatto l’industria in una sorta di autarchia, senza la possibilità di avere accesso né alle nuove tecnologie, né tantomeno ai capitali necessari per garantirne uno sviluppo adeguato. Il vecchio regime, del resto, utilizzava questa vitale industria nazionale come strumento per mantenere un livello minimo di consenso interno, con un’aggressiva politica di incentivi del vecchio regime a garanzia di un prezzo politico per tutti i prodotti petroliferi.

L’avvento del nuovo governo, sull’onda dell’invasione americana, ha portato ad un cambiamento radicale. Nei primi mesi del 2010 il governo ha presentato una politica petrolifera che mira ad aumentare la produzione domestica di petrolio dai 2,5 milioni di barili al giorno ai 10-12 milioni entro il 2020. Il lancio di tale strategia ha attirato i gruppi stranieri in grado di garantire il know-how e gli investimenti necessari per rilanciare l’industria, i quali vedono l’Iraq come un paese ricco di siti di estrazione inesplorati e facili da sfruttare. La regione di Basra ha così visto crescere notevolmente l’attività estrattiva: in particolare, il sito di Majnoon aumenterà la propria produzione di oltre il 30% su base giornaliera, quello di Zubair passerà dai 195 mila barili al giorno ad oltre un milione, mentre il giacimento di Rumaila crescerà del 10%. Proprio su quest’ultimo la British Petroleum e la cinese CNPC sarebbero intenzionate a investire circa 15 miliardi di dollari entro il 2020 per portare la sua produzione totale a circa 2,8 milioni di barili al giorno.

Se il potenziale iracheno è oggettivamente enorme, il piano di sviluppo del settore vede dinanzi a sé notevoli ostacoli interni, sia di natura politica che tecnica. La frammentazione politica in diversi gruppi religiosi ed etnici, sia a livello locale che nazionale, e la perenne lotta per il controllo della regione di Kirkuk, molto ricca di giacimenti, rallentano l’approvazione dei diversi atti legislativi che dovrebbero portare alla riforma del settore petrolifero.

Inoltre, la politica del nuovo governo richiede una diffusione capillare e immediata di un elevato numero di tecnologie che, a loro volta, impone una certa preparazione tecnica della manodopera locale. Un altro problema tecnico è dato dalla congestione delle infrastrutture di trasporto: i mancati investimenti nella rete di gasdotti e l’assenza di adeguati terminali portuali per lo shipping del petrolio, limitano le opportunità di crescita nel breve e medio periodo. Per cercare di porre rimedio a questi problemi, il vice-ministro per le attività petrolifere ha deciso di investire 1,4 miliardi di dollari nella realizzazione di quattro nuovi terminali per l’export di petrolio e di altri tre gasdotti per servire la regione di Basra (da molti considerata l’area con il maggiore potenziale).

Stanti queste incertezze interne, la strategia di sviluppo del settore energetico iracheno è destinata probabilmente a ridisegnare gli equilibri interni all’OPEC, riducendo il ruolo finora dominante dell’Arabia Saudita, che da anni lavora sistematicamente per limitare soprattutto l’influenza iraniana.

Assumendo che la produzione irachena salga solamente a 6 miliardi di barili al giorno entro il 2020, contro i 10 preventivati dal governo, Baghdad diverrebbe comunque il primo produttore OPEC dopo Riyad. Finora l’Arabia Saudita, aggiustando la sua produzione giornaliera, ha di fatto determinato da sola il prezzo all’interno dell’organizzazione, dato che la produzione iraniana è circa un terzo di quella saudita. La nuova posizione dell’Iraq è destinata a cambiare decisamente questi equilibri, con effetti sui mercati mondiali e sugli assetti regionali.

Sul piano economico, aumenterà il grado di concorrenza nel settore petrolifero, riducendo le spinte inflazionistiche sul prezzo causate dalla sempre crescente domanda delle economie emergenti. Sul piano politico-strategico il quadro è molto complesso: in particolare, potrebbero sorgere delle frizioni con Riyad per la leadership in sede OPEC, favorendo indirettamente l’establishment di Ahmadinejad.

I cospicui sussidi iraniani sui carburanti, associati al trend negativo nell’estrazione di idrocarburi nel paese, inducono molti analisti a ritenere che le esportazioni di petrolio iraniane diminuiranno nel corso dei prossimi anni. Qualora però la crescita economica mondiale si confermasse a livelli sostenuti, l’aumento nella domanda mondiale di greggio spingerebbe al rialzo i listini, permettendo così ad Ahmadinejad di mantenere invariati i propri ricavi a fronte di una diminuzione nei quantitativi di petrolio esportati. In tal senso, la politica di espansione petrolifera irachena potrebbe giovare ai sauditi, riducendo il possibile aumento nel valore del greggio. Tuttavia, l’influenza iraniana su componenti significative della popolazione irachena (e delle attuali forze politiche) preoccupa Riyad; a ciò si deve aggiungere l’irrisolta questione dei confini di Shatt al-Arab a limitare le possibili convergenze fra Iraq e Arabia Saudita.

In estrema sintesi, anche le risorse energetiche irachene dovranno sottostare alla dura legge della geopolitica mediorientale – oggi più delicata che mai.