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Il nuovo corso del Pakistan contro il jihadismo, tra dubbi e rischi interni

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L’ultimo discorso del presidente americano Barack Obama sullo Stato dell’Unione, il 15 gennaio, ha provocato sdegno nelle autorità pachistane. Non è piaciuto a Islamabad il riferimento a un futuro di instabilità con al centro Afghanistan e Pakistan, ma anche (cosa più facilmente prevedibile) il Medio Oriente. La risposta piccata, affidata a Sartaj Aziz, il consigliere per la sicurezza del premier Nawaz Sharif e uno dei più influenti funzionari del Paese, dimostra chiaramente il grado di sensibilità del Pakistan in tema di terrorismo. In particolare perché il problema esiste, anche se il governo nazionale sta effettivamente tentando di fare della lotta al terrorismo una priorità.

Nelle stesse ore, l’Amministrazione americana aggiungeva una nuova sigla nella lista delle organizzazioni terroristiche: Isil-K (Isil Khorasan) che, spiega il sito del Dipartimento di Stato, ha annunciato la propria creazione il 10 gennaio 2015. «Il gruppo – spiega il sito – ha sede nella regione Afghanistan/Pakistan ed è composto principalmente da ex membri del Tehreek-e-Taliban Pakistan e da talebani afgani. La leadership di Isil-K ha giurato fedeltà ad Abu Bakr al-Bagdadi, il capo di Isil. Questo impegno è stato accettato a fine gennaio 2015 e da allora Isil-K ha effettuato attentati suicidi, attacchi armati minori e rapimenti nell’Afghanistan orientale contro i civili e l’esercito afgano. Ha inoltre rivendicato gli attacchi contro civili a Karachi, Pakistan, nel maggio 2015». Isil-K, una formazione di cui non si conosce esattamente la forza numerica e la capacità operativa, sarebbe dietro anche al recente assalto contro una missione diplomatica pachistana in Afghanistan. È questo solo l’ultimo atto di una saga cominciata diversi decenni fa.

Il Pakistan, soprattutto attraverso una branca dei servizi segreti, l’Isi, ha iniziato a flirtare coi gruppi islamisti e jihadisti sin dall’epoca di Zia Ul Haq, generale dittatore che, al governo dal 1977 al 1988, voleva trasformare il Pakistan da Stato laico (come il suo fondatore, Jinnah, lo aveva voluto) a Paese islamico a tutti gli effetti. Questo obiettivo è stato perseguito attraverso la trasformazione della Costituzione e l’adozione di tribunali che garantissero il rispetto della  sharia. Per Zia i gruppi islamisti radicali potevano essere impiegati nel Kashmir indiano contro le truppe di Delhi, ma anche contro la minoranza sciita in Pakistan, oppure più semplicemente come pedine per far sparire gli oppositori di ogni ordine e grado.

Negli anni a seguire nessun governo – fosse quello di Benazir Bhutto, del generale Musharraf o dello stesso Nawaz Sharif (già premier due volte prima del mandato attuale) – ha mai messo un freno ai movimenti islamisti che hanno proliferato a dismisura fino a diventare, negli ultimi anni, una vera minaccia interna. Le cose sono cambiate proprio quando, da semplici pedine di una lotta contro i nemici del Pakistan, molti mujahedin si sono dimostrati ricettivi al richiamo di chi individuava nel governo di Islamabad – reo di aver abbandonato la strada di Zia – il vero bersaglio.

La svolta definitiva è arrivata nel 2007 con la nascita del Tehreek-e-Taliban Pakistan (Ttp) – un cartello fedele agli insegnamenti del leader talebano mullah Omar e alle radici teologiche della scuola Deobandi. Il Ttp raggruppava una serie di organizzazioni islamiste e jihadiste e dimostrava simpatia per Al-Qaida. E aveva la sua principale base operativa – con azioni che andavano dal Pakistan all’Afghanistan – nell’area tribale (Fata) al confine tra i due Paesi, area abitata in prevalenza da pathan sunniti (il nome pachistano dei pashtun). Questo è un popolo diviso dal righello coloniale di sir Mortimer Durand che nel 1893 tracciò la famosa Durand Line. Linea che ancora segna il confine (poroso e contestato dai due Paesi) tra le due nazioni a cavallo tra Asia centrale e subcontinente indiano.

Il problema posto alle autorità pachistane dal Ttp (una formazione che ha subito scissioni e ha visto continue lotte intestine di successione) era ed è tuttora che, da una parte, è sfuggita sempre più al controllo dei servizi segreti nazionali e, dall’altra, ha modificato l’agenda politica: non più e non solo lotta contro gli invasori dell’Afghanistan a sostegno dei fratelli pashtun, ma anche contro il governo apostata di Islamabad – reo di non voler fare del Pakistan un emirato ma una volgare imitazione delle corrotte democrazie occidentali.

Sostegno ai gruppi jihadisti (a cui non sono estranei gli aiuti dell’Arabia Saudita e dei Paesi del Golfo) sono dunque andati scemando mentre, di contro, il Ttp allargava il suo raggio d’azione fuori dalle aree tribali, con azioni terroristiche in altre zone del Pakistan e tentando la conquista (riuscita per un breve periodo) della valle settentrionale di Swat – luogo dell’attentato del 2012 a Malala Yusufzai, l’allora quindicenne attivista per i diritti umani divenuta poi la più giovane vincitrice di sempre del premio Nobel per la Pace.

L’arrivo di Daesh, e la necessità di isolare il Ttp ripristinando al contempo buone relazioni con Kabul, hanno accelerato l’azione anti-terrorista delle nuove istituzioni civili e  elette democraticamente in Pakistan – dopo una lunga stagione di governi militari golpisti. Se la loro strategia inizialmente mirava forse solo a contenere e controllare la situazione, essa si è poi trasformata in una vera e propria guerra ai movimenti islamisti, sia nelle zone tribali sia in altre aree del Paese. Quando un anno e mezzo fa Islamabad ha dato il suo ok all’operazione Zarb-e-Azb (nel mirino la regione tribale del Waziristan al confine con l’Afghanistan) si è capito che stava facendo sul serio. Sono seguite molte polemiche sulla conduzione di questa campagna – i media sono off limits e i dati sulle vittime civili sono molto incerti, senza contare che il Pakistan ha ripristinato la pena capitale, che può essere comminata da undici tribunali speciali militari. Ad ogni modo, Zarb-e-Azb sembra aver assestato un duro colpo ai gruppi terroristici pachistani e stranieri che hanno nel Waziristan del Nord i propri santuari.

Nel complesso, i primi 18 mesi di Zarb-e-Azb, che ha visto circa 30.000 soldati impegnati sul campo col sostegno dell’aviazione, sono stati definiti un grande successo. Secondo le forze armate pachistane, dirette dal potente e abile generale Raheel Sharif, 3.400 terroristi sarebbero stati uccisi in 837 rifugi distrutti grazie a 13.200 operativi militari.  Le vittime tra i soldati ammontano a 488 morti e 1.914 feriti. A giugno 2015, l’esercito sosteneva che in Waziristan non ci fossero state vittime civili: un’affermazione non verificabile quanto poco credibile, anche a fronte dell’enorme numero di sfollati: circa un milione, secondo la stampa pakistana.

Nel frattempo, Zarb-e-Azb è stata accompagnata da una politica di ammorbidimento delle relazioni con Kabul e da un lavoro di pressione sui talebani afgani, che hanno finora sempre goduto del sostegno più o meno diretto di Islamabad. Che li starebbe ora convincendo a trattare. Islamabad prende sempre più le distanze anche dalle organizzazioni islamiste guerrigliere del Kashmir; in quest’area, però, va segnalato l’attacco in gennaio a una base dell’aviazione indiana a Pathankot, dove guerriglieri pachistani hanno impegnato i militari di Delhi per tre giorni. Infine, pugno duro con le organizzazioni settarie anti-sciite, nate all’avvento della Repubblica islamica in Iran. Adesso Islamabad mira a buone relazioni con gli iraniani, tanto che la sua posizione di semi-neutralità nella recente fase di tensione tra Riad e Teheran ha notevolmente irritato i sauditi. I quali già si erano visti opporre un gran rifiuto quando avevano chiesto al Pakistan, l’anno scorso, di fornire uomini e mezzi per la guerra contro la minoranza sciita nello Yemen.

Il problema del terrorismo in Pakistan non si risolverà a breve e, come ha detto Obama, questa resta un’area di instabilità e un vivaio per lo stesso jihad internazionale. Ma la svolta di Islamabad è importante e va registrata, anche se, dopo anni di connivenza, mettere ora il bavaglio ai jihadisti non sarà impresa facile.