La sorte del volo malese MH 370 ha sollevato nelle ultime due settimane una moltitudine di speculazioni a livello planetario. Quando l’indagine sull’accaduto avrà chiarito la dinamica dei fatti ne deriverà, forse, una lezione più utile all’aviazione civile che alle intelligence anti-terrorismo. Tuttavia è indubbio che la tragedia del Boeing 777 abbia acceso i riflettori sul remoto quadrante dell’Estremo Oriente meridionale.
Qui la Malesia è stata, nel decennio passato, un crocevia fondamentale per figure di spicco del terrorismo qaedista (data la politica di accesso al paese senza obbligo di visto per i cittadini delle nazioni del Golfo, Arabia Saudita inclusa).
Intanto, le Filippine sono ancora oggi uno dei paesi maggiormente attraversati da tensioni interreligiose essendo, tra l’altro, uno Stato a maggioranza cattolica incardinato su una legislazione d’impronta conservatrice (solo per fare un esempio in campo etico, nel paese non sono legali tanto il divorzio quanto l’aborto).Nelle Filippine è dunque in corso da molti decenni un conflitto tra l’anima cattolica e quella islamica, che si concentra principalmente nella questione del Mindanao. Quest’isola meridionale, la seconda per grandezza dell’arcipelago (7.000 isole in tutto), è stata un sultanato fin dal XV secolo, quando l’Islam fu introdotto nella regione da predicatori di origine malese.
Le successive vicende storiche delle Filippine, dal dominio spagnolo sino al termine delle seconda guerra mondiale (con l’intervento americano nei confronti dell’imperialismo giapponese), hanno mutato gli equilibri costituzionali e giuridici dello Stato centrale ma non la partizione religiosa del Mindanao, che ancora oggi vanta un’ampia maggioranza musulmana e radicali istanze di separatismo. L’indipendentismo dei partiti islamici (tra tutti il principale e più celebre è il MILF, Moro Islamic Liberation Front) rappresenta una criticità per i governi filippini da almeno cinquant’anni, senza che una soluzione credibile e duratura sia mai stata trovata.
La situazione è precipitata nel 2000: cioè, col senno di poi, alla vigilia dell’11 settembre, ma in ogni caso come ulteriore manifestazione di quelle forze carsiche che scuotevano dal profondo la galassia islamista in più continenti. In effetti si possono rintracciare varie concause, tra le quali l’insorgenza di sigle radicali dedite alla violenza politica e la conseguente repressione da parte dell’allora presidente filippino Joseph Estrada (oggi discusso sindaco di Manila) che dichiarò una “guerra senza quartiere” al MILF inviando l’esercito nel Mindanao.
È ora piuttosto chiaro che, nel disegno delle poliedriche organizzazioni islamiche delle Filippine meridionali, l’indipendenza da Manila è solo la prima fase di una visione che tende idealmente a ricomporre l’assetto storico della regione in un’unica fascia di paesi fedeli all’Islam sunnita che va dal Borneo a Sumatra, passando ovviamente per la Malesia. Una cintura connotata confessionalmente, dove l’Indonesia appare un’entità capace di attrarre nella propria sfera gravitazionale altre regioni, come il citato Mindanao filippino.
Non dimentichiamo che il mediatore internazionale tra il governo filippino e i rappresentanti del Fronte Islamico è la Malesia, dove nel gennaio di quest’anno è stato firmato un accordo tra Governo di Manila e MILF che dovrebbe portare all’autodeterminazione di un’area del Mindanao, segnatamente il Bangsamoro, grazie a una legge che sarà approvata dal governo centrale. Vedremo se quest’accordo troverà reale attuazione.
Di certo il fallimento, o i clamorosi ritardi, del processo di pace nelle Filippine hanno finito inevitabilmente per favorire le forze estremiste: Abu Sayyaf e Jemaah Islamiyah, formazioni che si rifanno alla shari’a e adottano metodi criminali (stupri, assassini, traffici illeciti) nella loro azione di guerriglia.
Un’escalation, quella degli islamisti filippini, che in Italia si ricorda principalmente per il rapimento nel 2007 di padre Giancarlo Bossi (40 giorni nelle mani dei miliziani) e per l’assassinio nel 2011 di padre Fausto Tentorio, entrambi missionari cattolici del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME) e attivi in Mindanao da lungo tempo. Più in generale, il progetto islamista filippino ha mire egemoniche sul Borneo e vanta numerosi affiliati a Singapore e in Malesia.
Quest’ultima, monarchia musulmana per costituzione e confessione, è attraversata da profonde tensioni tra forze moderate e radicali; ecco perché tra le speculazioni sulla sorte misteriosa del volo MH 370 è stata anche evocata la vicinanza politica, in qualità di attivista, del pilota del Boeing Zaharie Ahmad Shah alla causa del capo dell’opposizione malese Anwar Ibrahim (condannato proprio alla vigilia del volo a cinque anni carcere per reati sessuali). Di quest’ultimo sono note le posizioni radicali e la dichiarata inimicizia verso Israele e Stati Uniti.
La vicenda del volo della Malaysia Airlines ha intanto evidenziato come i paesi potenzialmente coinvolti siano assai restii a concedere informazioni “sensibili” in loro possesso. Rivelarle permetterebbe, infatti, anche di svelare proprie posizioni strategiche in termini di strumenti di spionaggio e controspionaggio.
Appare allora evidente come al network delle organizzazioni terroristiche non corrisponda una task force degli Stati della regione, per i quali vige ancora la regola dell’ognuno per sé. Di contro il cosiddetto franchising di Al-Qaeda vanta almeno due cellule attive a Manila, mentre è famoso il summit dell’organizzazione tenutosi proprio a Kuala Lumpur nel maggio del 2000 per pianificare attacchi su larga scala, poi puntualmente verificatisi nei mesi e anni successivi (da quello allo USS Cole nel golfo di Aden dell’ottobre 2000 ai preparativi per l’11 settembre stesso).
La sola eccezione, in questo panorama, è l’alleanza OEF-P (Operation Enduring Freedom – Philippines) nata nel 2002 tra Filippine, Stati Uniti e Australia nel contesto della war on terror guidata a livello globale dagli USA e tutt’ora in corso proprio in Mindanao.
Gli sviluppi dell’inchiesta sul destino del Boeing 777 malese, come quelli dell’attuazione degli accordi di pace tra governo filippino e musulmani del sud – e le tensioni del quadro interno a Kuala Lumpur – saranno indicativi del futuro ruolo dell’Indonesia e delle Filippine. Sapremo comunque presto se in questa regione per noi remota il conflitto settario e il terrorismo come forma di antagonismo politico e confessionale scriveranno nuovi tragici capitoli.