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Il fattore religioso, Gingrich e i conservatori divisi

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Se fosse necessario dimostrare la separazione tra chiese e mondo politico negli Stati Uniti, la netta vittoria di Newt Gingrich nelle primarie del South Carolina (che potrebbe perfino proiettare il candidato verso una vittoria nazionale) sarebbe paradigmatica. Alcuni giorni prima del voto, si è riunito in Texas un vero e proprio ‘conclave’ di religiosi Evangelical (la parte più intransigente del mondo protestante americano, e la più strettamente legata alla fazione conservatrice del Partito Repubblicano) per scegliere un candidato unico da sostenere. Fra gli organizzatori, alcuni leader della destra cristiana, come James Dobson, Tony Perkins e Donald Wildmon. La scelta è caduta a maggioranza non su Gingrich (che pure ha avuto i suoi sostenitori), ma su Rick Santorum (paradossalmente anch’egli cattolico come lo stesso Gingrich, che si è convertito a questa confessione nel 2009). Nei giorni successivi, tuttavia, questa decisione non sembra avere influenzato in modo significativo le sorti elettorali di Santorum, i cui voti in South Carolina – come nei sondaggi a livello nazionale – sono anzi calati rispetto al 20% che gli veniva attribuito all’indomani dell’Iowa. Per Gingrich, quindi, più che il mancato appoggio dei religiosi, sembrano aver contato gli endorsement di Rick Perry (dopo il suo ritiro) e di Sarah Palin, e la buona riuscita nei dibattiti pubblici.

E’ interessante chiedersi perché i religiosi protestanti americani, noti per il loro atteggiamento refrattario a qualsiasi forma di centralizzazione, siano giunti ad un passo tanto inusuale. La risposta si trova nella particolarità della gara per le primarie repubblicane di quest’anno, letta alla luce dell’esperienza del 2008. Allora, infatti, l’elettorato Evangelical aveva tardato a compattarsi dietro al proprio naturale candidato, l’ex predicatore battista Mike Huckabee, dopo che questi aveva vinto in Iowa. La dispersione di una parte del voto verso altri candidati aveva così provocato la sua sconfitta di misura in South Carolina e il definitivo tramonto della sua candidatura.

Quest’anno, sembrava vitale non ripetere lo stesso errore, soprattutto perché il front runner sostenuto dall’establishment del partito, Mitt Romney, non piace ai religiosi conservatori (così come a molti loro fedeli) per una serie di ragioni. Ad essere rilevante non è solo – come si pensava all’inizio – la fede mormone del candidato, che è rimasta una “non issue” in questa campagna, quanto le sue troppe giravolte ideologiche. Nel complesso, buona parte dell’elettorato protestante più orientato in senso religioso sembra prestare sempre meno attenzione alle etichette di appartenenza: lo dimostra il sostegno ad un candidato cattolico come Santorum, che alcuni decenni fa sarebbe stato impensabile. A contare è invece l’aderenza più o meno genuina di un candidato ai valori conservatori, che comprendono le posizioni su aborto e matrimonio gay, ma anche su sanità e immigrazione. Per questo, l’elettorato Evangelical è sempre stato diffidente rispetto a Romney, sostenitore in passato di posizioni ritenute troppo pro-choice sull’aborto, e autore in Massachusetts di una riforma della sanità ribattezzata ‘Romneycare’ (in un esplicito parallelo con la vituperata Obamacare).

La scelta dei religiosi è quindi caduta su Santorum, in parte perché in quella fase, dopo la prestazione nell’Iowa, sembrava l’unico candidato in grado di fronteggiare Romney; ma soprattutto perché si era dimostrato il più fermo nella sua aderenza ai valori conservatori, con posizioni a tratti provocatorie (per esempio gli accostamenti dell’omosessualità alla poligamia e perfino al sesso con animali) che ricordavano la prima destra cristiana degli anni ’80. Questo gli dava un vantaggio su Gingrich, che pur avendo un solido passato politico pro-family non sempre è stato ideologicamente ‘puro’ quanto i religiosi più intransigenti richiederebbero; ma che soprattutto è noto per una discordanza tra il messaggio pubblico e una vita privata ben esemplificata dai tre matrimoni alle spalle.

Resta ora da chiedersi se – nel momento in cui Gingrich sembra avere un momentum decisivo, dopo avere vinto il South Carolina ed essere balzato in testa ai sondaggi in Florida, con Santorum in netto calo – il mondo Evangelical sarà compatto nel sostenerlo. Molto dipenderà, probabilmente, proprio dalle scelte di Santorum: se questi opterà per il ritiro, è probabile che i suoi voti convergano in gran parte su Gingrich; se invece sceglierà di rimanere in lizza, non è escluso che una parte del suo elettorato faccia una scelta ‘di bandiera’, privando così Gingrich di voti potenzialmente essenziali nella lotta contro Romney. Un’eventualità non verificatasi, tuttavia, in South Carolina, dove Gingrich ha vinto con il 40% dei voti, pur ottenendo ‘solo’ il 48% tra gli elettori repubblicani che si autodefiniscono ‘molto conservatori’.

Nel complesso, quindi, emerge come dato più significativo una relativa irrilevanza della componente religiosa: è influente in quanto fattore ideologico nell’ambito dell’ortodossia conservatrice, ma dopo l’elezione del 2000 non è più apparsa in grado, in quanto movimento organizzato, di determinare da sola le sorti della nomination repubblicana. Sembra dimostrarlo anche il fatto che, dopo il tentativo apparentemente fallito di screditare Gingrich tramite le dichiarazioni dell’ex moglie, il dibattito tra i due principali candidati si sta spostando ora più sui rispettivi misfatti di natura economica (il capitalismo predatorio della Bain per Romney, e le consulenze per Freddie Mac nel caso di Gingrich) piuttosto che su aspetti relativi al credo religioso e alla morale sessuale.