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Il caso del Pireo e gli investimenti cinesi in Europa

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La cinese COSCO (China Ocean Shipping Company) è una delle maggiori società di trasporto navale del mondo. Possiede infatti ben 174 navi porta-container (con una capacità di oltre 700mila teu, o twenty-foot equivalent unit, la misura standard nel trasporto dei container) e opera in 162 porti di 49P. Un vero gigante della logistica commerciale e un potente strumento economico e politico per Pechino: come nel caso di molte altre aziende cinesi, si tratta di una società controllata dallo Stato.

Attraverso società come la COSCO la Cina, nel corso degli ultimi anni, ha portato avanti un’opera di penetrazione economica in diverse aree del pianeta, rafforzando enormemente il proprio ruolo di potenza globale non solo sul piano economico-finanziario, ma inevitabilmente anche su quello politico.

Le aziende cinesi, nel corso degli ultimi anni, hanno molto allargato la propria sfera d’intervento economico, fino a operare praticamente in tutte le aree del mondo. A facilitare la penetrazione dei loro prodotti e ad aumentare l’appetibilità delle loro offerte in ogni settore, è stata certamente la grave crisi economica che ha colpito i Paesi occidentali. La quantità di cargo e container salpati dai porti cinesi è cresciuta, negli ultimi cinque anni, di circa il 35% annuo. Già dal 2002 la Cina è il primo Paese del mondo per questo tipo di traffico, concentrato in particolar modo nel porto di Shanghai.

Strategia economica e politica, tenendo poi conto che le imprese cinesi sono società controllate dallo Stato, non possono che andare di pari passo: le scelte economiche sono funzionali alla strategia politica di Pechino e viceversa. Partendo da questa considerazione si comprende in modo chiaro la ragione per cui la COSCO ha scelto di investire in Grecia, assicurandosi per 500 milioni, attraverso la propria controllata COSCO Piraeus Container Terminal S. A., la gestione per 35 anni – e l’opzione per altri cinque – delle banchine II e III del porto del Pireo, cioè lo sbocco sul mare della capitale Atene. L’investimento complessivo, comprese le opere di ammodernamento delle banchine, è stato stimato attorno ai 3,4 miliardi, e la banchina III è appena divenuta operativa dopo i lavori di ampliamento (mentre la II era attiva già dal 2009).

L’importanza dell’accordo, firmato alla fine del 2008 dall’allora Primo Ministro greco Kostas Karamanlis, è stata ribadita anche dai successivi governi. Soprattutto dopo l’esplosione della crisi nel 2009, gli esecutivi succedutisi ad Atene hanno infatti guardato agli investimenti cinesi nel Paese con sempre maggiore attenzione.

Perché Pechino ha deciso di puntare forte sul Pireo attraverso la COSCO? Un elemento a favore dell’investimento è certamente dato dalla critica situazione del Paese, grazie alla quale la COSCO ha potuto contrattare condizioni assolutamente favorevoli per la gestione del porto. La decisione di investire in Grecia non è stata però dettata dalla semplice contingenza, ma da una visione assolutamente strategica.

Il Pireo è il più grande porto della Grecia e uno dei più importanti del Mediterraneo orientale. Certamente meno importante, in termini di traffico merci, dei grandi porti del nord Europa, ma rispetto a questi molto più facilmente alla portata dei container cinesi, attraverso il Canale di Suez. Va poi considerato che la Grecia è vicina a mercati emergenti come quelli della Turchia, dell’Europa orientale e dei Balcani, attraverso i quali le merci cinesi possono raggiungere anche il nord Europa.

Visti sotto questa luce, gli investimenti della COSCO in Grecia forniscono una chiara indicazione su una più ampia politica commerciale cinese nei confronti dell’Europa. Pechino intende usare il Pireo come porta di accesso ai mercati europei, ipotesi confermata dal fatto che negli ultimi anni sempre meno container cinesi sono transitati nei porti di Napoli e di Istanbul – precedenti destinazioni privilegiate. Dal 2009, anno in cui la COSCO ha iniziato a operare al Pireo, il traffico commerciale nel porto è invece aumentato di ben otto volte, attraendo giganti come la cinese ZTE e l’americana Hewlett-Packard, che hanno eletto lo scalo greco a hub preferenziale per lo smistamento delle loro merci nel Mediterraneo e in Europa.

Se il porto del Pireo è la porta d’ingresso ai mercati del vecchio continente, le ferrovie e gli aeroporti sono i corridoi attraverso i quali raggiungerli. Non a caso la COSCO negli ultimi anni si è mostrata fortemente interessata sia al processo di privatizzazione dell’Autorità Portuale del Pireo che delle ferrovie e degli aeroporti greci. Lo scopo, ovviamente, è quello di creare una corsia di passaggio “protetta” che permetta alle merci cinesi di transitare per le banchine controllate dalla COSCO, dirette verso il cuore degli altri mercati europei, avendo in più la capacità di gestire i flussi commerciali provenienti da altri Paesi.

Le prime decisioni prese dal nuovo governo guidato da Alexis Tsipras hanno posto però un freno importante alle ambizioni cinesi. Tra le misure che il nuovo esecutivo sembra intenzionato a varare rapidamente vi sarebbe, appunto, il blocco delle privatizzazioni dei porti e delle ferrovie dello Stato. Il partito del premier, SYRIZA, d’altra parte già lo scorso luglio si era schierato a fianco dei lavoratori portuali. Nella loro protesta contro la dirigenza della COSCO chiedevano, tra le altre cose, il ripristino della contrattazione collettiva, il riconoscimento del loro particolare lavoro come pericoloso e insalubre, l’abolizione dei turni di 16 ore e il trasporto in ospedale delle vittime d’infortuni sul lavoro in ambulanza e non con vetture private come chiesto dalla COSCO (probabilmente per tenere bassa la percentuale ufficiale di infortuni all’interno della zona del porto da essa occupata).

La crescente presenza di aziende cinesi operanti in Europa pone dunque almeno due importanti questioni, evidenziate dalla vicenda della COSCO. La prima è quella relativa alla capacità dell’Unione Europea nel suo complesso, e dei singoli Paesi membri, di confrontarsi con una potenza come quella cinese, in grado di legare strettamente gli aspetti economici e politici della propria strategia di espansione. A tale proposito, il caso del Pireo appare paradigmatico. Ci si chiede, infatti, perché l’Europa, invece di fornire aiuto alla Grecia soltanto attraverso il trasferimento di prestiti (peraltro ingenti), non abbia invece mai preso in considerazione l’ipotesi di investire nel porto del Pireo. L’assenza di concorrenza ha consentito così alla COSCO di ottenerne la gestione a condizioni decisamente convenienti: lungi dall’essere un affare solo greco, le conseguenze di tale scelta potranno riflettersi su tutto il mercato europeo.

La seconda questione è quella relativa alle condizioni di lavoro all’interno di tali imprese. I Paesi del vecchio continente hanno certamente bisogno di attrare capitali stranieri, ma ciò non può avvenire a discapito e in violazione dei basilari diritti sul lavoro. Il rischio, altrimenti, è che la già forte instabilità sociale generata dalla crisi economica sia alimentata da ulteriori e gravi motivi di malcontento.

Affrontare queste due questioni dovrebbe essere, oggi più che mai, una priorità per i centri di governo europei. Se l’Europa vuole essere un soggetto politico ed economico realmente competitivo a livello globale deve ripensare il proprio ruolo, tentando di coniugare e fondere sempre più le proprie strategie economiche e politiche. Se così non sarà, come dimostra il caso del Pireo, la debolezza di un Paese potrebbe presto trasformarsi nella debolezza dell’intera Unione.